L’accordo di pace di Pretoria tra tigrini e governo federale ha portato sollievo nella regione, ma non all’Etiopia, ancora vittima di scontri.
I tavoli di pace in Sudafrica
Il 2 novembre è arrivata la pace tra il TPLF, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, e il governo federale etiope. Un accordo per la pace sembrava molto difficile, addirittura insperato. C’è voluta la mediazione di diversi attori, tra cui l’Unione Africana, e i negoziati si sono tenuti in Sudafrica.
Per arrivare all’accordo di Pretoria le due parti hanno dovuto fare alcune concessioni, ma quelle più importanti le ha dovute fare il TPLF. Il trattato prevede innanzitutto che venga riconosciuto il potere e il controllo costituzionali del governo di Addis Abeba, ovvero quello federale. Il gruppo ha però soprattutto acconsentito a disarmarsi completamente nel giro di un mese.
Secondo gli osservatori dell’International Crisis Group, si tratta di una resa condizionata del TPLF sotto la forma di una tregua.
La guerra aveva inizialmente visto prevalere la parte tigrina che si era spinta verso la capitale. Negli ultimi mesi l’esercito federale, anche grazie all’utilizzo di droni bombardieri importati, ha ripreso terreno sulla controparte e guadagnato anche parte della regione del Tigray.
Proprio le recenti sconfitte sul campo di battaglia del TPLF avrebbero diminuito molto il potere contrattuale del gruppo ai tavoli dei negoziati.
Le sofferenze della popolazione tigrina
Il fattore che ha determinato maggiormente la decisione tigrina di arrivare alla pace sono state le sofferenze della popolazione locale.
Abbiamo fatto delle concessioni dolorose ma alleviare le sofferenze della nostra gente è molto più importante del tipo di concessioni che abbiamo fatto. Dobbiamo costruire la fiducia […]
Così il rappresentante della delegazione del TPLF ha commentato le concessioni necessarie ad arrivare ad un cessate il fuoco permanente.
La guerra ha portato più di 3.5 milioni di persone sfollate e più di 9 milioni a soffrire la fame. La regione tigrina era staccata dalle principali infrastrutture del paese, come quella elettrica, e il governo federale aveva imposto un blocco agli aiuti umanitari indirizzati alla popolazione in difficoltà. Diversi osservatori hanno perciò accusato l’esercito etiope di utilizzare la fame e la sofferenza come armi di guerra.
Il governo guidato da Abiy Ahmed con l’accordo di Pretoria si è impegnato a fermare ogni tipo di operazione militare nella regione, ripristinare i servizi essenziali per la popolazione locale, far arrivare gli aiuti umanitari che erano stati bloccati e togliere il TPLF dalla lista delle organizzazioni terroristiche riconosciute dall’Etiopia.
Gli sviluppi della pace
Il 6 novembre Mekele, capitale del Tigray, è stata ricollegata alla rete elettrica nazionale per la prima volta dopo più di un anno. Il Ministro per l’Innovazione e la Tecnologia Belete Molla ha annunciato che verranno ristabilite anche le comunicazioni telefoniche ed Internet. La più grande banca del paese, la Commercial Bank of Ethiopia ha riaperto in diverse città della regione.
Le conseguenze della guerra si fanno però ancora sentire. Molti ospedali sono stati danneggiati o distrutti, l’accesso ai medicinali è difficoltoso e molte persone soffrono ancora la fame dipendendo dagli aiuti umanitari.
Gli scontri in Oromia e le accuse di violenza etnica
L’Oromia è lo stato regionale più esteso e popoloso della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia. In questo momento è anche un grande fattore d’instabilità e teatro di scontri. Gli attori principali di questi scontri sono le forze militari federali, gli amhara Fano e i ribelli dell’OLA, l’esercito di liberazione dell’Oromia.
Le parti si accusano a vicenda di aver attaccato per prime. La popolazione locale, formata principalmente dai gruppi etnici amhara e oromo, denuncia attacchi etnicamente motivati da parte delle forze armate.
Le proteste della popolazione oromo
Nella zona di East Wollega, vicino alla capitale Addis Abeba, i cittadini hanno protestato contro la violenza imperante nella regione che ha portato più di 350.000 persone a dover lasciare la propria casa e a diversi omicidi. Tra i morti figura anche un giudice del distretto di Kiremu.
Come riportato dall’Addis Standard, diversi studenti hanno protestato nelle scuole e nelle università della capitale contro le violenze subite dalla popolazione oromo per mano delle milizie Fano e delle forze federali. All’Adama Science and Technology University è arrivata la polizia per far disperdere i manifestanti.
In un comunicato l’OLF, il Fronte per la Liberazione dell’Oromia, partito d’opposizione, ha condannato le “barbarie” compiute dalle forze del governo e ha esortato la popolazione oromo a “difendere sé stessa”.
La potenza della narrazione dei conflitti in Etiopia
[…] La verità è stata una delle vittime del conflitto nel Nord dell’Etiopia.
In un articolo del 22 ottobre, l’Ethiopia Insight parla della potenza delle narrazioni attorno ai conflitti citando un’idea proveniente dagli ambienti diplomatici.
Le notizie che ci sono arrivate negli ultimi due anni dal Tigray sono passate dal governo federale oppure dal TPLF, vista l’impossibilità per i giornalisti e i membri di ONG ad accedere a molte aree di conflitto.
La capacità delle parti di narrare la propria versione della storia, in aggiunta all’attenzione ricevuta dai media mondiali, ha aiutato a nascondere molte altre questioni in Etiopia. Gli scontri in Oromia di questi giorni ci ricordano una di queste questioni dimenticate.