“…Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un Paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime…”
Roma, 11 febbraio 1950, Piero Calamandrei, un personaggio che non ha bisogno di presentazioni, politico, accademico, nonché uno dei padri fondatori della Costituzione, pronunciò queste parole durante il III Congresso in Difesa della Scuola Nazionale, in un discorso passato alla storia, tratteggiando con efficace semplicità come attraverso un totalitarismo subdolo, indiretto, torbido la scuola, alias la fonte della democrazia, potesse essere distrutta.
Un discorso d’altri tempi, sensibile di quello che fu un ventennio fascista e, in generale, degli anni in cui totalitarismi e guerre avevano in ogni modo dilapidato l’umanità.
Vi è poi In difesa dell’onestà e della libertà della scuola, testo che contiene nient’altro che l’interpellanza che Calamandrei fece il 16 Dicembre del ‘48 alla Camera dei Deputati sul caso Luigi Russo, Direttore della Scuola Normale di Pisa, che fu sollevato dall’incarico e sostituito dal Ministro della Pubblica Istruzione Gonella, DC, il quale poi nominò al suo posto Ettore Remotti. Il testo non è altrettanto “celebre” quanto il discorso, ma contiene al suo interno il punto di partenza di quanto seguirà: la scuola non è altro che l’interprete e il supremo garante della democrazia.
Così in questi giorni, dopo la valangata di immagini dei prigionieri arrestati, che riporta alla mente le parole di Primo Levi, ci ritroviamo di fronte a un gesto che non lascia interpretazione alcuna se non di quello che è un palese cammino verso un regime totalitario, ai più chiaro da tempo: le dimissioni forzate di 1577 tra decani e rettori, senza considerare la sospensione 15200 persone, richieste dal Ministero dell’Istruzione turco.
Sapete, di colpi di stato la storia ne ha visti a più non posso, ma la stessa storia ha insegnato che i peggiori sono quelli istituzionalmente legittimati, diabolici e sadici allo stesso tempo, la cui metastasi si nutre dei tentativi benigni di reazione.
Finemente elaborati, si presentano al popolo come collante tessuto d’orgoglio nazionale, che si porta dietro la condizione della fedeltà all’ideologia. Esattamente come successo in Italia nel 1931, quando ai docenti delle Università Italiane venne richiesto il giuramento di fedeltà al fascismo, pena, per chi avesse rifiutato, la perdita della cattedra.
Lo schiaffo accademico, ad un Scuola che dovrebbe essere laica e libera, garante dei valori alla base della civiltà e della democrazia, si ripropone oggi, con termini e presupposti diversi, in un panorama di cecità inaudita da parte del sistema degli stati, forte di violazioni che passano in sordina di fronte a comunità dove i conflitti interni sembrano appannare lo spazio d’azione fino a renderlo del tutto assente. E quel motivo alla base della loro nascita sembra essere vanificato di fronte all’incapacità di farsi veri promotori di quel che il loro manifesto programmatico parla.
“La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà”. Quant’è attuale Calamandrei! E nel fluire di quella strana commedia che è l’attualità, probabilmente, non ci resta che piangere!
Di Ilaria Piromalli