La Commissione Federale Statunitense per la libertà vigilata ha respinto ancora una volta la richiesta di scarcerazione di Leonard Peltier, attivista nativo-americano dell’American Indian Movement in carcere dal 1977 per l’omicidio di due agenti dell’FBI all’interno della Riserva Indiana di Pine Ridge. Il detenuto, ormai ottantenne e in precario stato di salute, ha forse perso l’ultima possibilità della sua vita per riacquisire la libertà.
Persa anche l’ultima speranza: Leonard Peltier resta in prigione. La richiesta di scarcerazione, presentata all’udienza il 10 giugno di quest’anno, è stata respinta dalla Commissione Federale Statunitense per la libertà vigilata.
Peltier, 80 anni a settembre, venne condannato a due ergastoli nel 1977 per aver ucciso due agenti dell’FBI all’interno della Riserva Indiana di Pine Ridge, durante alcuni disordini tra nativi, civili americani e FBI. L’attivista si è sempre dichiarato innocente.
Si tratta della seconda opportunità persa per Peltier, che già nel 2009 aveva visto respinta qualsiasi possibilità di ottenere la libertà vigilata. Da allora sono passati 15 anni, e le condizioni di salute dell’uomo volgono al peggio: Amnesty International USA, che segue il caso fin dal processo del 1977, afferma che Peltier è in pericolo di vita a causa di svariate gravi patologie contratte negli ultimi anni, e che l’opposizione alla sua scarcerazione è una chiara violazione dei diritti umani fondamentali.
Leonard Peltier: dall’attivismo all’accusa per omicidio
Nativo della comunità Anishinaabe-Lakota, Peltier sperimentò fin da giovanissimo le oppressioni e le discriminazioni a cui erano sottoposti i nativi-americani negli anni ’60, maturando un intenso desiderio di rivalsa che lo spinse, neanche trentenne, a divenire militante per l’American Indian Movement (AIM), promuovendo i diritti e le cause del popolo nativo-americano.
Il 26 giugno 1975, una comunità di nativi interna alla riserva di Pine Ridge chiese l’intervento dell’AIM a causa di tensioni tra agenti dell’FBI e gruppi armati civili. 17 attivisti entrarono nella riserva; tra loro c’era anche Peltier. Due agenti del Bureau in borghese giravano nella riserva a bordo di veicoli non contrassegnati alla ricerca di un ragazzo accusato di furto. Per motivi mai chiariti, si innescò una sparatoria: a morire furono i due agenti speciali FBI, di 27 e 28 anni, e un attivista AIM. L’unico condannato per l’accaduto fu Peltier.
La testimone chiave che durante il processo del 1977 aveva affermato di aver visto Peltier sparare, in un secondo momento ritrattò e modificò la sua testimonianza. Non solo: nel 2000 la stessa dichiarò che le sue dichiarazioni messe agli atti nel ’77 erano state frutto di minacce e intimidazioni da parte dell’FBI. Nonostante ciò, a processo vennero considerate attendibili solamente le primissime parole della donna, e Peltier, dichiaratosi sempre innocente, ottenne in via definitiva il massimo della pena.
Negli anni ’80 la difesa portò prove balistiche che avrebbero potuto dimostrare l’innocenza di Peltier, ma non vennero ritenute valide a processo perché, a detta della Corte, mettevano in luce alcune sconvenienti scorrettezze da parte dell’FBI.
Nonostante la Commissione Federale per la libertà vigilata abbia in più occasioni riconosciuto l’assenza di prove concrete che colleghino Peltier agli omicidi, la scarcerazione gli è sempre stata negata.
Ancora libertà negata: una violazione dei diritti umani
Le dichiarazioni di Paul O’Brien, direttore generale di Amnesty International USA, sono chiare: la libertà negata a Leonard Peltier è una violazione dei diritti umani fondamentali, e al contrario la sua scarcerazione rappresenterebbe un incoraggiante segnale di umanità da parte del sistema giudiziario statunitense. L’uomo è anziano e molto malato, e la detenzione potrebbe peggiorare ulteriormente la sua condizione. Ecco le parole di O’Brien:
Peltier ha trascorso sin troppo tempo in carcere. La Commissione avrebbe dovuto garantirgli la libertà e fargli trascorrere ciò che resta della sua vita all’interno della sua comunità e circondato dai suoi cari. Nessuno dovrebbe essere imprigionato a seguito di un processo segnato da incertezze sulla sua correttezza. Chiediamo ancora una volta al presidente Biden di concedere la grazia a Peltier per motivi umanitari. È una questione di umanità e giustizia.
Oltre che da Amnesty International, la grazia per Leonard Peltier è stata più volte chiesta da svariati premi Nobel per la Pace, tra cui Desmond Tutu, ma anche dalla tribù Standing Rock Sioux e dal Congresso Nazionale degli Indiani Americani. Gli avvocati del detenuto hanno richiesto la grazia al Presidente Obama nel 2016, e nel 2021 anche a Joe Biden, per il momento invano.
Biden: l’ultima speranza per il nativo-americano
La libertà negata ancora una volta dalla Commissione statunitense, costringe Peltier e tutti i suoi sostenitori a riporre le ultime speranze nella grazia che può essere concessa solamente dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
A prescindere dall’effettiva innocenza o meno del nativo-americano, è evidente che egli abbia subìto un processo iniquo, probabilmente imputabile alla sua origine, al suo attivismo e certamente penalizzato dal coinvolgimento nel delitto del Federal Bureau, non di certo noto per la trasparenza delle sue operazioni.
Riponiamo quindi la speranza nel Presidente Biden, che, ormai a fine mandato, ascolti l’appello di Amnesty International concedendo la grazia a un detenuto ormai gravemente malato e in carcere da ben 48 anni. Come scrive Amnesty, la sua liberazione, a 80 anni di età, non è più una questione di amnistia, ma solamente di umanità e giustizia.
Michela Di Pasquale