La battaglia delle Termopili, rappresenta uno degli snodi nevralgici militari della storia mediterranea, nonché uno degli eventi maggiormente impiegato dalla propaganda militare dal V secolo a.c. ad oggi. La storia del mondo trabocca di battaglie, in cui strenue resistenze hanno ispirato miti e leggende. Soprattutto se si considerano epoche in cui le gesta belliche ricoprivano un ruolo eccellente all’interno dell’offerta formativa di popoli e nazioni. Poche, però, hanno raggiunto la diffusione trasversale di Leonida I di Sparta e i suoi 300.
Nonostante proprio queste leggende, questi racconti abbiano cercato di raccontare e trasmettere, raramente, Davide ha sconfitto Golia. Raramente, le piccole forze hanno sconfitto i grandi eserciti, se non con l’aiuto di un altrettanto grande esercito giunto in suo soccorso.
Ecco la storia delle Guerre Persiane, in particolare proprio la battaglia delle Termopili, rappresenta un’eccezione. Una di quelle volte in cui il gesto ha avuto una potenza tale da rendere impossibile che la propaganda potesse distogliere il proprio famelico sguardo.
La performance di Leonida I di Sparta e della sua guardia personale composta da 300 guerrieri che nel 480 a.c., per tre giorni, resiste all’avanzata Persiana presso lo stretto delle Termopili, ha avuto grande fortuna all’interno della narrazione storica in ogni epoca, ispirando propaganda, letteratura e cinema.
IL RACCONTO MILITARE DEI RACCONTI MILITARI
Innanzitutto la storia della battaglia delle Termopili contiene al suo interno molti degli elementi che “una storia di successo”, del secolo scorso, conteneva ma, occorre sottolinearlo, senza ricorre alla fantasia o all’immaginazione. Sono presenti coraggio, sacrificio, patriottismo e vede protagonisti militari addestrati il cui numero esiguo terrorizza e argina i grandi numeri dell’esercito invasore. Come riportato dalle fonti, inoltre. Leonida prende la decisione di schierarsi alle Termopili nonostante il parere contrario dei sacerdoti. In quelle incandescenti giornate di agosto le Carnee, festività religiose molto care a Sparta, vietavano al re di intraprendere azioni militari.
Ora, chiaramente, quella che ci è pervenuta è la ricostruzione da parte della forza vincitrice e, dunque, già di per sé contaminata dagli evidenti influssi celebrativi. Ciò nonostante, la ricostruzione storica e archeologica conferma come in qui giorni di agosto, effettivamente, l’armata reale spartana (300 unità, da qui il numero) coadiuvata da due migliaia di altri greci liberi riuscì a fermare alle Termopili circa 250.000 persiani guidata da re Serse in persona. Tre giorni che diedero il tempo alle altre polis di unirsi e prepararsi all’invasione. La circostanza poi, che uno dei re di sparta fosse caduto in battaglia galvanizzo gli animi greci coinvolgendo anche chi era rimasto “svizzero” fino all’ultimo.
L’evento diede popolarità ai soldati di sparta in tutto il mondo “allora conosciuto”, usando un espressione tremendamente occidentalista. Le loro meccaniche militari, il loro metodo di allenamento e di alimentazione, il loro approccio al conflitto e alla politica. Il corrispettivo della popolarità che ottiene una squadra dopo aver dominato un campionato o un torneo.
Se a tutto questo si aggiunge come la Grecia del quinto secolo sperimentasse la democrazia, rispetto la teocrazia persiana di Serse, il gioco è fatto. Quale scrittore, regista, pittore o politico non vorrebbe parlarne?
MADE IN USA
Un’occasione che non poteva lasciarsi sfuggire la grande propagandistica americana del secondo dopo guerra. La storia delle Termopili diventa nel 1962, “L’eroe di Sparta” in un momento in cui vanno molta di moda i peplum, film storico-mitologici di ambientazione approssimativamente greco-romana, poco importa, molto cari agli USA del boom economico.
La storia fa il salto di qualità solo successivamente. Soprattutto, considerando l’impellente necessità narrativa statunitense da affiancare alla propria politica estera. In occasione prima della Guerra Fredda e, poi, dell’11 settembre, in questi due caldissimi frammenti storici, nasce 300 graphic novel di Frank Miller, maestro del fumetto americano e poi pellicola di Zack Snyder, muscolare regista statunitense.
L’opera grafica viene pubblicata nel 1998. Rappresenta l’espressione di un fumetto brutale e coerente, in cui l’omaggio alla pittura vascolare attica incontra violenza e decadenza del comics statunitense di fine anni ’90. Un risultato senza precedenti nel genere, in cui gli spartani massacrano persiani con un realismo impareggiabile. Lance, scudi, elmi, schinieri e formazioni militari resi enfatizzati ed epici, dimostrano di affondare profonde radici nella storia classica.
Allo stesso modo “300” di Zack Snyder, rappresentato un momento importante nella cultura popolare dei primi anni 2000. Un blockbuster, diventato cult, in grado di suscitare reazioni tra le più diverse e controverse. Un film arrivato nelle sale nel pieno della “Guerra al terrore” , a dir poco pretenziosamente proclamata da George W Bush. L’uscita della pellicola venne, anche comprensibilmente, accompagnata da una serie di polemiche legate più alla scelta tematica, che all’effettivo contenuto dell’opera.
Si parlò, voci mai chiarite, di una versione alternativa della battaglia, messa in cantiera dall’Iran, addirittura. Il film non è mai arrivato nelle sale, diventando l’ennesima urban legend della storia del cinema.
ABBIAMO ANCORA BISOGNO DELLE TERMOPILI?
Le Termopili sono state impiegate da ogni resistenza occidentale per legittimare i propri sforzi e, allo stesso tempo, è stata impiegata a fini razzisti per dimostrare la superiorità occidentale contro un nemico orientale ed inferiore. Proprio per questo, interrogarsi sul bisogno e sulla qualità della narrazione militare rappresenta una doverosa necessità. Gli eventi che viviamo lo suggeriscono con una determinata prepotenza.
Nel secolo scorso, complice l’impatto culturale dirompente del secondo conflitto mondiale, le gesta eroiche del soldato al fronte rappresentavano una fetta importante della grande torta dell’intrattenimento. Una fetta che cresce, se si fanno girare indietro le lancette nel quadrante della storia. Oggi l’archetipo narrativo del soldato buono impegnato in un scontro con il guerriero straniero cattivo rappresenta, indubbiamente, un bias da superare. Nonostante questo, però, catalogare l’intera narrazione militare come un immenso bacino di racconti incrinati, distorti e perversi rappresenta un errore da non commettere.
Ci sono stati momenti in cui il progresso civile e sociale è passato da encomiabili proteste non violente, dal coraggio di non impugnare le armi utilizzando altri strumenti. Eventi che devono rappresentare il paradigma futuro di gestione dello scontro. Allo stesso tempo, ci sono stati momenti in cui resistere e difendersi ha significato rispondere all’aggressione, all’invasione. Un approccio, spesso, dovuto dalla necessità di un risposta sicura e tempestiva ad una minaccia concreta.
Questi fatti non devono essere dimenticati ma volta spolverati, ripuliti dell’inevitabile propaganda posatasi sopra.
Alessio Briguglio