La riforma della giustizia in Israele è antidemocratica secondo l’esercito. Per questo 161 alti ufficiali del comando dell’aeronautica si sono dimessi dal servizio di riserva, temendo che la riforma possa aprire la strada ad una dittatura.
La riforma della giustizia in Israele è “antidemocratica”
La controversa riforma della giustizia in Israele ha generato diverse spaccature nella classe dirigente del paese, sia nel governo che nelle alte sfere dell’esercito. Sono infatti almeno 161 gli alti ufficiali e comandanti del quartier generale operativo dell’aeronautica israeliana che si sono dimessi dal servizio di riserva a causa dei piani del governo per la riforma giudiziaria. In un comunicato scritto e diffuso martedì, i militari esprimono una posizione netta contro la riforma, che definiscono essere “antidemocratica” in quanto eroderebbe i principi democratici su cui si fonda la nazione, aprendo di fatto la strada ad una “dittatura”. Gli ufficiali dell’aeronautica non sono gli unici ad aver voltato le spalle al governo di Gerusalemme, oltre a loro anche circa 300 riservisti della guerra informatica hanno deciso che non si ripresenteranno a delle eventuali convocazioni da parte dell’esercito in caso di necessità, in quanto “le capacità informatiche sensibili e potenzialmente utilizzabili in modo improprio non devono essere affidate a un governo criminale che mina le fondamenta della democrazia”. I 300 riservisti hanno aggiunto inoltre che non svilupperanno capacità per “un regime criminale e non assisteremo nell’addestramento della futura generazione di militari esperti nel settore cibernetico”.
La scelta dei riservisti a ritirarsi dal programma non è una cosa di poco conto, in quanto, a differenza della maggior parte dei riservisti che vengono richiamati in servizio con un ordine formale, i piloti e altre forze speciali si presentano in servizio più frequentemente e in modo volontario, spesso non durante un’emergenza. Avere quindi un nutrito gruppo di militari che decide volontariamente di non ripresentarsi è un segnale forte che il premier Benjamin Netanyahu dovrà prendere in considerazione. Lo stesso ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha affermato che se un numero specifico di riservisti impegnati in posizioni chiave non si presentasse in servizio, sarebbe qualcosa che i militari “non saranno in grado di sopportare”. La riforma della giustizia, sospesa lo scorso marzo e ripresa in questi giorni, rischia di avere delle serie ripercussioni sulla gestione della sicurezza di Israele. Le proteste e gli atti di disobbedienza civile sono continuati in tutta la nazione mentre la coalizione del primo ministro Netanyahu si prepara a presentare un progetto di legge al parlamento.
Cosa prevede la riforma della giustizia
La riforma della giustizia mira a togliere poteri di controllo alla Corte Suprema per affidarli al governo, almeno così sostengono i detrattori, mentre i sostenitori affermano che sia un necessario ribilanciamento dei poteri dello stato, che negli ultimi decenni avrebbero favorito eccessivamente il potere giudiziario, e in particolare avrebbero amplificato troppo la capacità d’intervento della Corte suprema in diversi ambiti. L’organo ha un ruolo eccezionalmente importante nella vita politica di Israele perché il paese non ha una costituzione (ha una serie di Leggi fondamentali che sanciscono i diritti individuali e le relazioni tra cittadini e lo stato) e ha relativamente pochi contrappesi al potere del governo in carica. Per esempio il parlamento è unicamerale, cosa che impedisce la dialettica tra camera alta e camera bassa che esiste in molte democrazie, e il presidente di Israele ha ancora meno poteri che negli altri sistemi parlamentari: non può mettere il veto alle leggi approvate dal parlamento e non può “rimandare una legge alle camere”, come può fare in alcune occasioni particolari il presidente della Repubblica italiana. Per questo la Corte Supremo è di fatto un contrappeso al potere esecutivo del governo, che però con la riforma potrebbe cedere e trasformare il paese in una dittatura.
La riforma, presentata dal ministro della giustizia Levin, è sostenuta dai partiti della destra nazionalista laica, come quello del premier, sia di partiti ultraortodossi; entrambi i gruppi hanno i loro motivi per voler dare più poteri al governo. Il premier Netanyahu in questo momento è sotto processo per corruzione, mentre i partiti ultraortodossi accusano la Corte di limitare le loro libertà religiose. In un paese che è sotto attacco per le violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi la sottrazione dei poteri alla Corte Suprema sarebbe un’ulteriore passo indietro dalla democrazia.
Marco Andreoli