Gli ultimi sondaggi danno una svolta al panorama politico italiano degli ultimi nove mesi.
Per la prima volta, l’irrefrenabile ascesa del partito del Carroccio sembra aver subito una brusca frenata. La Lega cala del 3% in un mese. Ma anche per il Movimento 5 Stelle le cose non sembrano girare per il verso giusto. Forse il popolo si sta accorgendo che le promesse non sono ancora state mantenute, che il lasciamoli lavorare si sta prolungando oltre le aspettative.
Giuseppe Conte, il faro nella tempesta
Come ormai è noto a tutti, tra i due vicepremier il più influencer è sicuramente Salvini. Sarà la sua politica basata su temi semplici, nauseanti e banali. Primo tra tutti, l’immigrazione: una storiella sentita e risentita, ma a quanto pare sempre efficace per racimolare consensi sull’onda del malumore diffuso. Di Maio, invece, è andato a incanalarsi in un torrente più impervio. La contrarietà alle grandi opere e il reddito di cittadinanza sono promesse difficilmente gestibili, sia burocraticamente, sia tempestivamente.
Nonostante l’alta marea in cui le barchette giallo-verdi sembrano essersi imbattute, il governo Conte continua a rappresentare, agli occhi degli italiani, il faro della situazione. Il carismatico premier, d’altronde, è il garante del contratto di governo, il collante tra due anime politiche apparentemente diverse. Significa una cosa soltanto: il governo, nonostante le sbandate, reggerà ancora un po’.
Lega, il Capitano perde il controllo della nave
Il verde speranza sembrava aver travolto gli italiani, nei primi mesi dopo le elezioni di marzo. Il consenso leghista era addirittura raddoppiato, superando i colleghi pentastellati e piazzandosi in prima posizione tra i partiti. Un mese fa, i sondaggi la accreditavano al 36,2%. Ma in poco tempo, la Lega cala del 3%. Una discesa non indifferente. Ragioniamo sulle possibili cause.
Che rapporto c’è tra la Lega e i ceti produttivi del Nord e del Centro? Praticamente è inesistente. Il reddito di cittadinanza, il blocco delle grandi opere, l’impossibilità di garantire autonomia alle regioni settentrionali, minano i consensi di questa fascia di elettorato. Si costruisce così, agli occhi dei ceti produttivi, uno scenario economico che non promette bene. E la fiducia cala.
Per il Movimento è una burrasca continua
Il M5S è in difficoltà più evidenti. Se per la Lega è l’interruzione di un’ascesa eclatante, per i pentastellati la burrasca sembra non cessare dalle elezioni di marzo. In nove mesi hanno perso cinque punti, accreditandosi oggi al 27%. Troppe promesse, troppe aspettative nutrite. Le complicanze riscontrate nell’approvazione della legge di bilancio non facilitano il compito a Di Maio. Ma parlando in termini di audience mediatica, buona parte della responsabilità se la assumono gli scivoloni tontinelliani, che anche alle orecchie dei meno professoroni risultano un tantino troppo popolari. Non a caso i delusi che hanno abbandonato il Movimento si sono rifugiati nell’incertezza, nell’astensione o si sono spostati alla Lega.
Il Pd torna sotto i riflettori
I riflettori tornano puntati sul Partito Democratico, che riottiene i medesimi consensi raggiunti con le elezioni politiche dell’8 marzo, ovvero più del 18%. La campagna delle primarie e le interviste ai candidati hanno riacceso gli animi di una parte di elettorato, facendo tornare il partito tra gli interessi dei media. Per riprendere i punti persi in questi ultimi anni, al partito del centro sinistra serve un miracolo, oppure una buona e nuova riorganizzazione, una riflessione sul motivo della disfatta, un ripristino dei valori originari di sinistra che erano riusciti a conquistare l’elettorato italiano per molti anni. Senza un esame di coscienza, quel 18% non è destinato a sopravvivere a lungo. Forse le primarie potranno essere il tanto atteso pretesto per rimettersi in discussione.
Ilaria Genovese