Il 13 maggio del 1978 veniva approvata la legge 180, meglio nota come legge Basaglia, passata alla storia come la “legge che ha chiuso i manicomi”. A distanza di quaranta anni, cos’è stato realmente fatto per migliorare le condizioni di vita di quelli che una volta erano considerati ‘matti’?
Legge Basaglia: una rivoluzione lunga e lenta
Franco Basaglia ha lottato, studiato e lavorato per anni e anni, prima di riuscire ad attuare un reale e concreto cambiamento all’interno degli ospedali psichiatrici (OP). La sua rivoluzione ha incontrato innumerevoli ostacoli, anche e soprattutto da parte delle istituzioni restie ad aprire i manicomi e ancor di più ad aprire la propria mente per guardare in modo diverso i ‘matti’. Tali istituzioni hanno spesso impedito a Basaglia di mettere in pratica le sue riforme: alcuni trovavano assolutamente fuori luogo alcune delle scelte da lui intraprese.
Il 1978 è stato un anno particolare per l’Italia, soprattutto la sua primavera è rimasta impressa nei ricordi di milioni di persone per il rapimento di Aldo Moro e il successivo ritrovamento del suo cadavere in via Caetani, avvenuto il 9 maggio (mentre in Sicilia, si compiva un altro orrendo delitto, l’assassinio di Peppino Impastato). Nella primavera di quarant’anni fa, in Senato ci si appresta a discutere la riforma del sistema sanitario nazionale, attraverso la quale la salute dei cittadini non sarebbe più stata in mano alle province, ma ad un sistema integrato nazionale, che demanda alle singole regioni la messa in pratica dei provvedimenti.
Manicomi e ospedali psichiatrici
All’interno di questo decreto legge sono contenute anche delle disposizioni che abrogano la legge 36 del 1904, con cui si definiva la figura del ‘malato di mente’: matto viene considerato chi dà scandalo in pubblico, motivo per cui viene rinchiuso (anche per tutta la vita) in un ospedale psichiatrico. Luogo in cui viene legato al letto, viene sottoposto all’elettroshock, ognuno vive chiuso e rinchiuso in sé, lontano da tutti e da tutto, solo con il suo dolore, senza speranza alcuna di uscire da quel posto infernale. Non erano applicate terapie riabilitative o inclusive di alcun genere: i matti erano ritenuti incurabili e inguaribili, per loro non c’era nulla da fare. Decine di migliaia di persone condannate a quel carcere che erano i manicomi, perché rifiutati dalla società, perché rifiutati dalle loro stesse famiglie, in cui non si parlava mai di quello zio ‘impazzito’ o di quella sorella ‘isterica’, avere un parente ‘matto’ era una vergogna, un’onta per tutti i suoi familiari. Chi entrava in un ospedale psichiatrico, era morto per i suoi cari: salvo qualche rara e sporadica visita, nessuno pensava più a lui, persino i figli e i nipoti di quanti avevano qualche matto in manicomio scoprivano dell’esistenza di questi sconosciuti e dimenticati parenti solo dopo molti anni.
Con la riforma della sanità, si vorrebbe anche abrogare la legge del 1904 per intraprendere un percorso ben diverso da quello dell’esclusione sociale e della reclusione, tramite la realizzazione di nuove strutture in grado di favorire la guarigione e il reinserimento nella società dei malati.
“Tutti devono essere promotori di salute, non di malattia, dentro la scuola, dentro la famiglia, dentro i luoghi di lavoro”.
Questo era il pensiero di Franco Basaglia il quale sin dal 1961, anno in cui prese l’incarico di direttore presso il manicomio di Gorizia, ha compreso che l’ospedale psichiatrico non ha alcun effetto benefico su quanti vengono in esso rinchiusi. L’ospedale psichiatrico non cura, bensì distrugge i malati. Il manicomio stesso diventa un malattia. Partendo da queste osservazioni, Basaglia inizia a sperimentare metodi e pratiche diverse da quelle consuete. Negli anni precedenti si era dedicato allo studio di diversi disturbi psichiatrici, quali: gli stati ossessivi, la depersonalizzazione somatopsichica, la schizofrenia, la depressione, l’anoressia, l’ipocondria, la sindrome paranoide e altri ancora.
Il caso di Gorizia
Giunto presso l’ospedale psichiatrico di Gorizia, Franco Basaglia capisce la realtà in cui sono costretti a vivere i ‘matti’, ma, cosa ancora più importante, capisce che è necessaria una riforma per combattere contro il degrado umano e sociale dei manicomi. Basandosi sul modello della “comunità terapeutica” di Maxwell Jones a Dingleton in Scozia e con il sostegno di un gruppo di psichiatri, nell’OP di Gorizia si dà avvio ad un nuovo modo di organizzazione: niente più contenzioni fisiche, niente più elettroshock, maggiore attenzione nei confronti dei malati e delle loro necessità. Vengono progettate feste e gite e si allestiscono laboratori artistici e spazi che favoriscano l’aggregazione sociale. Viene eliminata la separazione tra uomini e donne e vengono aperte le porte dei padiglioni e i cancelli dell’ospedale.
Nel frattempo, Franco Basaglia continua a scrivere e pubblicare relazioni e studi riguardanti le malattie mentali e il modo in cui vengono trattati quanti ne sono affetti, partecipa a seminari e congressi anche all’estero. Ma le riforme che lui ha applicato sono circoscritte all’ospedale di Gorizia, fino a quando nel 1969 esce un documentario della Rai intitolato I giardini di Abele di Sergio Zavoli, trasmesso in prima serata in due puntate ha un successo strepitoso: 20 milioni di spettatori in totale. Alcune amministrazioni provinciali si mettono in contatto con Basaglia per poter trasformare i loro ospedali psichiatrici in comunità terapeutiche aperte al territorio.
L’approvazione della Legge Basaglia
Nel 1968 c’è stata una prima riforma promossa dal ministro Mariotti, il primo manicomio ad essere chiuso sarà quello di Trieste, nel 1977. L’anno prima dell’approvazione della legge 180. Ma cosa succede in quella fatidica primavera del 1978? Sono stati presentati dal partito radicale alcuni referendum, tra i quali l’abrogazione della legge Reale sull’ordine pubblico e la cancellazione della legge 36 del 1904, quella sui manicomi. Se venisse approvata, gli ospedali psichiatrici verrebbero chiusi, ma, per evitare di andare al referendum, il Parlamento deve agire in fretta: la legge deve essere votata entro l’11 maggio, ma solo due giorni prima avviene il tragico ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, panico in tutta Italia.
Nella concitazione generale, viene approvata la legge 180, la prima e unica legge quadro con cui viene attuata la chiusura dei manicomi e con cui vengono regolamentati i trattamenti sanitari obbligatori. Tuttavia la legge 14 febbraio 1904, n.36 non viene del tutto abrogata. Gli articoli sulla parte economica e fiscale della gestione dei manicomi rimangono in vigore. Nessuno verrà più internato in un ospedale psichiatrico e non ci sarà più alcun ospedale psichiatrico. Chi fino a quel momento era ricoverato sarà dimesso in maniera graduale e ricollocato in apposite strutture, quali le case famiglia, preparate e gestite dalle regioni, a spese dello Stato.
Ma è stato davvero così?
Innanzitutto, prima dell’approdo in Parlamento del disegno di legge, Franco Basaglia ha dovuto superare diversi ostacoli burocratici ed istituzionali: molte amministrazioni comunali e provinciali si sono interessate al suo metodo innovativo, ma molte altre lo hanno osteggiato. Tutt’ora le case famiglia sono luoghi in cui viene praticata la contenzione fisica e in cui gli psicofarmaci hanno preso il posto dell’elettroshock. Gli istituti sorti al posto degli ospedali psichiatrici sono comunque delle strutture separate e appartate, non si capisce bene per quale motivo (timore, vergogna?). Lo stigma sociale nei confronti dei malati di mente è purtroppo rimasto. Le spese da affrontare per gestire simili strutture e per garantire le cure più adatte ad ogni malato sono molto onerose per le famiglie. Alcuni scelgono di non ‘ospedalizzare’ i propri parenti, ma seguire quotidianamente qualcuno che soffre di disturbi psichici non è per nulla semplice: richiede tempo, richiede preparazione e richiede pazienza. In tutto ciò, lo Stato dov’è? Ci sarebbe bisogno di centri per l’aggregazione sociale, di sportelli e consultori per le famiglie dei malati, che sono sempre più numerosi (secondo alcune stime, solo i depressi sarebbero più di 400 milioni in tutto il mondo). Ma le strutture sono assenti o inadeguate e i servizi carenti e malfunzionanti, a quarant’anni dalla sua approvazione, la legge Basaglia è rimasta un modello legislativo, per la cui effettiva attuazione bisognerà ancora attendere.
Carmen Morello