Dossier Libera: in aumento i beni confiscati alle mafie (+14%)

Libera, beni confiscati alle mafie

In occasione del 28° anniversario dall’approvazione della legge 109/96, che disciplina la gestione e la destinazione di beni confiscati alle mafie, Libera ha pubblicato una nuova edizione del dossier che racconta le pratiche di riutilizzo sociale di tali importanti beni in particolare appartamenti, abitazioni indipendenti, fabbricati e terreni agricoli o edificabili.

I dati riportati dall’associazione evidenziano un aumento dei soggetti impegnati nella gestione dei beni (1065 soggetti, + 7,4% rispetto allo scorso anno) ed è notevole anche l’aumento dei beni immobili (22.548, con +14% rispetto allo scorso anno) e delle aziende sottratte alla criminalità organizzata (+77% rispetto allo scorso anno). A questi si aggiungono poi tantissimi beni sequestrati, ma che devono ancora essere destinati al pubblico (19.871) e in questo senso Sicilia, Campania e Calabria possiedono il maggior tasso d’interesse.

Negli scorsi giorni il tema della riassegnazione degli immobili è venuto fuori per quanto riguarda il Lazio dove degli oltre 1000 beni confiscati solo il 49% è disponibile al pubblico. In questo caso la denuncia è arrivata da parte della Rete degli Studenti Medi regionale. Il riutilizzo di tali beni immobili come alloggi, mense o aule universitarie è sicuramente una delle importanti possibilità e il tema è stato proposto negli scorsi anni anche per Milano e Palermo dove l’ente del diritto allo studio aveva chiesto l’utilizzo di due hotel confiscati a Cosa Nostra ricevendo però risposta negativa.

Libera, il processo di riutilizzo dei beni confiscati alle mafie

In generale la confisca di un bene mafioso avviene tramite sentenza definitiva del Tribunale competente ed è poi l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) che gestisce il loro riutilizzo a fini sociali. In questo ambito si inserisce l’importante lavoro di Libera che ha dato vita negli anni ad una rete di contatti per moltiplicare le occasioni di interazione tra soggetti pubblici e organizzazioni del terzo settore interessate all’utilizzo del bene.

Più della metà delle attività svolte nei beni confiscati alle mafie riguardano le politiche sociali ed il welfare (56,8%) e sono distribuite su 20 regioni e 383 comuni anch’essi in aumento rispetto allo scorso anno (+24).

Negli anni sono nate 14 associazioni sportive dilettantistiche e 18 gruppi di scautismo, il 25,6% delle attività riguarda invece la promozione culturale e del turismo mentre è ancora relativamente basso il numero di attività legate all’agricoltura e all’ambiente (10%). Tra le regioni con più presenze la Sicilia, 285 soggetti, la Campania 170 e la Lombardia 151.

Per l’occasione anche Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera, ha commentato i risultati ottenuti dalla associazione nata, nel dicembre del 1994, dall’idea di Don Luigi Ciotti:

«Possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto: i beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità. Sono risultati che tutti noi possiamo toccare con mano e che cambiano radicalmente le nostre vite».

I maggiori problemi e preoccupazioni arrivano per Libera dal mondo politico, la stessa Giannone sottolinea come sia in corso:

«un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate ad oggi piuttosto confusionaria. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo».

Il dossier presenta anche una prima mappatura riguardo il riutilizzo sociale di beni confiscati alle mafie all’estero e in particolare in Europa e in America Latina. Sono 19 gli stati membri con una legislazione specifica e ad oggi le esperienze di riuso pubblico all’estero sono 18 di cui due in Spagna, tre in Romania e cinque in Albania. Per quanto riguarda l’America Latina il lavoro paga l’assenza di norme specifiche sull’argomento e che qualifichino il delitto di “organizzazione criminale di tipo mafioso”. Le esperienze di riutilizzo al momento sono 7: quattro in Argentina e tre in Colombia.

Il lavoro di Libera, nata come cartello di associazioni contro le mafie e ad oggi rappresentante oltre 1600 realtà, prosegue quindi senza sosta e i numeri sono in generale incoraggianti. Preoccupa però lo scarso appoggio ricevuto dalla politica che potrebbe invece velocizzare e rendere sempre più efficiente il percorso di messa a disposizione dei beni confiscati.

 

 

Andrea Mercurio

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