Leonor Fini: “la furia italiana a Parigi”, come la chiamò Max Ernst, coinquilina di Salvador Dalì durante la seconda guerra mondiale, amica dei maggiori esponenti del surrealismo artistico e letterario, pittrice autodidatta di quadri e litografie.
Leonor Fini (Bueno Aires, 1970- Parigi 1996), pittrice argentina di origini triestine. Autodidatta, passa la sua infanzia a Trieste dove entra in contatto con intellettuali come Umberto Saba e Italo Svevo. La sua prima esposizione personale avviene all’età di 17 anni, e nello stesso periodo si trasferisce per un breve soggiorno a Milano, dove conosce i pittori Funi, Carra, Tosi, scoprendo la scuola di Ferrara. Nel 1931 si trasferisce a Parigi dove diventa molto amica dei maggiori esponenti del surrealismo, pur non entrando mai interamente nel movimento.
È, difatti, molto difficile stabilire un unico stile per i quadri di Fini. Ma questo perché, di fondo, è difficile dare al surrealismo una sola definizione, un solo stile, una sola linea narrativa.
I maestri del surrealismo si differenziano moltissimo tra di loro eppure ognuno di essi è esempio e portavoce delle tante sfaccettature del surrealismo: c’è il viscoso e molle surrealismo dell’inconscio di Dalì, dove i desideri e le paure si impastano poco prima di svegliarsi oppure il poetico e soave sogno di Magritte, dove persino le rocce fluttuano nell’aria e ogni cosa è rimessa in discussione. “Esiste un altro mondo, ma è dentro questo qui”, ci dice Éluard e noi non possiamo che credergli.
Leonor Fini prende boccate di aria fresca da tutto ciò e ne fa uno stile suo nel quale è possibile riconoscere molteplici influenze ma che non si può inquadrare dentro una sola cornice. Tuttavia, senza bisogno di costringere le sue rappresentazioni dentro una definizione ci si può abbandonare ad esse così come ci vengono offerte.
Ci sono quadri così delicati da sembrare pastelli piuttosto di olio su tela, dalle raffigurazioni leggiadre e inspiegabili: figure pallide e dai volti assonnati e con occhi grandi ben fissi sullo spettatore, contornate da colori vividi e accesi nelle loro rappresentazioni di un inconscio ancora tutto da esplorare tra sensualità e innocenza;
e ci sono altri quadri, invece, definiti e pesanti, cupi e decadenti, da sembrare prodotti di un’altra mente, ma come ogni essere umano sulla terra, è proprio la stessa mente che si è concessa il privilegio del cambiamento, personale e artistico.
I suoi ritratti più celebri, quelli dei primi anni a Trieste, invece, non sono altro che rappresentazioni fedeli della realtà, senza reinterpretazioni o elementi esterni.
Dunque chi o cosa è, Leonor Fini?
Forse null’altro che un’artista eccentrica che ha avuto la buona idea di fare di ogni sua esperienza ricchezza e di sperimentare e ampliare sempre il suo modo di vedere le cose senza soffermarsi in una sola interpretazione. In un documentario sulla sua permanenza in Corsica, lei dice:
[…] Quando mi chiedono come faccio a dipingere, io rispondo: “sono” e nient’altro.[…]
Di curioso, nella sua vita, oltre le varie amicizie che l’hanno portata in giro per il mondo -da Anna Magnani nel suo soggiorno romano ad André Breton, con il quale è partita a New York per la sua prima esposizione oltreoceano-, c’è lo storico -storico a tutti gli effetti- triangolo amoroso con il console del Principato di Monaco Stanislao Lepri e l’intellettuale polacco Konstantin Yelensky che durò per ben trentasette anni.
La testimonianza di Leonor Fini è dunque questa: la bellezza della sperimentazione. Poco importa lo stile, la corrente, il movimento. Di surrealismo non esiste solo un punto di vista, ma molteplici, proprio come ognuno di noi ha un suo inconscio e produce sogni differenti gli uni dagli altri. Così è il mondo, e anche l’altro: quello dentro questo qui.
Gea Di Bella