La Nigeria, spaccata tra Islam e Cristianesimo, è attualmente uno dei Paesi peggiori dove essere parte della comunità LGBTQ+, soprattutto se si è donne queer. Ma l’attivismo non si lascia intimorire.
Amare nell’illegalità
La Nigeria, che possiede uno dei punteggi più bassi al mondo nel LGBTQ+ Legal Equality Index , è caratterizzata dall’assenza di qualsiasi protezione nei confronti delle persone LGBTQ e dall’esistenza di numerose leggi fortemente discriminatorie e retrograde.
La diversità sessuale e la transessualità non sono state ancora depenalizzate nel Paese: secondo un disegno di legge approvato nel 2013 (e molto criticato dal resto del mondo), sono illegali il matrimonio tra persone dello stesso sesso e le dimostrazioni di affetto in pubblico così come far parte di organizzazioni LGBTQ+ o frequentare gay club. Mentre nel sud del Paese il Codice Penale punisce l’omosessualità fino a 14 anni di prigione, la situazione nelle regioni del nord è di gran lunga peggiore a causa della presenza della Shari’a (una legge sacra basata sul Corano) e dell’influsso di Boko Haram e dunque le persone queer possono rischiare addirittura la pena di morte.
Le donne lesbiche, in particolare, subiscono una discriminazione multipla (di genere e per il loro orientamento sessuale) e possono andare incontro alla lapidazione, trovandosi così in una posizione di particolare vulnerabilità.
Il “rituale” del kito: quando criminalità e omofobia si incontrano
Con l’avvento di Internet, se da una parte le persone che non rientrano nei canoni dell’eteronormatività hanno trovato un modo per creare un safe-space libero dai pregiudizi, dall’altra sono aumentate anche le modalità per discriminare. Ne è un esempio la pratica molto diffusa del kito, che consiste nell’attirare online persone parte della comunità LGBTQ+ per poi picchiarle, estorcere loro del denaro e minacciarle.
Questa violenza omofoba – a cui spesso seguono stupri e pubblicazione in rete dei video contenenti gli abusi – si qualifica come una sorta di punizione volta a generare vergogna e pentimento, aumentando in questo modo lo stigma attorno alla diversità sessuale nella società nigeriana.
Il kito é perpetrato da persone affiliate a gang criminali e solitamente ha come target principale gli uomini gay anche se negli ultimi anni sono in aumento i casi nei confronti delle donne lesbiche (in concomitanza al fenomeno del revenge porn), con effetti devastanti sulla psiche di coloro che vengono presi di mira.
Tra conservatorismo religioso e influenza coloniale
In Nigeria, dunque, la discriminazione basata sull’orientamento sessuale non si ferma alle istituzioni: i sondaggi rilevano tra l’opinione pubblica altissimi tassi di ostilità nei confronti della comunità LGBTQ+, con il 97% della popolazione che si pronuncia contraria alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Le ragioni dietro questa mentalità sono in primis di tipo religioso: sia il Cristianesimo che l’Islam sono profondamente radicati nel tessuto sociale e culturale nigeriano, con evidenti ricadute sulla concezione dei vari diritti umani. L’interpretazione tradizionale dei testi sacri si scontra così con l’emergere della diversità sessuale e non a caso tutte le dottrine religiose si sono rese protagoniste di atti ostracizzanti verso la comunità LGBTQ+.
Inoltre, altre motivazioni risalgono proprio al periodo coloniale britannico: infatti, prima della colonizzazione in Nigeria non esisteva nessuna legge contro l’omosessualità ed è stato proprio il governo coloniale (spesso indicato come moralmente superiore e all’avanguardia) a introdurre le leggi che la criminalizzavano, secondo la rigorosa morale vittoriana del tempo.
Una società civile in fermento
Fortunatamente, negli ultimi anni parte della popolazione nigeriana (soprattutto quella più giovane e istruita) ha attraversato un percorso di consapevolezza riguardante l’inclusività sessuale e questo ha avuto come esito un rinnovato impegno nell’ambito dell’associazionismo e dell’attivismo.
Bisi Alimi Foundation è tra le organizzazioni più note del Paese e si occupa di discriminazione sul luogo di lavoro, attività di awareness e sensibilizzazione sull’omofobia e mentoring per giornalisti e attivisti per i diritti LGBTQ+. WISE (Women Initiative for Sustainable Empowerment and Equality), invece, è l‘unica rete di advocacy nel nord del Paese dedicata a donne lesbiche, bisessuali e transgender.
Altre organizzazioni queer sono focalizzate sugli aspetti legati al mondo riproduttivo e sanitario: è il caso di WHER (Women’s Health and Equal Rights), DIHHR (Dynamic Initiative for Healthcare & Human Rights) che è la sola ad occuparsi delle persone intersex e ISHRA, Initiative for Sexual Reproductive Health & Rights Awareness.
La (lunga) strada verso il cambiamento
A Lagos e nelle altre città del Paese, gli arresti arbitrari di massa e la police brutality nei confronti di persone lesbiche e gay sono ormai all’ordine del giorno, sintomo di una mentalità ancora ben saldamente inchiodata nelle istituzioni che vede l’omosessualità come un’imposizione dell’Occidente corrotto.
Il Paese rischia di perdere una delle sue più grandi risorse: i giovani, che decidono di emigrare verso Stati più progressisti dove possono esprimere la propria sessualità in modo libero.
Nel 2020 il primo film a ritrarre l’amore lesbico diretto da Uyaiedu Ikpe-Etim, “Ifé” (che significa amore in Yoruba), ha scosso l’industria cinematografica della “Bollywood d’Africa” e il Paese intero, dimostrando che la strada verso il progresso è ancora lontana ma se non altro è guidata dalle donne.
Lo Stato deve accogliere le istanze di chi lotta da anni contro la discriminazione, adeguandosi agli standard internazionali in materia di diritti LGBTQ+ e criminalizzando pratiche come il kito e le terapie di riconversione. Affinché questo avvenga, le donne queer – le quali sono doppiamente sessualizzate dalla popolazione maschile – non devono mai smettere di lottare in prima linea per un mondo più equo e giusto, dove la diversità (anche quella sessuale) non è considerata come un pericolo ma una ricchezza.