Legge codice rosso – gli avvocati suggeriscono la prevenzione

atti persecutori

La nuova legge “Codice Rosso” prevede aumenti di pena e interventi più rapidi delle forze dell’ordine con un iter processuale (delle indagini) semplificato per i reati di genere.

Con la legge codice rosso si cerca di accelerare l’avvio del procedimento penale e delle misure di sicurezza preventive per salvaguardare la vittima. La violenza di genere è un problema della società italiana derivante dalla cultura patriarcale, di cui il femminicidio è estrema manifestazione.

Cercare di combattere tale fenomeno con il diritto penale (che per sua natura arriva solo ad azione già commessa) senza prevedere: campagne d’informazione; creazione di dati statistici ufficiali; aumento della sensibilità sociale; rafforzamento dei servizi sociali; studi sociologici; contrasto alla diffusione delle armi; misure di prevenzione; strumenti di giustizia riparativa, è solo sterile propaganda politica. Non contrasterà il fenomeno, ma si limiterà a utilizzare l’uomo come mezzo, cioè “Ti punisco per evitare che altri tornino a violare.”

Su questa linea di pensiero si sono posti sia il presidente del Cnf Andrea Mascherin che esponenti del Ucpi (Unione Camere Penali Italiane). Gli avvocati, per natura più vicini al fenomeno, hanno chiesto in audizione a Palazzo Madama una modifica strutturale del ddl Codice Rosso.

Per far si che la legge codice rosso sia funzionale (non solo alla propaganda) « Si deve procedimentalizzare la prevenzione».

La storia del diritto penale ci ha insegnato che l’effetto deterrente della pena nei delitti provocati da impulsi improvvisi è pressoché inutile. È per questo che si è chiesto al legislatore una modifica al ddl che vada, in questi particolari casi, verso la prevenzione. Mediante meccanismi che non si limitino a minacciare una pena, ma che agiscano preventivamente per impedire il verificarsi di tali fatti. Si è chiesto inoltre, data l’inutilità, di eliminare la previsione di nuovi reati e più aspre sanzioni in un panorama già colmo di dubbi interpretativi.

Secondo gli avvocati si ha la necessità di procedure che prevedano collaborazioni più fluide tra le Procure e i servizi sociali.

Meccanismi che consentano di monitorare le vittime e i presunti responsabili. La possibilità di far scattare tale monitoraggio anche nei casi di vittime che non sporgano denunce, ma che presentino segni tali da far presumere violenze.

Il presidente del CNF va oltre, e ha chiesto una riflessione sulla pubblicità dei casi di violenze domestiche. Come per il terrorismo, o suicidi eclatanti, anche in questi casi il rischio concreto di emulazione è alto. Soprattutto per il modo di fare televisione in Italia.

Altra sollecitazione fatta è stata quella riguardante la «giustizia riparativa». Per evitare che chi ha commesso già reati di violenza su minori o donne cada nella recidiva (in genere più grave). Questo tramite meccanismi di recupero che portino a una consapevolezza del reo sull’accaduto.

Tali suggerimenti sono indirizzati verso un contrasto concreto ed efficace ai reati di genere. Tuttavia, come tutte le cose di qualità, prevedono un costo più alto e un ragionamento profondo che sembra non essere adatto alla politica di propaganda.

Leandro Grasso

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