Il Web senza frontiere: lo spazio virtuale dove il codice detta la lex informatica. Una sfida cardine per gli Stati, alla riconquista della sovranità nell’era digitale. Blockchain come soluzione ad una “Nuova Internet” decentralizzata e paritaria.
E’ il code, su cui si sostanzia internet, a supplire la giurisdizione nello spazio virtuale, attraverso lo sviluppo di regole di carattere tecnologico interne alla Rete. La sua attuazione si definisce con la cosiddetta Lex informatica, che fissa le regole tecniche per i protocolli informatici, per i programmi utilizzati e per le modalità di accesso al Web. Il diritto digitale segna così irreversibilmente la crisi della sovranità dello Stato: la rigidità del diritto statale, si rivela infatti incapace di regolare le nuove modalità delle azioni umane su internet.
La domanda sorge spontanea: come è potuto accadere?
Uno spazio virtuale senza confini a misura di algoritmo
La questione è evidente: le nostre esistenze si stanno svolgendo sempre di più in uno spazio che è solo privato, oltre che solo economico. Dal momento che è il codice e non la legge tradizionale a governa, la mia esistenza è a rischio. Se io esisto ma non ho un quadro normativo che mi garantisca dei diritti, la libertà che dovrei avere alla nascita in realtà non esiste. Come è potuto succedere? sottraendo lo spazio.
Se è riconosciuto che sia racchiuso in internet un illimitato potenziale inclusivo e interattivo, è anche vero che la sua mancanza di frontiere e confini territoriali fisiche evidenzia non poche criticità nell’applicazione di norme giuridiche tradizionali.
Con nessuna opposizione all’orizzonte, la regolamentazione di questo spazio è veicolata dal code: insieme di architetture informatiche, hardware e algoritmi che definiscono internet per come lo conosciamo. Ecco quindi come che gli stati perdono il loro potere legislativo online, lasciato alla deriva di una privatizzazione assoluta con tutti i rischi intrinsechi del caso.
In un mondo nuovo in cui le vecchie regole non valgono, gli Stati perdono potere online e noi con loro. I diritti nella rete si sgretolano sotto il peso delle continue innovazioni tecnologiche. Ed ecco un altro punto cruciale: lo spazio non solo è nuovo, me è sempre costantemente nuovo, così che a sgretolarsi non sono solo i sistemi giuridici tradizionali, ma ogni legge che possa essere pensata in un dato momento, che quel momento già non è più.
Lex informatica vs Legge tradizionale: vince la più veloce
Quello della velocità è un altro punto cruciale: la lex informatica cresce, muta, cambia, si adatta, trova soluzioni, e crea scorciatoie; la legge tradizionale è lenta, pesante, macchinosa, rigida, si nutre di contrapposizioni e impedimenti. Questo non è una male: la legge deve essere lenta e deliberata, o diventa arbitrio; il codice deve essere rapido e flessibile, o diventa inutile e obsoleto. Da qui nasce la frizione tra due “framework” fisiologicamente diversi.
La domanda è quindi: vale la pena tentare, come già sta accadendo nei Paesi occidentali, di adattare la legge al codice in una continua rincorsa alle nuove problematiche che si creano con ingovernabile rapidità, restando però necessariamente sempre un passo indietro rispetto alla Rete? Oppure, seguendo il modello cinese, è meglio fare in modo che sia il code ad irrigidirsi in aderenza alla legge, creando però situazioni in cui governi autoritari possono esercitare un potere tecnico sulla Rete del quale potremmo non amare le conseguenze?
In realtà, appare abbastanza evidente che l’idea di adeguare i due sistemi in gioco non porterebbe a scenari ottimali e, in qualche maniera, non danno molta speranza per una soluzione alla questione.
Serve un cambio di visione: fairness doctrines e interventi diretti sul codice
Non si tratta di fare censura in maniera autoritaria né di imporre un sistema centrale farraginoso che rallenti un mondo che fa della sua velocità e dell’aggiornamento il punto forte.
Di fronte a nuovi poteri e a nuovi protocolli di comunicazione è necessario piuttosto un cambio di visione. In questo senso una soluzione proposta negli articoli di Enrico Maestri, professore di filosofia del diritto dell’università di Ferrara, consiste nel combinare tra loro aspetti diversi, ovvero la regolamentazione democratica da parte dei governi, i comportamenti individuali ragionevoli e la maggiore responsabilità da parte di quelle multinazionali, note come Big Tech, che attraverso il controllo e la privatizzazione del codice acquisiscono sempre più ricchezza e monopolio informativo.
Interessante? Si. Ma come garantire il rispetto di questi principi in uno spazio dove i “tempi di gioco” sono dettati dal code? Mediante interventi non ex-post ma sul code stesso.
La blockchain come “nuova internet”: il paradigma della partecipazione e decentralizzazione
Regolamentare il code può rivelarsi una soluzione interessante quanto ambiziosa: è chiaro che il codice non deve essere semplicemente scritto secondo la legge ma deve contenere la legge e l’esecutività immediata della legge. Ciò implicherebbe non solo la creazione di un organo tecnico in grado di adempiere al compito, ma soprattutto di trovare un accordo unilaterale tra gli Stati a livello globale e questo si tratta dell’aspetto più critico della questione. In un mondo in cui nessuno vuole cedere terreno, è difficile costituire una “tavola rotonda” ,che sia rotonda per davvero ed eretta sul principio della fiducia.
Tra le innovazioni tecnologiche che potrebbero far fronte a tale complessità, esiste una realtà che a distanza di tredici anni dalla sua nascita può rappresentare il paradigma in grado di trasformare per sempre Internet: la blockchain. Il sistema innovativo è di fatto già ampiamente utilizzato nel settore finanziario e industriale, che viene associato ai concetti di fiducia, responsabilità e decentralizzazione.
Adottare questo sistema non solo alle transazioni, ma anche alle informazioni costituirebbe un vero cambiamento e una nuova logica di governance, dove non esiste più nessun centro e costruita su un nuovo concetto di fiducia tra i soggetti: nessuno ha la possibilità di prevalere e il processo decisionale passa rigorosamente attraverso la costruzione del consenso dell’intera rete.
Ciò aprirebbe le porte ad una nuova internet, in cui i dati e le informazioni rimarrebbero accessibili, immutabili e tracciabili tra tutti i partecipanti, nessuno, ma proprio nessuno, escluso.
Fabio Lovati