Questo posto celato risiede oltre piazzale Numa Pompilio, nei pressi di S. Cesareo, sull’Appia Antica. È un’ansa raccolta tra i ruderi antichi che serba delle pitture di pregio dell’XI e XII secolo, riportando alla memoria la leggenda dei santi di Efeso.
Jacopo da Varazze attraverso la sua Legenda Aurea ne tratteggia la vicenda, facendo da io narrante a questo singolare episodio, già preso in considerazione da fonti quali Gregorio di Tours e Paolo Diacono.
Lo scenario storico contemplava le persecuzioni cristiane durante l’impero di Decio (250 d. c.). In tale contesto storico-sociale, sette giovani di Efeso furono accusati di professare il credo cattolico. Il diniego fermo di essi di fare sacrifici ad idoli pagani li tacciò di tradimento all’ordine religioso precostituito e vennero imprigionati.
Ci è stato richiesto di sacrificare agli idoli: ecco cosa vuole da noi l’imperatore, ma dio sa che non sacrificheremo.
Concessagli una tregua con la speranza di una loro repentina conversione, essi donarono i loro averi ai poveri e ebbero l’ardire di nascondersi in una grotta per paventare un prossimo successivo arresto. Sul monte Celion ognuno svolgeva il proprio compito all’interno del gruppo costituitosi, dal procacciarsi il cibo a supplire alle esigenze di sopravvivenza.
Le circostanze fatali comportarono la scoperta del loro nascondiglio con la conseguente pena: vennero murati vivi in loco. I sette giovani si assopirono e la leggenda narra che furono destati, due secoli dopo, da un pastore che voleva deputare il luogo a ovile per le sue pecore.
Vi guardo ed è come se vedessi il Signore che resuscita Lazzaro.
Lo scenario era diametralmente opposto, il credo era tollerato e praticato e divenuto “religione dell’impero”. L’epilogo misterico descrive la morte di questi il giorno stesso in cui ripresero vita e il loro sepolcro venne impreziosito da pietre dorate, secondo il volere dell’imperatore Teodosio II (450 d. c.).
Costanza Marana