Case gonfiate di vita reclusa, strade svuotate e pattugliate solo da sentinelle della clausura, scuole chiuse, città isolate e lavoratori costretti a casa. Mentre la vita fuori sembra essersi fermata, la vita dentro è tenuta in una botola di paura e noia nella speranza che tutto questo finisca presto e senza danni irreparabili. Le (poche) persone che escono per necessità o per lavoro lo fanno tenendo al guinzaglio la paura mentre questa col muso cerca di trascinarle nella diffidenza al prossimo.
Nel giro di poche settimane, lo spettro del virus ha cambiato drasticamente il nostro modo di vivere la socialità. Mani lavate a perdifiato, mani tenute a debita distanza dal viso, mani vestite di guanti, mani tenute in tasca lontano dal lavoro, mani che si sta ben attenti non tocchino o sfiorino l’altro per la paura possa nascondersi un nuovo untore. Sull’altare sacrificale rischia di finirci l’empatia.
La cronaca di questi giorni ci restituisce la fotografia di un’Italia claustrofobica, diffidente e martoriata dalla paura, oltre che dal virus. A tutti sembra di stare sul set di un film, a nessuno è chiaro come questa escalation di contagi possa essersi espansa così tanto, proprio qui nel Belpaese. La sceneggiatura è quella tipica dell’apocalisse, ma, anziché avere i protagonisti classicamente riuniti nelle navate di una chiesa, si rimane da soli, slegati dai rapporti affettivi e dai contatti sociali quotidiani.
Ogni crisi è un’opportunità
I luoghi di culto si barricano dietro i portoni – giustamente come evidenzia l’arciverscovo di Bologna su L’Espresso – proprio ora che il messaggio cristiano suona terribilmente attuale. Ruvidamente necessario. Ama il prossimo tuo come ami te stesso. Anche, e soprattutto, nei periodi di carestia, di epidemia. Perché dietro ad ogni crisi si nasconde un’opportunità, come gli antichi greci avevano già intuito e sintetizzato nella parola κρίσις che vuol dire scelta, decisione. Oggi l’opportunità è vincere con l’amore, che, se è vero che cambiano i modi per amare ai tempi del coronavirus, non cambia affatto la sua forza. L’amore è qualcosa di profondamente umano. Abbraccia ogni essere umano solo per il fatto di essere al mondo. Accoglie l’umanità dentro l’empatia. E di fronte alle richieste di aiuto allunga la mano per aiutare, sinceramente, l’altro.
La luce degli italiani brilla nella notte dei contagi
Di questo periodo, buio come il sonno senza tempo, una sola luce brilla nel cielo solitario. È la luce dei milioni di italiani che in questi giorni hanno unito il sacrificio e raccolto ingenti donazioni per soccorrere la sanità, i medici, gli infermieri e i pazienti contagiati dal coronavirus. Gli italiani hanno dimostrato valido l’asserto per cui l’amore si mette alla prova e si consolida nella crisi. Non a caso, il giorno del giudizio, cioè la divisione degli uomini in beati e dannati, coincide con il giorno dell’Apocalisse, col male che sembra trionfare sul bene ma ne esce sopraffatto.
È scontato dirlo, ma è necessario ribadirlo. Voler bene è facile quando tutto fila liscio, quando il destino sembra complottare affinchè tutto torni alla perfezione, lo è un po’ meno quando subentra il male, quando tutto sembra perduto o, peggio, destinato a far crollare con sé l’umanità. Il tempo dell’avarizia deve trasformarsi in un brutto lontano ricordo. È giunto il tempo di mostrare che l’amore è vivo soprattutto nei periodi bui. Di mostrare i denti non contro un altro uomo, ma contro un nemico biologico comune. Ritorna la forza dell’unione. E ritorna il motto cristiano dell’amore incondizionato per il prossimo. Prossimo che non è a scelta del singolo uomo. Prossimo che significa più propriamente l’altro. Amare l’altro come si ama se stessi.
L’empatia ci guarirà dalla paura
In psicologia, questo si può tradurre (sommariamente, ma efficacemente) nel concetto di empatia. L’empatia si definisce come una forte attivazione emotiva caratterizzata da compassione, tenerezza, simpatia da parte di una persona che ne osservi, o ne percepisca, un’altra in difficoltà. L’osservatore empatico assume il punto di vista dell’altro in difficoltà, riuscendo così a cogliere i connotati della sua condizione per poter intervenire in suo favore. Ne scaturisce che una maggiore empatia è correlata ad una maggiore sovrapposizione tra il proprio sé e il sé dell’altro. In questo modo si crea un senso di unità interpersonale in cui, grazie alla somiglianza percepita, la distinzione fra me e l’altro si fa più labile.
A torto, siamo portati a credere che amare l’altro, aiutare l’altro implichi in qualche modo annullare se stessi. Ma non è così. Se si percepisce l’altro come parte di sé, allora aiutare il prossimo significa aiutare se stessi. Calati nei panni dell’altro o, per meglio dire, negli occhi dell’altro, possiamo dire che amare il prossimo in fondo significa riconoscere nell’altro un briciolo della propria identità.
Siamo inevitabilmente sulla stessa barca, lanciata a bomba contro un iceberg. Qualcuno, è vero, si trova ai piani superiori, qualche altro ai pieni inferiori a sgobbare, ma rimaniamo comunque confinati sulla stessa imbarcazione. L’unico modo per sopravvivere ed evitare lo schianto con la natura, che ci ricorda quanto finiti siamo, è alzare gli occhi dalle proprie preoccupazioni, osservare l’altro e trovare nell’unione la forza di aiutarsi a vicenda per sconfiggere il male comune e, avvinti nell’ottimismo della volontà, rivoltare su se stessa la paura, mentre, con l’umanità, si trova il senso dell’amore.
Così, torneremo ad abbracciarci. Sorridenti e con le lacrime che scendono, sospinte dal peso della gioia.
Axel Sintoni