Il Mutualismo che intercorre tra Netanyahu e l’allargamento del conflitto

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Netanyahu e il piano di Israele per Gaza

Perché Israele continua ad alimentare la guerra?

Un anno di conflitto inevitabile. Diritto e dovere israeliano di difendere lo stato coloniale imposto e costruito a discapito della popolazione palestinese ieri, di quella libanese oggi e dell’intero Medioriente in futuro.

Una pronta risposta alla minaccia terroristica di matrice islamica. Israele, baluardo della civiltà in senso ampio, Israele avamposto della democrazia e dei valori occidentali in terra d’oriente, laddove quei valori sono violentati da un’altra civiltà, che non ci somiglia, in quanto espressione della più bruta “bestialità umana”. Genti che non ragionano o agiscono come noi, genti che la guerra la portano dentro, ed è quindi l’unico linguaggio che comprendono.

La necessità di prolungare la guerra sino alla vittoria totale. A gennaio 2024 eravamo stati avvisati che il conflitto sarebbe continuato almeno per tutto il corso dell’anno.

Risulta impossibile credere che in Israele si ignori la realtà; risulta assurdo assumere che si pensi davvero di annientare definitivamente la resistenza palestinese armata in grado di mettere a rischio la sicurezza dello stato ebraico.

Allora perché si continua? Perché l’uccisione di Isma’il Haniyeh?

L’uomo che poteva negoziare la firma di un accordo in grado di affievolire, almeno momentaneamente, le sofferenze palestinesi e al contempo riportare a casa una larga parte degli ostaggi ancora in mano di Hamas è morto per impedire definitivamente che ciò accedesse.

Il suo scalpo poteva persino essere esibito di fronte all’opinione pubblica come emblema della vittoria e con il suo quelli di Saleh al-Arouri, Mohammed Deif, Marwan Issa e delle migliaia di miliziani caduti.

Questo non è il piano, non ancora, per ora si mira ad alimentare l’offensiva sul fronte nord, quello con Hezbollah. Le intenzioni di provocare sia l’Iran, sia direttamente i miliziani libanesi è evidente: ricordiamo l’uccisione di Fuad Shukr che sin dall’inizio degli anni 80, periodo di fondazione del movimento, ha ricoperto ruoli di massimo peso nella gerarchia del gruppo libanese divenendo consigliere militare del ex leader Hassan Nasrallah

L’attacco del 17-18 settembre, ovvero l’esplosione di cercapersone e walkie talkie, pianificato con largo anticipo, è avvenuto perché Hezbollah non ha saputo rispondere alle provocazioni dell’esercito israeliano che si sono susseguite in una spirale di violenza. Le normali regole di ingaggio che intercorrevano tra i due schieramenti sin dal 7 ottobre sono state volontariamente sconvolte da parte israeliana per legittimare l’aggressione.

Hezbollah ha subito il più pesante attacco dai tempi della sua fondazione a seguito dell’occupazione sionista del sud del Libano che risale al 1982.

Israele accusa Hamas di terrorismo ma punisce sommariamente i palestinesi comportandosi allo stesso modo, perché?

Il terrorismo di stato israeliano esiste perché noi lo permettiamo. Non esiste dal 17 settembre 2024, esiste dal 14 maggio 1948, perché prima aveva un altro nome, il suo, ovvero terrorismo contro la comunità araba autoctona e contro l’impero britannico e il suo mandato sul mutasarrifato di Gerusalemme.

“L’Operazione Frecce del Nord” continua da fine settembre, In migliaia hanno perso la vita, in maggioranza civili, donne e bambini inclusi. Il terrorismo continua e continuerà perché la volontà di Tel Aviv è di aumentare il livello dello scontro.

La risposta di Hezbollah al più grande attacco subito dalla sua fondazione è stata seguita dalla punizione collettiva della popolazione libanese, stremata da decenni di conflitti, crisi economiche, uno stato praticamente inesistente, e l’ingombrante influenza dell’Iran. Stiamo assistendo allo stesso tipo di violenza indiscriminata e distruzione che ha interessato Gaza.  La sadica esasperazione dei libanesi e il nuovo esodo di profughi sono in quest’ottica funzionali a indebolire il consenso interno di cui il gruppo filoiraniano gode da decenni.

La guerra, in questo modo, potrà continuare e con essa il piano di colonizzazione di insediamento di tutta la Palestina storica. Gli errori del passato non devono essere ripetuti. Le situazioni utili all’espulsione di quanti più palestinesi possibili non vanno sprecate. Il momento è propizio, le opinioni pubbliche divise, il mondo osserva e a parte qualche avanguardistica voce fuori dal coro, da leggere Sudafrica, nessuno reagisce. Gli aiuti militari restano una garanzia e l’appoggio politico strategico dei paesi chiave non è messo in discussione.

Come può Israele mettere in atto tutto ciò?

Da settimane circolare notizie da parte di fonti israeliane che parlano del piano Netanyahu per l’inizio pratico della pulizia etnica nel nord della Striscia, che sta avvenendo nel silenzio e nell’indifferenza collettiva. Un video su YouTube mostra il maggior generale a riposo, Giora Eiland, ex membro delle IDF, che ha ricoperto anche il ruolo di capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza israeliano spiegare il paino; in un passaggio avverte i residenti rimasti nel nord di Gaza che “ questo non è un invito ad abbandonare il nord della striscia, Bensì un ordine.

La guerra non può e non deve finire. Le prossime elezioni statunitensi sono talmente incerte che nessun presidente americano, Biden ultimo per ovvie e dichiarate simpatie sioniste, potrebbe mettere in discussione la sistematica partnership israelo-statunitense.

La corte penale internazionale procede il suo lavoro nell’ipotesi di un’accusa di genocidio contro Israele, che potrebbe portare ad un mandato di arresto internazionale per Benjamin Netanyahu. Purtroppo, finché la linea del fronte rimarrà calda e illuminata dai bombardamenti i responsabili resteranno al sicuro, protetti del loro inalienabile diritto di difendersi, diritto che Stati Uniti e molti paesi europei supportano immancabilmente.

La 98º divisione delle IDF, sin ora di stanza a Gaza, si è mossa nel Nord di Israele in affiancamento alla 36º già operativa al confine e sono in corso scontri incessanti. Questa invasione è la quarta, i precedenti risalgono al 1978, 1982 e la più recente nel 2006.

L’impunità rimane una garanzia, i media occidentali paventano possibili responsabilità penali per ogni crimine di guerra, per ogni omicidio mirato per ogni assassinio di civili. Come per la morte della giornalista Shireen Abu Akleh i colpevoli rimangono impuniti, l’attenzione mediatica viene indirizzata altrove per permettere che la spirale di violenza continui.

Sullo sfondo il miraggio della fantomatica vittoria totale contro il nemico, la bestia umana, i terroristi, gli altri, i diversi, i più deboli e forse coloro i quali possono essere sacrificati. Se così non fosse tutto questo orrore sarebbe stato impedito, l’ormai logoro Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite avrebbe partorito una risoluzione capace di fermare il massacro mediorientale e impedire la pulizia etnica della Palestina.



C’è una prospettiva verso la fine di tanta sofferenza?

La possibilità di assistere ad una d’escalation nel breve periodo dipende direttamente dal risultato delle elezioni negli Stati Uniti. È molto probabile che si dovrà attendere gennaio 2025 quando il nuovo presidente americano potrà insediarsi. L’incognita Donald Trump, che durante il suo mandato del 2016 ha elargito importanti concessioni al progetto sionista di occupazione della Palestina, potrebbe aggravare ancor ‘più le tensioni in caso di rielezione.

Nel già citato piano di evacuazione di Netanyahu si prospetta che l’espulsione forzata dei palestinesi nel nord della striscia, dalle 300 alle 500 mila persone, veda l’area svuotarsi della popolazione civile, in modo da rendere la parte settentrionale di Gaza zona militare. Questo costringerebbe i miliziani di Hamas ad arrendersi o morire di stenti, considerando che da quel momento nessun aiuto umanitario, compresi acqua e cibo, potrebbe raggiungere la zona.

Dubbi rimangono su come i civili impossibilitati o riluttanti a muoversi potrebbero sopravvivere, o su come questo piano possa garantire la sicurezza degli ostaggi, invece di condannarli a morte certa.

Yoav Gallant, ministro della difesa, sembra l’unico membro del governo a sperare ancora in un accordo di cessate il fuoco in grado di salvare la vita degli ostaggi israeliani. È certo l’unico che ha osato contestare la linea di governo, rischiando per questo di essere sostituito nelle ultime settimane. Per ottenere una tregua, e un probabile accordo sulla questione degli ostaggi, a Tel Aviv basterebbe un passo indietro sull’occupazione israeliana del confine di Gaza con l’Egitto per la gestione del Corridoio Filadelfia.

Le due questioni: liberazione degli ostaggi e implementazione di un cessate il fuoco sono strettamente legate in quanto Hassan Nasrallah fu chiaro sin dal 8 ottobre: “l’iniziativa di supporto del suo Partito di Dio con il popolo palestinese verrà interrotta nell’istante in cui Israele cesserà di bombardare l’enclave.” Nella sua ultima lunga apparizione pubblica, prima della sua eliminazione, è avvenuta a seguito degli attentati terroristici del 17 e 18 settembre il leader di Hezbollah ammise la gravità del colpo subito, ribadendo l’intenzione di punire il nemico a tempo debito.

Israele con l’apertura del fronte libanese ha decisamente confermato al mondo il suo interesse politico e strategico nell’allargare e continuare il conflitto. Ciò potrebbe rivelarsi utile per espellere quanti più palestinesi possibili da Gaza e dalla Cisgiordana ma il danno di immagine e le fratture interne alla società israeliana rimarranno per decenni. Il supporto dei cittadini dei paesi occidentali alla causa palestinese crescerà e forzerà i governi a rivalutare l’impunità di cui Israele ha goduto sino ad oggi.

L’azione di contenimento dei crimini israeliani passa anche attraverso le parole. I mezzi di informazione main stream occidentali devo smettere di temere di chiamare le cose con il proprio nome quando si tratta di denunciare Israele. L’azione criminale del 17-18 settembre condotta dai servi segreti israeliani ha colpito indiscriminatamente i civili senza lasciare tracce di questo dettaglio sulle prime pagine dei nostri quotidiani nazionali, cosi come della maggior parte di quelli occidentali. L’impressione leggendo la stampa generalista è che l’attacco fosse esclusivamente diretto contro Hezbollah. Parole come pulizia etnica e terrorismo con possibili conseguenze genocide non devono essere un tabù.

Nelle ultime ore che precedono la pubblicazione di questo articolo, giunge la non confermata notizia della morte di Hashim Safi Al Din cugino di Nasrallah. Al contrario di quanto la propaganda israeliana cerca di vendere in occidente, questa mossa non farà che inasprire il livello dello scontro.

 

Fabio Schembri

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