Una nuova legge sull’aborto è oggi in discussione in Polonia.
Il governo polacco, guidato dal primo ministro conservatore Mateusz Morawiecki, ha scelto proprio questi giorni di emergenza mondiale per riportare in parlamento la discussione sulla limitazione della possibilità di interruzione di gravidanza.
La legge sull’aborto in Polonia è, già allo stato attuale delle cose, una delle più restrittive d’Europa.
È, infatti, permesso interrompere la gravidanza solo in caso di stupro o incesto, nell’eventualità che il feto sia affetto da gravi malformazioni oppure quando la donna si trova in situazioni che comportano gravi rischi per la sua salute.
La legge sull’aborto attualmente in discussione nel parlamento polacco prevede l’esclusione della possibilità di avvalersi del diritto di interrompere la gravidanza nei casi di malformazioni congenite del feto.
Un simile tentativo era già stato portato avanti dal governo polacco nel 2016.
Allora la legge, se approvata, avrebbe consentito l’aborto solo in caso di grave pericolo per la donna. L’iter di approvazione di quella norma, però, era stato bloccato grazie ad una massiccia mobilitazione da parte dell’opinione pubblica e ad una forte attenzione dei media. Di fronte alla forza delle proteste il governo decise di rinunciare al proprio tentativo ammettendo che la legge in vigore era già abbastanza restrittiva.
Secondo alcuni la scelta di riproporre adesso una norma che ridefinisca il diritto di aborto rappresenta il tentativo del Presidente delle Repubblica Andrzej Duda di ingraziarsi la parte di elettorato più conservatore in vista delle elezioni presidenziali che, nonostante l’emergenza sanitaria, sono ancora previste per il 10 Maggio.
Il tempismo dell’attuale discussione riguardo la nuova legge sull’aborto in Polonia è quantomeno sospetto.
Da una parte, infatti, l’attenzione degli organi di informazione, non solo polacchi, ma di tutto il mondo, è quasi completamente assorbita dalle notizie relative al preoccupante incremento dei casi di infezione da Coronavirus. Contemporaneamente la possibilità di protesta dei cittadini è piuttosto limitata.
Come in molti altri paesi, compresa l’Italia, infatti, in Polonia è attualmente vietata qualsiasi forma di assembramento. Il divieto riguarda, ovviamente, anche le manifestazioni di protesta. L’approvazione della legge sembrerebbe, quindi, avere un percorso spianato.
Le voci di dissenso, però, hanno trovato il modo di farsi sentire.
Nella giornata di ieri, 14 Marzo, alcune attiviste hanno bloccato il centro della capitale polacca, Varsavia, per manifestare il proprio dissenso non solo alla norma sull’aborto, ma anche ad un altro disegno di legge in discussione che riguarda l’abolizione delle ore di educazione sessuale nelle scuole. Proteste di portata minore si sono svolte anche in altre città della Polonia.
Le manifestanti sono state intercettate dalle forze della polizia che le hanno denunciate per aver violato le norme relative al contenimento del Covid-19. La protesta, secondo il punto di vista delle attiviste, non costituiva una violazione delle leggi di sicurezza. Le modalità in cui essa si è svolta, a loro dire, permettevano di garantire il distanziamento sociale. Molte contestatrici, infatti, sono rimaste nelle loro auto suonando il clacson, altre hanno girato per le vie della città in bicicletta con l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla questione.
Le proteste non si sono fermate, ma sono continuate in rete.
I gruppi e le associazioni che si occupano dei diritti delle donne hanno rilanciato tramite i social immagini di sensibilizzazione per contribuire a non far calare l’attenzione sul tentativo del governo.
Anche molte associazioni che si occupano dei diritti umani, prima tra tutte Amnesty International, hanno sposato la causa.
L’organizzazione ha ricordato che il fatto di limitare la possibilità di abortire legalmente non contribuisce a una diminuzione della pratica, ma solo delle garanzie di sicurezza per le donne che fanno quella scelta. Attraverso i suoi account social Amnesty International ha poi ribadito che “il Covid-19 non può essere una scusa per limitare i diritti” e ha mandato la propria solidarietà alle donne polacche contribuendo a dare visibilità alla loro battaglia.
Silvia Andreozzi