Leonardo Caffo, filosofo antispecista, è noto come un severo critico dell’insostenibilità ecologica ed etica della società dei consumi. Nel 2017 pubblicava Fragile Umanità (Einaudi), un saggio oggi profetico per l’ipotesi di un’imminente emergenza da imputare allo sconsiderato sfruttamento degli ecosistemi. Di recente, queste tesi sono state riprese in Dopo il Covid-19. Punti per una discussione, pubblicato gratuitamente con Nottetempo lo scorso 8 aprile. In questo saggio il filosofo ha presentato la pandemia come l’ultima occasione per rivedere i modelli di vita e consumo vigenti, pena la nostra estinzione.
Raggiunto telefonicamente per un’intervista, Leonardo Caffo mi ha spiazzata. Abituata al confronto con accademici ingessati nella posa di statua equestre, mi sarei aspettata una conversazione pacata e istituzionale. Mi sono trovata di fronte, invece, un giovane stufo marcio della miopia delle istituzioni e del pensiero accademico. Un padre preoccupato per il futuro, che rifletteva aggirandosi per casa accompagnato in sottofondo dai vocalizzi sorridenti della figlia Morgana, nata in piena emergenza. Un uomo che incarna l’impegno di quello strumento bistrattato che è il pensiero per rendere immaginabile – e, dunque, possibile – un mondo migliore. Per chi c’è e per chi verrà.
In Dopo il Covid-19, Lei argomentava una tesi forte: o si trasformano radicalmente le società capitaliste, o per la nostra specie sarà il tracollo. Nel prospettare alternative al modello che ha reso possibile la pandemia, però, Leonardo Caffo sembrava cautamente ottimista. Guardando alla situazione attuale, il suo atteggiamento è ancora lo stesso?
Onestamente, no. Stiamo affrontando il post-Covid come se il virus fosse un agente esterno giunto a interrompere il glorioso percorso dell’umanità. Non la conseguenza, inevitabile, di un modo assurdo di interagire con l’ambiente. Non sento parlare dei cambiamenti radicali necessari in ambito sanitario, economico, culturale: ci si sta preoccupando solo di far ripartire l’economia. Mi sarei aspettato, almeno nell’agenda immediata dell’Unione Europea (se non dei singoli Stati), strategie a lungo raggio per contrastare le condizioni di possibilità del virus. Proposte riguardo l’alimentazione, la sovrappopolazione urbana, lo sfruttamento delle risorse. Magari l’organizzazione di un welfare state grazie alla tassazione delle grandi aziende straniere. Non si nasce per scelta, perciò dovrebbe esistere un reddito universale che garantisca sopravvivenza e dignità a ciascuno anche quando il lavoro manca. Sono proposte nell’interesse delle generazioni presenti e future, tranquillamente immettibili nell’agenda europea. Eppure, niente di tutto ciò è all’orizzonte, è come fosse fantascienza.
Il Covid-19 era – e sarà, perché non credo sia finita qui – l’occasione per comprendersi parte di una comunità umana che sta pagando i propri errori. Se siamo e restiamo, come sembra, incapaci di adottare adesso strategie collettive in risposta a questa situazione, fatico a immaginare quando potremmo. Perciò, anche se trovo insopportabile il pessimismo per partito preso, non mi sembra sensato essere ottimisti in queste circostanze.
Come possono i cittadini esigere dalle istituzioni, allorché queste manifestano la propria inadeguatezza, l’attuazione di tali strategie?
Purtroppo, lo spazio di manovra dei cittadini è molto limitato dal marasma comunicativo che ormai è la normalità nello spazio pubblico. Esso è generato tanto dai social network quanto, soprattutto, dall’abbassamento del livello culturale frutto del progressivo peggioramento di scuola e università. La lungimiranza e la competenza di chi governa e l’accesso alla voce dei cittadini passano entrambi da una riforma dell’educazione, oggi più urgente che mai. Basti pensare al tracollo educativo visto durante l’emergenza: è evidente che ci occorrono modelli formativi diversi, che ibridino cultura artistica, filosofica, economica, agricola, tecnologica. Alle nuove generazioni non servono nozioni apprese a memoria, ma saperi e pratiche per la cura di sé e del mondo.
Questo contrasta con l’impostazione corrente e, soprattutto in università – lo dico a malincuore e per esperienza –, con un sistema di carriera francamente vomitevole. Ecco perché non basta una piccola riforma: è il momento di buttare giù tutto e ricostruire daccapo. Senza paura di mettere in discussione gruppi di potere o realtà come il valore legale del titolo di studio, privilegiando invece le capacità reali.
Qual è, secondo Leonardo Caffo, il ruolo dei filosofi in questa transizione?
È di moda sostenere l’idea che i filosofi sappiano fare un po’ di tutto, perché “sanno pensare”. Questa è una cazzata. I filosofi hanno delle competenze ben definite, nette, acquisite durante la loro formazione, che vanno applicate in modo mirato. In particolare, essi sanno interpretare dati complessi e valutare strategie tenendo presente la dimensione morale dell’umano, il bene e il male in diversi scenari. Questo ne fa delle potenziali figure chiave nella gestione delle emergenze: per questo trovo assurda la loro assenza dalle task-force a supporto del Governo.
Vero è che il pensiero accademico ha fatto delle figure miserabili in questo periodo, smarrito in sterili competizioni e dichiarazioni allucinanti. Questo a dimostrazione di come rinchiudersi in dispute totalmente astratte faccia perdere il contatto con la realtà proprio quando servirebbe fare fronte comune. Di conseguenza, penso che i filosofi – e gli intellettuali in generale – oggi dovrebbero prima di tutto scendere dal piedistallo. Ricordare, cioè, di essere umani come tutti gli altri: fragili, fallibili, mortali, senza alcun privilegio.
Il rischio maggiore è che, ignorati da una società sempre più incolta, queste figure scelgano l’isolamento e restino a guardare il mondo crollare. Invece, devono in ogni modo condividere il proprio sapere, specialmente se acquisito prima che la tecnologia e l’intrattenimento monopolizzassero le risorse della nostra mente. Devono educare, insomma: con video, post, commenti, senza trascurare i prodotti e gli strumenti culturali più recenti ma analizzandoli, colonizzandoli, facendone spunto di riflessione. Perché quella che ci serve adesso non è una riforma economica o sanitaria in primis, ma valoriale.
A proposito di valori, nell’intervento del 28 aprile a Tagadà Lei affermava di temere che sua figlia Morgana possa non conoscere la libertà. Ho avuto la sensazione che Leonardo Caffo intendesse la libertà come qualcosa di più profondo del poter viaggiare o non dover indossare la mascherina. È corretto?
Sì. Per me la libertà è l’autonomismo morale: la possibilità e la capacità di decidere razionalmente della propria vita nel rispetto reciproco. Sarò molto chiaro: se per “libertà” intendiamo qualcosa di più del poter fare quello che ci pare, questa condizione andava assottigliandosi anche prima del Covid-19. Perché l’educazione stava fallendo miseramente nel trasmettere alle nuove generazioni la consapevolezza di poter plasmare liberamente la propria esistenza. Ossia, di poter scegliere o inventare modelli alternativi a quelli che di noi fanno soprattutto dei consumatori. Anche per questo penso che serva con urgenza una riforma radicale del sistema educativo.
La posta in gioco di questa riforma è alta: essa contribuirebbe a un’evoluzione non solo culturale degli umani che siamo. In Dopo il Covid-19, infatti, Lei suggerisce che, superando i modelli attuali, si farà strada di una specie diversa da Homo Sapiens, il Post-umano Contemporaneo. Quali tratti contraddistinguerebbero la nuova specie?
Dalla biologia sappiamo che, quando una nicchia ecologica inizia a collassare, magari per esaurimento delle risorse, talvolta una specie – anziché morire – comincia a speciare. Vale a dire: muta i propri comportamenti per sopravvivere e, pur restando identica nell’aspetto, si avvia a diventare una specie biologicamente diversa. Ciò, secondo me, sta già accadendo oggi all’Homo Sapiens. Chi sceglie un regime alimentare vegetariano o di tornare alle campagne dalle città non esprime solo un diverso paradigma culturale, ma un cambiamento specie-specifico. Come nella speciazione simpatrica, l’Homo Sapiens e il Post-umano Contemporaneo coesistono ignorando di appartenere a specie diverse: solo nel futuro vedremo gradualmente queste specie distanziarsi. Per ora, come sostenevo già in Fragile Umanità, tendenzialmente si rispettano reciprocamente e si prestano mutua assistenza.
Culturalmente, il Post-umanosarà caratterizzato dalla costruzione di piccole comunità con uno stile di vita diverso dal mainstream. Nonché, naturalmente, dal costante farsi carico dei danni arrecati da Homo Sapiens all’ambiente nel tentativo di ripararli. Dapprima, è ovvio, ci sarà uno sbilanciamento di potere a favore della specie precedente. Poiché questa, però, si aggrappa a un modello insostenibile per l’ecosistema, lo sbilanciamento sarà solo temporaneo. Oggi il Post-umano è minoritario, ma dopo l’inevitabile collasso del sistema questa specie ripopolerà il pianeta. Semplicemente perché è la sola in grado di comprendere e gestire la propria costitutiva fragilità, ontologica e concettuale.
A fine maggio, sui profili social si segnalava l’uscita imminente di un nuovo libro di Leonardo Caffo: Quattro capanne o della semplicità, edito da Nottetempo. Nella descrizione del testo, la semplicità sembra un modo fondamentale per affrontare questa fragilità dell’umano, per prendersene cura. Ci può spiegare, allora, la sua idea di semplicità e che ruolo questa potrebbe avere nel nostro prossimo futuro?
Spesso si pensa e si descrive la filosofia come pensiero del complesso, eppure il suo principio guida è la semplicità. Lo vediamo, ad esempio, nel “Rasoio di Occam”, principio metodologico che ci spinge alla semplificazione nell’affrontare problemi complessi. Ma lo vediamo anche e soprattutto nello stile di vita del saggio, che semplifica la propria esistenza da tutto il superfluo. Noi facciamo l’opposto: viviamo esistenze oberate da obblighi e impegni assurdi, che ci rendono stressati, ansiosi, infelici. In effetti, il capitalismo a ben guardare sembra una forma di horror vacui piuttosto sofisticata – e cruenta. Per questo, secondo me, dobbiamo assolutamente recuperare questo principio guida della filosofia: in esso è racchiusa una vera possibilità di cambiamento.
In questo libro ho raccontato le vicende di alcune persone che, di fronte a società dalle quali non si sentivano rispecchiate, hanno scelto l’individualismo metodologico. Ovvero, hanno provato a rendere felice la propria esistenza eliminando tutto ciò che appesantiva le loro vite. Ho cercato di dare un messaggio positivo che mi sembra urgente: esiste sempre un piano B, un’uscita di emergenza. Una speranza di felicità.
Sui social, nel lanciare Quattro Capanne Leonardo Caffo lo descrive come il libro della sua uscita dalla filosofia e dell’ingresso nella vita. Che cosa intendeva?
Intendevo che, sinceramente, sono stufo della filosofia accademica: non ne posso più. Sono stato una vita a leggere e scrivere per apprendere e raccontare cose che avrei scoperto con maggior piacere uscendo a fare una passeggiata. Perciò, questo è un libro in cui – sotto traccia – faccio esplodere il metodo classico della filosofia e cambio radicalmente. E invito tutti a cambiare: a uscire, a fare una passeggiata nel parco.
Leonardo Caffo diventa simile a Epicuro, il filosofo del giardino?
No, non direi. Piuttosto, divento una persona normale, niente di che. Non so davvero se questa, oggi, possa essere la più alta aspirazione per un filosofo. In questo momento, posso solo dire che è la mia.
Qualche giorno dopo l’intervista, Leonardo Caffo pubblicava sui suoi social un’altra anteprima del suo ultimo libro. Una pagina che diceva:
«Fatti, cose e persone citati in questo libro sono puramente immaginari. Immaginari come lo è la filosofia. Immaginari come la tua vita».
Sono davvero curiosa di scoprire, leggendolo, cosa Caffo intendesse dire. Mi ha evocato, però, un’altra frase, letta in Dopo il Covid-19: «è così inverosimile immaginare un mondo diverso?».
Forse, oggi, il nostro futuro è la posta in gioco di una partita che si gioca soprattutto sul terreno dell’immaginario. Un mondo diverso è possibile – e decisamente auspicabile. Ma non diventerà realtà finché, collettivamente, non ci saremo disposti a immaginarlo davvero. E a volerlo. Il tempo stringe: l’occasione che ci si presenta oggi – Leonardo Caffo ha ragione – potrebbe davvero essere quella decisiva, l’ultima per il futuro di tutti noi.
Valeria Meazza