Cosa sono le leggi Ag-gag? Forse non sarà un giurista qualunque a sapervi rispondere, ma un agricoltore o allevatore con qualcosa da nascondere, oppure un attivista per l’ambiente o per il benessere animale, vi risponderà con “leggi bavaglio”. Alcuni paesi infatti, hanno già adottato simili sistemi di repressione mediatica, che rendono illegale qualsiasi ripresa, reportage o inchiesta all’interno degli stabilimenti nel settore agricolo. Leggi ad-hoc per tutelare gli agricoltori e l’economia, oppure una violazione del diritto alla libera informazione?
Le leggi “bavaglio” Ag-gag non riguardano intercettazioni fra politici come la cronaca italiana ci ha insegnato, bensì più nello specifico immagini, riprese audio e video, e tutti quei mezzi con cui di solito i giornalisti, insieme alle associazioni ambientaliste e per i diritti degli animali, documentano gli abusi e i maltrattamenti nel settore agricolo: non soltanto negli allevamenti, ma in generale qualsiasi pratica agricola illegale e fonte d’inquinamento. Ad esempio, quelle che talvolta vengono mostrate nelle puntate di programmi televisivi come Report, Presa Diretta, Indovina chi viene a cena, Sapiens, le cui redazioni tra l’altro, proprio di recente hanno ricevuto attacchi per le loro inchieste.
Cosa succede quando a essere imbavagliati e zittiti, sono proprio coloro che si impegnano a dare voce a chi generalmente non ne ha – in particolare animali, piante, ecosistemi naturali – a causa delle pressioni di agricoltori e allevatori colpevoli, e consapevoli, di infrangere la legge?
Evidentemente la questione non riguarda solamente chi ha cuore il benessere degli animali e dell’ambiente: le leggi Ag-gag, proprio come qualsiasi legge bavaglio a noi nota, minacciano innanzitutto uno dei fondamentali diritti di ciascuno di noi: il diritto all’informazione.
Il recente caso italiano
Negli ultimi mesi, l’impatto del coronavirus COVID-19 – un chiaro sintomo ormai, dell’equilibrio compromesso fra uomo e natura – ha portato a interrogarsi oggi più che mai, sulle pratiche con cui l’essere umano si relaziona con l’ambiente. Inchieste come I divoratori del pianeta a cura di Mario Tozzi, o Il virus è un boomerang di Sabrina Giannini hanno affrontato da una parte l’impatto ambientale della produzione di carne su scala globale – che si traduce in deforestazione, inquinamento dei suoli e delle acque, distruzione di interi habitat naturali – dall’altra il legame che tutto questo ha con la diffusione dei virus e con il tragico fenomeno dell’antibiotico resistenza. Evidentemente ciò non è piaciuto ai produttori dell’industria della carne, i quali hanno risposto smentendo le affermazioni contenute nei servizi, e accusando i giornalisti della Rai di creare “sensazionalismo” sulla base dei propri interessi personali, di voler “propagandare” stili di vita “alternativi”, oltre che di “saturare i telespettatori con informazioni imprecise, frammentate e non contestualizzate”.
Le immagini girate negli allevamenti e negli abbattitoi non mentono però, e nemmeno le opinioni di quel largo gruppo di scienziati che da anni concorda sulla correlazione fra pandemie e allevamenti intensivi: “Big farms make big flu” titolava il libro del 2016 di Rob Wallace, le grandi “fattorie” – che di fattorie al giorno d’oggi, hanno solo più l’immagine in etichetta – creano grandi malattie. “Possiamo prendercela con il virus e le usanze alimentari, ma il nesso di causalità si spinge fino ai rapporti tra individui ed ecologia” – ha affermato Rob Wallace (esperto di biologia evolutiva all’Agroecology and rural economics research corps di St. Paul, in Minnesota).
Non è questo comunque il punto: tanto nei servizi di Report, quanto di Indovina chi viene a cena, i giornalisti Rai avevano collaborato con il team investigativo dell’associazione Essere Animali nella raccolta del materiale. Non è la prima volta in effetti, che le indagini dell’associazione in alcuni stabilimenti italiani (e non solo) contribuiscono alle denunce di pratiche illegali in agricoltura, che spesso finiscono in tribunale. Va da sé quindi, che il materiale audio e video raccolto dagli attivisti è spesso indispensabile come prova per le inchieste, e un ipotetico divieto di filmare negli allevamenti renderebbe le indagini molto più difficili. Ho chiesto perciò ad alcuni avvocati e attivisti se si fossero mai imbattuti in simili leggi Ag-gag: la risposta è stata – fortunatamente – no (e al momento pare non vi siano nemmeno proposte).
A proposito poi, della vicenda dei giornalisti Rai, l’associazione Essere Animali, insieme ad altre firmatarie fra cui Greenpeace Italia, Legambiente, LAV ecc., ha espresso solidarietà con questo commento:
Chiedere alla Rai di farli tacere o impedire che trattino specifici argomenti è contrario al concetto di libertà d’informazione, su cui è basata ogni vera democrazia. Pretendere che informazioni di interesse per la salute di tutti siano tenute nascoste al pubblico è un fatto di una gravità inaudita. Equivale a difendere i propri interessi, a scapito di quelli della collettività e dell’umanità intera.
Tutto tranquillo quindi, nessun rischio per il diritto all’informazione di ciascuno di noi? Non esattamente, perchè se per ora, in Italia ancora non esistono leggi bavaglio per l’agricoltura, quella delle Ag-gag non è solamente un’implausibile chimera.
Paesi come Francia, Australia, Canada e alcuni territori degli Stati Uniti si sono già dotati di un tale apparato di repressione mediatica: le principali motivazioni per far approvare le leggi sono il possibile danno all’economia (degli allevatori e del sistema che ruota attorno a loro, fatto di coltivazioni per i mangimi, antibiotici, macelli, smaltimento dei rifiuti eccetera) e la retorica dell’ecoterrorismo. Su quest’ultimo punto in particolare sembrano essersi concentrate le difese degli allevatori e degli agricoltori italiani, in risposta alle ultimi indagini dei giornalisti Rai:
Tali trasmissioni, spesso animate dalla personalistica volontà di propagandare un modello di vita alternativo a quello comunemente diffuso, producono un enorme danno a carico dei principali settori del Made in Italy e dei consumatori. Saturare i telespettatori con informazioni imprecise, frammentate e non contestualizzate, suggerendo la presunta pericolosità del sistema alimentare o l’esclusione di un cibo a prescindere dalle reali necessità di ciascuno, non solo è sbagliato, ma è pericoloso perché minaccia la salute.
(Il testo completo della lettera è disponibile qui).
Se è vero che quello italiano – rispetto ai sistemi di produzione degli altri paesi – vanta standard di sicurezza, sostenibilità e (presunto) benessere animale fra i più elevati al mondo, il materiale raccolto durante le indagini è inconfutabile, e mostra se non altro le “pecore nere” di questo stesso sistema. È per questo che eventuali leggi Ag-gag non dovrebbero mai essere approvate, nel rispetto della libertà di parola, d’espressione e all’informazione. Libertà che si applica quindi tanto a chi realizza riprese e indagini negli stabilimenti – senza incorrere in ritorsioni penali – quanto ai produttori interessati a difendere le proprie “eccellenze”. Ma soprattutto, una libertà d’espressione di cui forse – in quanto silenziosa – spesso ci dimentichiamo: quella dell’ambiente e degli animali, che seppur non potendosi esprimere nella nostra stessa lingua, alla fine sembrano voler lanciare la propria denuncia proprio in momenti come quello attuale.
Le leggi Ag-gag quindi, non servono per contrastare ciò che viene definito ecoterrorismo, né servono a tutelare l’economia dei paesi (neppure in fase di crisi): i soli interessi che vengono tutelati sono quelli di chi ha qualcosa da nascondere e rifiuta l’informazione, mentre il pubblico, certo, ha il diritto di scegliere – attivista o meno, vegetariano oppure no – ma sulla base di informazioni che provengono da tutte le parti coinvolte.
Infine, le leggi Ag-gag rendono criminale chi esercita quest’informazione “violando” la segretezza degli stabilimenti, anziché chi viola l’ambiente e gli animali. Da che parte dovrebbe stare dunque la giustizia?
Alice Tarditi