L’ex caserma “Serena” di Treviso si è trasformata in una macelleria

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Di Giulio Cavalli


Raccontiamola bene questa storia dell’ex caserma “Serena” di Treviso, raccontiamola uscendo dalla retorica che infarcisce in questi giorni il populismo di certa destra che ci vorrebbe convincere che i migranti siano i nuovi e i più pericolosi untori e raccontiamo questa storia di un luogo che è il più grande hub veneto per l’accoglienza dei profughi e che è diventato carne da macello per certa stampa e certa opinione pubblica.

Partiamo dai dati: in un’intervista al Corriere della Sera del 16 agosto il presidente del Consiglio superiore della sanità Franco Locatelli ha dichiarato che «a seconda delle Regioni, il 25-40 per cento dei casi sono stati importati da concittadini tornati da viaggi o da stranieri residenti in Italia» e che «il contributo dei migranti, intesi come disperati che fuggono, è minimale, non oltre il 3-5 per cento sono positivi e una parte si infettano nei centri di accoglienza dove è più difficile mantenere le misure sanitarie adeguate». Il 26 luglio, in un’intervista a Avvenire, il direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano Massimo Galli ha ripetuto un’ovvietà che sembra difficile fare intendere in questo periodo ovvero che i migranti «tra le persone in arrivo sono le più controllate. Alcuni sfuggono ma non sfuggono solo loro. Sfuggono ai controlli – e persino alla quarantena – molte persone che arrivano da Paesi Schengen dove l’infezione è ben presente. Occorrerebbe controllare meglio i viaggiatori intercontinentali che arrivano dalle zone in cui l’epidemia ancora imperversa».

E allora cosa è successo all’ex caserma “Serena” di Treviso? Bisogna partire da una data, il 12 giugno, quando si è scoperta la presenza di 2 casi positivi al Covid, passando al 30 luglio quando il numero dei contagiati era di 137 fino al 6 agosto quando il nuovo giro di tamponi ha registrato 257 infetti, tra cui 11 operatori. Numeri spaventosi che hanno reso di fatto la caserma trevigiana il più grande focolaio di Covid in Italia nel periodo estivo e che hanno dato fiato alla xenofobia interessata di certa propaganda.

La prima informazione utile per farsi un’idea dell’accaduto ce la dà proprio Gianlorenzo Marinese, presidente di Nova Facility (una società sorta sulle ceneri dell’impresa di costruzione Pio Guaraldo spa, chiusa nel 2017 per fallimento con un buco di svariati milioni di euro) che gestisce l’hub, e che in un’intervista al Corriere del Veneto dichiara serenamente che i 257 positivi non sono altro che il risultato dei primi due malati. «Dopo otto giorni, la quarantena è stata dichiarata conclusa senza che gli ospiti venissero sottoposti a un nuovo tampone», dice Marinese. Otto giorni di quarantena (quando l’Istituto Superiore della Sanità rimane ancora fermo sui 14 giorni) e nessun tampone di verifica come invece avviene nei normali protocolli. Evidentemente esistono sacche in questo Paese in cui i protocolli possono serenamente non essere applicati. L’USL 2 responsabile della caserma Serena si giustifica dicendo che il problema sarebbe nella mancata sicurezza degli operatori (all’interno della caserma continuano le proteste e le rivolte) ma soprattutto l’USL spiega che da giugno a oggi i positivi e i negativi al tampone non sono mai stati separati, infetti e sani tutto il giorno rinchiusi condividendo spazi comuni e ovviamente il contagio è stato libero di propagarsi. I fatti sono confermati anche dal prefetto di Treviso Maria Rosaria Laganà quando ci vorrebbe spiegare che «la scarsa propensione dei richiedenti asilo a osservare le precauzioni avrà contribuito all’aumento dei positivi. Ma certo, il rispetto assoluto delle norme anti-contagio non avrebbe comunque garantito che altri migranti potessero ammalarsi». Chiaro? È colpa loro che non avrebbero rispettato le norme, mica di chi li ha assiepati come bestie.

Ma non è tutto: i profughi avevano organizzato manifestazioni di denuncia del rischio di diffusione della pandemia in tempi non sospetti ma il sindaco di Treviso, il leghista Mario Conte, si era opposto a qualsiasi smistamento degli ospiti in strutture più piccole tacciando addirittura i migranti di essere degli «ingrati» per le loro proteste.
Finita qui? No, no. Il sindaco Conte (con l’appoggio del presidente del Veneto Luca Zaia) ha dichiarato di volere denunciare il governo per la situazione che si è creata e la notizia, ovviamente, è stata rilanciata a tamburo battente, Salvini incluso.

E allora converrebbe fare un passo indietro. Perché 300 persone sono rinchiuse in un’unica struttura? Di chi è la responsabilità? Semplice semplice: dei decreti sicurezza fortemente voluti e di cui è strenuamente orgoglioso proprio l’ex ministro Salvini. È stato lui a decidere di concentrare i migranti in grosse strutture superando l’accoglienza diffusa del sistema Sprar che il primo governo Conte ha di fatto debellato. Quindi, volendo ben vedere, se c’è un responsabile di quel modello di accoglienza che ha inevitabilmente procurato problemi a chi è accolto e a chi accoglie è proprio l’ex ministro dell’interno, lo stesso che oggi urla allo scandalo e si propone come unico uomo capace di trovare una soluzione.
Intanto lentamente la situazione alla caserma Serena si sta normalizzando (lunedì erano 155 i positivi e 75 negativi, di cui 63 prima positivi) e le proteste sembrano rientrare. Però la storia (e le proteste) meritano di essere raccontate per intero, partendo dall’inizio fino alla fine, almeno per smontare la propaganda.

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