L’eredità di Trump sul clima rischia di mettere a repentaglio il programma politico del presidente eletto, Joe Biden.
Quattro anni all’insegna della deregulation ambientale per risollevare settori economici in crisi già da tempo.
L’eredità di Trump sul clima: l’ostacolo del Senato
L’ex vice di Obama ha sconfitto Donald Trump, aggiudicandosi 306 grandi elettori. E liberandosi della maschera del “fragile Joe”. Il senatore del Delaware è il presidente eletto più votato d’America. Non ci sono più dubbi, il popolo americano ha scelto. E lo ha fatto bocciando il presidente Trump soprattutto per come ha gestito la pandemia di coronavirus che continua a correre e a mietere vittime in tutto il Paese.
Biden ha parlato di cooperazione. Ha chiesto ai repubblicani di abbandonare gli scontri e le divisioni che hanno caratterizzato i quattro anni dell’amministrazione Trump. Il messaggio è inequivocabile, sono tempi difficili e per potere avere successo c’è bisogno che anche i conservatori condividano il suo programma politico. Dopo avere incassato la vittoria, il presidente eletto ha affermato senza esitazioni:
Gli Stati Uniti rientreranno nell’accordo di Parigi.
Il 4 novembre, all’indomani dell’Election Day, l’America sarebbe uscita ufficialmente dal trattato sul clima. L’annuncio di Biden è un segnale per la comunità internazionale.
Fino alle elezioni di mid-term, quando tra due anni si rinnoverà il Senato – che i democratici non sono riusciti a conquistare – Biden dovrà dimostrarsi un abile giocatore di scacchi. Se vuole vincere la battaglia sul clima, dovrà ottenere la fiducia dei repubblicani. Creando una competizione ragionevole con la Cina sulle rinnovabili. Ma soprattutto il presidente eletto dovrà ripristinare la regolamentazione ambientale di Barack Obama – smantellata da Trump – non appena si sarà conclusa la fase di transizione alla Casa Bianca. Al di là dell’ostruzionismo dei lobbisti e degli industriali, Biden deve potere ottenere l’appoggio del Senato per “salvare il salvabile”.
L’eredità di Trump sul clima: i difficili rapporti con la Cina
Quest’anno il dragone asiatico ha annunciato di essere pronto a raggiungere la neutralità climatica entro il 2060 – oltre la data fissata dall’accordo di Parigi. Gli ultimi studi spiegano come Pechino, grazie a un massiccio piano di investimenti sulle fonti rinnovabili e a una riduzione consistente della dipendenza dalle fonti fossili, in particolare il carbone, assisterà a una netta diminuzione delle emissioni a partire dal 2040.
Assieme gli Stati Uniti, la Cina è uno dei principali contributori netti di gas serra. Una settimana fa Xi Jinping si è congratulato con Biden, ma per difendere il clima è necessario un rapporto equilibrato fra le due superpotenze. Con Biden cambierà molto poco tra Pechino e Washington. Gli Stati Uniti continueranno a proteggere il commercio, i prodotti e soprattutto il know how tecnologico, ma sfruttando questa volta la diplomazia.
La cooperazione sino-americana può contribuire allo sviluppo delle rinnovabili
La lotta in difesa del clima, utile anche a rafforzare economie indebolite dalla pandemia – i due giganti mondiali crescono, è vero, ma a stento rispetto al periodo pre Covid – sarà la cartina di tornasole delle relazioni tra Xi Jinping e Joe Biden.
Trovare un punto di incontro su una questione di importanza mondiale con la Cina è indispensabile per il presidente eletto: entrambi i paesi producono il 40 per cento dei gas serra a livello globale, assieme possono conquistare il mercato delle fonti rinnovabili costringendo altri grandi Stati inquinatori – India, Indonesia, Russia e Brasile – a competere per l’energia pulita e il taglio delle emissioni.
Kelly Sims Gallagher ha raccontato al New York Times che la collaborazione sul clima tra Cina e Stati Uniti non è impossibile. Difficile, ma non impossibile. Gallagher ha organizzato due dei principali meeting sul clima tra l’ex presidente Obama e Xi. Entrambi erano d’accordo sulla necessità di una “diplomazia del cambiamento climatico” per controllare il prezzo delle fonti rinnovabili nel resto del mondo.
Credo sia una possibile area di cooperazione. Inoltre, se gli Stati Uniti perdono questa partita la Cina si aggiudicherà una posizione dominante sul mercato delle rinnovabili. Gli Stati Uniti non potranno contare su nuovi posti di lavoro.
Mentre proteggere il suolo, le falde acquifere o le foreste con un’adeguata regolamentazione è un’operazione più rapida, per le emissioni di gas serra, aumentate negli ultimi quattro anni in modo incontrollato, il processo è più complesso.
L’eredità di Trump sul clima: la deregulation ambientale
Gli effetti della sregolata politica sul clima dureranno decenni. Jody Freeman, professore di diritto ambientale all’Università di Haward è categorico: «Puoi applicare delle regole per tutelare l’aria e l’acqua. Ma il cambiamento climatico è un fenomeno complesso e non funziona in questo modo». Freeman è stato consigliere di Obama. L’elevato inquinamento ha già prodotto delle ripercussioni sul clima: uragani violenti e numerosi; ondate di calore anomale che creano siccità di lungo periodo; incendi difficili da domare. Spiega Freeman,
Questi sono effetti già irreversibili.
Ma c’è un altro grande ostacolo per Biden: la Corte Suprema è nella mani dei giudici conservatori, un fattore che rischia di frenare la sua azione politica e la volontà di essere il “presidente del clima”. Nella mentalità dei repubblicani, osserva il New York Times, sono difficili da digerire atti esecutivi che mettono pressione all’industria americana, affidando più poteri alle agenzie federali.
L’eredità di Trump sul clima è avere ignorato l’allarme degli scienziati
A lungo hanno avvertito che se i gas serra avessero superato le 400 particelle per milione mantenere la temperatura media globale entro i due gradi centigradi sarebbe stato più difficile. Nel 2016, quando Donald Trump è stato eletto, l’anidride carbonica è arrivata oltre le 400 particelle per milione.
Il presidente uscente ha sempre sostenuto che le restrizioni ambientali sono dannose per il mercato del lavoro. Eppure la scelta di una maggiore deregulation ambientale non ha giovato a quei settori in crisi già da tempo: il declino del mercato delle automobili è iniziato indipendentemente dalle regolamentazioni sull’inquinamento atmosferico. Allo stesso modo, la produzione di carbone che nel 2020 ha raggiunto il minimo storico dal 1978.
La Francia ha bloccato la fornitura di gas naturale – per oltre sette miliardi di dollari -perché negli Stati Uniti l’estrazione avviene senza controlli. Nel maggio scorso, nonostante i lockdown generalizzati, le particelle di anidride carbonica nell’atmosfera hanno toccato un record mai raggiunto nella storia dell’umanità.
Non resta molto tempo
Secondo gli scienziati se Biden non agisce in fretta, 1,8 miliardi di metri cubi di gas serra potrebbero riversarsi nell’atmosfera entro il 2035, vanificando ogni sforzo nella lotta alla crisi climatica. Nel 2018 la comunità scientifica ha chiarito che per contrastare il global warming tutti i paesi avrebbero dovuto tagliare del 45 per cento le emissioni di gas serra dal 2010 al 2030. Laurence Tubiana, ambasciatore capo sul clima in Francia durante la Cop21 del 2015 ha dichiarato:
Quando gli Stati Uniti torneranno a combattere per il clima sarà un sollievo per tutti.
Ma Biden non può pretendere di agire da solo. Ci sono due grandi attori, con i quali è cruciale dialogare: l’Unione europea e la Cina. Entrambi nel frattempo si sono portati avanti nella lotta al cambiamento climatico.
Chiara Colangelo