Salma Al Shehab, attivista saudita arrestata nel gennaio 2021 a causa dei suoi tweet in favore dei diritti umani e a sostegno di dissidenti politici, ha recentemente iniziato uno sciopero della fame insieme ad altre sette donne in segno di protesta e ribellione nei confronti della propria ingiusta detenzion
L’attivista saudita Salma Al Shehab, 34enne dottoranda dell’Università di Leeds (Regno Unito) e madre di due bambini arrestata il 15 gennaio 2021 mentre era in vacanza in Arabia Saudita, ha ultimamente lanciato uno sciopero della fame con altre sette donne in segno di protesta nei confronti della loro ingiusta detenzione. Questo è quanto comunica l’Alqst, organizzazione a supporto dei diritti umani in Arabia Saudita. Le otto donne hanno tutte una cosa in comune, ovvero l’accusa per la quale sono state arrestate e condannate a numerosi anni di detenzione. Esse, infatti, secondo la Corte Suprema saudita (SCC) sono tutte colpevoli di aver supportato dissidenti e attivisti, che cercano di causare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale, attraverso i loro account Twitter, seguendo, ritwittando i tweet ed utilizzando hashtag a sostegno delle cause di difesa dei diritti umani. Si aggiunge dunque nel mirino della violenta campagna di repressione attuata dal principe della corona saudita Mohammed bin Salman anche il target degli utenti di Twitter.
La violenza del regime di MbS
Come può intuirsi, quello di Salma Al Shehab rappresenta solo uno dei tanti casi di detenzione e arresti legati all’utilizzo dei social media. Questo è un ulteriore esempio di come il regime autoritario del principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, conosciuto anche come MbS, sia un regime estremamente brutale e spietato nei confronti del dissenso politico. Emblematico del volto autoritario e violento del regime di Mohamed bin Salman è il caso del giornalista del Washington Post dissidente saudita Jamal Khashoggi. Il 2 ottobre 2018 egli entrò nel consolato d’Arabia Saudita di Instanbul e da quel momento fu dichiarato persona scomparsa. Khashoggi era stato ucciso in maniera brutale nel consolato da un commando di sauditi arrivati a Instanbul in aereo e partiti il giorno stesso. Secondo un rapporto dell’Intelligence statunitense, il mandante degli assassini di Khashoggi sarebbe stato proprio Mohammed bin Salman.
Salma Al Shehab: solo una fra tanti
Un altro esempio particolarmente significativo della repressione attutata dal regime totalitario saudita è l’arresto dell’attivista dei diritti delle donne saudita, Louijain al-Hathloul, leader del movimento “Women to drive” e sorella di Lina al-Hathloul, responsabile delle comunicazioni di Alqst. Louijain al Hathloul, della quale Salma aveva inoltre sostenuto l’attivismo e richiesto il rilascio tramite i suoi social media, fu infatti arrestata nel 2018 condannata a cinque anni e otto mesi di carcere con l’accusa di cospirazione contro il regno saudita, per la sola colpa di aver condotto campagne per l’emancipazione ed i diritti delle donne. Louijian è stata rilasciata in libertà vigilata e con l’esplicito divieto di lasciare il Paese e di rilasciare informazioni riguardo la sua detenzione dopo più di mille giorni di carcere, proprio poco dopo l’arresto di Salma Al Shehab. A darne la notizia è stata proprio sua sorella, la quale in un’intervista alla BBC disse: “La sua scarcerazione è avvenuto in risposta a continue pressioni internazionali. Tuttavia, poiché i riflettori sull’Arabia Saudita si sono gradualmente affievoliti, le autorità sono tornate al loro modello abituale di repressione”. Stesso modello abituale di repressione efferata del quale è stata vittima anche Salma.
La sentenza più dura mai inflitta nel Regno agli attivisti per i diritti delle donne
Pur essendo solo uno fra i numerosi casi di condanne di attivisti dei diritti delle donne inflitte dal tribunale saudita, quello di Salma Al Shebab risulta particolarmente significativo ed ha attirato molte attenzioni a livello mondiale in quanto la giovane attivista non aveva una grande piattaforma di propaganda digitale. Al contrario, infatti, era poco conosciuta ed il suo account Twitter, attraverso il quale condivideva principalmente foto dei suoi figli, contava un numero relativamente esiguo di followers. Non è dunque comprensibile come una persona con un profilo così basso come Salma possa essere considerata un pericolo pubblico e possa destabilizzare la sicurezza nazionale. Inoltre, il suo arresto ha fatto specialmente clamore soprattutto in relazione alla durata della condanna ricevuta. Inizialmente, infatti, Salma era stata condannata nel primo grado di giudizio dal giudice del tribunale antiterrorismo a 3 anni di carcere per aver violato le leggi contro la criminalità informatica e l’antiterrorismo, pena che si è successivamente più che decuplicata, tramutandosi in 34 anni di detenzione, seguiti da un divieto di viaggiare per lo stesso lasso di tempo, valido dalla fine della reclusione. Si tratta della più lunga condanna emessa nel Regno nei confronti di un’attivista per i diritti delle donne e dell’ennesima sconfitta per la tutela dei diritti umani, in uno Stato il cui clima diventa sfortunatamente sempre più rischioso e tirannico.