Legge 194: quattro ginecologhe non obiettrici che “da sempre si prendono cura di ogni paziente, nel rispetto della sua dignità e del suo diritto alla libertà riproduttiva” hanno lanciato una petizione. Il richiamo è quello all’applicazione della legge del 22 maggio 1978, che si occupa delle norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.
L’appello, lanciato alla Ministra Grilli, dalle ginecologhe Silvana Agatone, Elisabetta Canitano, Concetta Grande e Giovanna Scassellati, nasce da un mondo di diritti violati, non protetti, da un mondo femminile che in Italia ancora non trova voce.
La realtà delle donne che intendono intraprendere la strada dell’interruzione volontaria di gravidanza somiglia a una vera Odissea, ove Scilla e Cariddi sono i medici che ti giudicano e ti pressano affinché tu possa cambiare la tua decisione; ove, in un luogo che dovrebbe essere sicuro, si è costrette ad accettare in modo acritico la sufficienza e l’inesistente sostegno che le strutture ti dimostrano.
La società sembra odiare tremendamente quelle donne che operano per difendersi, per rigettare norme imposte, anche religiose. È così che il tema dell’aborto è associato al tema della morte e non della libertà di scelta; è associato all’ideologia dell’egoismo e non dei diritti.
Viva e sentita, dunque, deve diventare la lotta non solo delle donne, ma di tutti, al fine di creare una società di benessere e non di angoscia collettiva. I problemi della nostra società implicano oppressione, repressione, conformismo e ipocrisia e il tema dell’aborto è quanto mai centrale.
L’obiezione di coscienza rischia di diventare, dunque, se non lo è già, la sorellastra del femminicidio, in un’era in cui le donne sono come individui isolati, in una costante percezione di abbandono e rischio. Il codice primo, sociale, continua a mantenere fermo il problema dell’aborto, quasi fosse il motto di un partito utopistico.
Il potere sembra non avere il ruolo di educatore ai diritti sociali, al fine di creare buoni cittadini, e l’emancipazione della donna sembra restare un tema idealistico.
La petizione è, difatti, una lotta alla rassegnazione e persino al pettegolezzo; è una lotta al non lasciarsi abbattere dalle occhiate ricevute mentre ci si sottopone a questo trattamento, quando ci rechiamo in strutture pubbliche che ‘dovrebbero’ tutelare il nostro diritto di autodeterminazione.
Libere di scegliere, libere di non essere ‘castrate’ dalla società, libere di esercitare quotidianamente il diritto ad abortire, a prescindere dalla regione in cui viviamo, libere di poter mettere in pratica l’articolo 9 della legge 194. Questo è il messaggio della petizione, questo è l’appello che lanciano.
“Applicate la 194!”
Flavia Innocenzi