In principio fu colpa di (quasi) tutti
“Questa legge elettorale è pessima” oppure “è una truffa”. Quante volte lo abbiamo sentito dire dai nostri leader politici durante questa campagna elettorale?
Come se questa fosse caduta dal cielo, un “dono” della terra che elargisce i suoi frutti. Ma la legge 165 del 2017, nota anche come “Rosatellum”, è una legge elettorale approvata, neanche troppo tempo fa, da molti di quelli che oggi se ne lamentano. Sia chiaro: non che le lamentele non abbiano ragion d’essere. Le distorsioni della rappresentanza dovute a questo sistema sono innegabili, e ora le approfondiremo, ma è bene sottolineare l’ipocrisia di una certa classe dirigente che, in ossequio ad un noto proverbio, ama “lanciare il sasso e nascondere la mano”. E c’è di più: il recente taglio dei parlamentari non ha fatto altro che amplificare le storture già presenti, anziché migliorarle. Ma andiamo con ordine, iniziamo dal principio.
Il “Rosatellum”, una legge elettorale mista
Torniamo indietro di qualche anno. Nel 2017 l’Italia si trovava, dopo una serie di sentenze della Corte Costituzionale, senza una legge elettorale e con una legislatura prossima alla scadenza. A quel punto PD, Lega Nord, Forza Italia e altri partiti minori approvarono la legge elettorale proposta da Ettore Rosato, allora parlamentare del PD.
Oggi questa è ancora in vigore e prevede un sistema proporzionale con correzione in senso maggioritario. In altre parole, 2/3 dei seggi sono assegnati ripartendo i seggi previsti in ogni collegio plurinominale secondo le percentuali di voto ottenute, mentre il restante è assegnato nei collegi uninominali, dove chi ha la maggioranza relativa vince il seggio in gioco. La correzione in senso maggioritario ha lo scopo di garantire governabilità al sistema proporzionale, per natura incline alla frammentarietà. Ma questo è vero solo sulla carta: come stiamo per vedere, questo sistema misto non fa altro che rinforzare il suo lato proporzionale.
Le regole della legge elettorale
Il “Rosatellum” prevede le stesse regole per Camera e Senato, con le dovute differenze relative ai seggi a disposizione. Il 38,6% di questi è assegnato tramite il sistema maggioritario, mentre il restante con il proporzionale. Le soglie di sbarramento sono il 3% per le liste e il 10% per le coalizioni. Tuttavia, se i partiti che non superano la soglia del 3% fanno parte di una coalizione, i suoi voti confluiscono a vantaggio di questa.
Un candidato può presentarsi in un solo collegio uninominale ma può beneficiare di un “paracadute”, presentandosi in non più di cinque collegi plurinominali. Sono proprio questi collegi ad accogliere un’altra anomalia: le liste bloccate. I candidati e il loro ordine in lista sono scelti dalle segreterie di partito e l’elettore non può esprimere alcun voto di preferenza. L’unico limite nella stesura delle liste è rappresentato dall’obbligo dell’alternanza di genere: il rapporto tra i due non può essere superiore al 60-40.
Al momento del dunque l’elettore avrà due schede a disposizione, una per la Camera e una per il Senato. Per ognuna avrà 3 possibilità. Se vota il candidato uninominale, il voto è trasferito anche al partito collegato nel proporzionale; se vota per la lista e sul simbolo della lista, il voto va solo al partito prescelto; se invece vota solo il partito, il voto va anche al relativo candidato uninominale.
Analisi tecnica di una legge problematica
Descrivendo le problematicità di questa legge c’è il rischio che si finisca per fare una lunga lista della spesa, ma è un rischio che dobbiamo correre. Partiamo da ciò che sta più a cuore all’elettore: la scelta del candidato. Le liste bloccate del proporzionale fanno ricadere la scelta in mano ai partiti, svuotando gli elettori del loro diritto di esprimere una preferenza. Ciò significa che il 25 settembre non potremo scegliere il nostro candidato preferito, ma dovremmo accontentarci dell’ordine di lista imposto dall’alto. Allo svantaggio dell’elettorato corrisponde quindi l’interesse dei partiti, che potranno scegliere chi entrerà in Parlamento e chi no.
Secondo tasto dolente: la correzione maggioritaria. Questa serve, in teoria, a garantire maggiore governabilità al partito/coalizione vincitore delle elezioni. Può essere una soluzione valida in Italia, incline come è alle crisi di governo. Ma c’è un problema: la correzione del Rosatellum, invece che garantire maggiore governabilità, rafforza il sistema proporzionale. Mi spiego meglio: il voto dato al candidato uninominale, che agli occhi dell’elettore sarà l’unico verso cui potrà esprimere una preferenza rispetto agli altri eleggibili, si trasferisce automaticamente al partito collegato nel collegio plurinominale. In questo modo, i partiti che hanno candidati radicati sul territorio risultano avvantaggiati, visto che l’elettore, in nome di quel candidato, sarà costretto ad appoggiare una lista su cui non ha avuto alcuna voce in capitolo. E’ chiaro che così il nostro diritto di voto risulta compresso.
L’impatto del taglio dei parlamentari sulla legge elettorale
Per la prima volta il 25 settembre eleggeremo un Parlamento composto da 400 deputati e 200 senatori. Ovviamente ciò comporta delle conseguenze sul sistema elettorale, specialmente sulla sua parte proporzionale. La riduzione dei parlamentari ha infatti diminuito il numero di seggi in palio nei plurinominali, che ora variano da 1 ad 8. Il fatto di correre in collegi così piccoli avrebbe potuto aiutare i partiti a ricostruire il loro legame con il territorio, ma la modalità di ripartizione dei seggi ha annullato questa possibilità. Vediamo perché.
Dove finisce il mio voto?
La media di seggi per ogni collegio plurinominale è 5, un numero così basso da non permettere ai partiti più piccoli di ottenere rappresentanza. Per evitare di incappare in questa situazione, si è deciso di attribuire i seggi a livello nazionale per poi redistribuirli: prima nelle 28 circoscrizioni, e poi nei 49 collegi plurinominali. Se è intuibile che, in un sistema proporzionale, al 30% dei voti corrispondano il 30% dei seggi a disposizione, è molto più difficile capire da quale parte d’Italia proverranno questi parlamentari.
Questo tipo di redistribuzione infatti separa la percentuale di voti ottenuti in un determinato collegio dalla ripartizione dei suoi seggi. Facciamo un esempio. L’elettore A vota per la lista X del collegio proporzionale del Veneto. Grazie a quel voto il partito X ottiene un seggio in più del partito Y, a livello nazionale. Il fatto è che nella redistribuzione può accadere, ed è molto probabile che accada, che il nuovo seggio di X provenga dal Molise anziché dal Veneto, a scapito del partito Y. Ciò è dovuto al fatto che nel collegio Molisano, che ha pochi seggi in palio, il partito X avrebbe dovuto ottenere un seggio in più grazie ai voti ricevuti. Dal canto suo Y, pur non avendo perso voti in Molise, si trova ad avere meno rappresentanti di prima. In altre parole, l’elettore vota solo il partito: non contribuisce all’elezione del candidato preferito del suo collegio plurinominale.*
Ciò da una parte disincentiva i candidati a fare campagna elettorale sul territorio, visto che non ha rilevanza ai fini della propria elezione, e dall’altra non fa che distanziare ulteriormente i cittadini dalla politica, ai loro occhi ridotta ad un immagine sfocata che si perde nell’orizzonte
Il Rosatellum elegge rappresentanti senza rappresentare
Il quadro che emerge da quest’analisi è disarmante. L’elettore non solo non può effettuare un voto disgiunto tra uninominale e proporzionale, ma è anche possibile che il suo voto al proporzionale non vada alla lista prescelta. Fortunatamente, questo problema è ridimensionato dal meccanismo di redistribuzione dei seggi, in virtù del quale il voto potrebbe favorire un candidato di qualunque collegio d’Italia. In questo senso allora la scelta di far presentare ai partiti le liste bloccate risulta coerente: almeno l’elettore non si illuderà di aver sostenuto il candidato che giudicava più capace.
*Il meccanismo è molto più complesso e si calcola secondo il metodo di Hare. Se volete approfondire, potete farlo qui. In questo articolo abbiamo cercato soltanto di evidenziare sommariamente le problematiche che derivano da esso.