L’economia italiana deve rialzarsi, ha bisogno di ripartire
Il Coronavirus non solo ha spezzato vite, ma ha letteralmente messo in ginocchio il Bel Paese.
E mentre dalla Protezione Civile arrivano dati rincuoranti – sebbene non sicuri al 100% – che attestano che i contagi stiano pian piano diminuendo, è ora di iniziare a pensare a come – e se – riaprire tutte le attività chiuse per fronteggiare l’emergenza.
Quali sono i settori più a rischio?
Quelli che sono più difficili da convertire in smart working. Vale a dire (escludendo ovviamente la sanità): attività manifatturiere, di trasporto, magazzinaggio, artistiche, sportive, di intrattenimento, agricoltura, silvicoltura, pesca, costruzioni, riparazione di autoveicoli e motocicli e servizi di ristorazione ed alloggio.
Il turismo, in particolare, è in seria difficoltà. Per ovviare al problema, sono arrivate una serie di idee dal gruppo sanità della Lega di Grosseto, raccolte dall’onorevole Mario Lolini. Come affermato dal segretario provinciale Andrea Ulmi:
Il presidente del consiglio comunale di Orbetello Michele Pianelli ha recepito le preoccupazioni di alcuni operatori turistici del comprensorio della Costa d’Argento, sia per quanto riguarda gli aspetti economici che sanitari, soprattutto in una provincia che deve aprirsi ad altre realtà territoriali per agganciare la ripresa, ma che può avere il timore di entrare in contatto con persone provenienti da zone che hanno avuto un numero di contagiati decisamente superiore alla nostra.
Le proposte essenzialmente sembrano essere – almeno per ora – due. La prima consisterebbe nel fornire gratuitamente ai villeggianti che prenotano in una struttura recettiva per un periodo di almeno una settimana i kit fai da te che alcune case farmaceutiche stanno lanciando. Qualora i valori emersi dal test dovessero presentare anomalie, si procederebbe con i tamponi ed il percorso delle quarantene per evitare il propagarsi del virus. La seconda è strettamente legata alla tecnologia: verrebbe utilizzata un’applicazione per il tracciamento dei contagi, che potrebbe essere la stessa di cui si parla anche a livello centrale, oppure un’altra comunque simile.
Ma siamo sicuri che queste idee siano attuabili e, soprattutto, sicure?
E se i turisti viaggiassero proprio nei 10 – 15 giorni di incubazione ed il test desse esito negativo per questo motivo (pur essendo comunque portatori del virus)? Oppure venissero contagiati proprio nelle stazioni, negli aeroporti, negli autogrill mentre raggiungono il luogo delle loro vacanze? E, non in ultimo, se il kit fornito dalla farmacia non dovesse dare un risultato reale e certo (come accade spesso ai test sierologici)?
In ognuno di questi casi, gli scenari possibili sarebbero davvero tragici. Innanzitutto per il personale dell’albergo (dai receptionist, ai camerieri, ecc ecc), che anche con i cosiddetti dispositivi di protezione individuale non sarebbe comunque protetto al 100% (come dimostrato dai tanti casi di medici malati di Covid – 19). E che, a sua volta, potrebbe contagiare famiglie, amici e così via. Ancora, i turisti stessi potrebbero metterne in pericolo altri che, verosimilmente, qualora dovessero contrarre il virus, durante il pernottamento presso la struttura potrebbero non manifestare sintomi – a meno che il loro viaggio duri più di 10 giorni – e tornare quindi liberamente nelle loro città di origine, contagiando parenti, conterranei e così si ripartirebbe daccapo, esattamente come successe a febbraio.
Ma l’economia italiana può fare a meno del turismo? Oppure di altri settori?
La risposta è scontata: assolutamente no. Il turismo rappresenta un asset economico primario per l’Italia, pari al 13% del PIL e dà lavoro a 4,2 milioni di persone. Ciò significa che, fino a quando non si rimetterà in piedi, potrebbero esserci 4,2 milioni di disoccupati.
Per rendere comprensibile quanto ciò andrebbe ad influire su altri settori è possibile fare un esempio.
Una struttura ricettiva resta chiusa per un anno. Quante persone non lavorerebbero e, quindi, non guadagnerebbero? Dipende dalla grandezza della stessa. Nella “migliore” delle ipotesi (nel caso in cui si parli di un B&B magari) potrebbero restare disoccupate anche “solo” 2 – 3 persone. Ma le stesse, non avendo entrate mensili, molto probabilmente non andrebbero a cena fuori nei fine settimana, al bar per un caffè e cornetto ogni mattina, o fare shopping. Non potrebbero semplicemente permetterselo.
Va da sé che a quel punto anche ristoranti, pizzerie, negozi, perderebbero una grande fetta di potenziali clienti. Considerando che si stima che in Italia solo i B&B diano lavoro più o meno a 40.000 persone è facilmente intuibile che il tasso di disoccupazione – già alto – aumenterebbe e non di poco. E che molti altri settori vedrebbero diminuire i loro profitti mensili, per cui anche la loro possibilità di spendere diminuirebbe e così via.
Lo stesso discorso è applicabile ad ogni altro settore
Nel caso dei concerti, ad esempio, gli artisti sono solo la “punta dell’iceberg”. Non saranno loro a perderci (potendo contare comunque sulla pubblicazione di album, singoli, EP), ma i promoter, i fonici, i tour manager, ecc ecc. Ed anche in questo caso gli effetti collaterali a catena sarebbero disastrosi per l’economia italiana.
Immaginiamo l’economia italiana come un grande muro, costituito da mattoni (magari alcuni più grandi, altri più piccoli, non importa la misura). Ognuno rappresenta un settore. Se anche solo uno cade, il muro crolla. Magari non tutto, solo in parte. Ma non può restare in piedi, non sarà più intatto.
Ecco perché nessuno può restare indietro. E toccherà elaborare soluzioni fattibili e sicure.