L’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944 è ricordato come uno dei più tragici episodi dell’occupazione nazista in Italia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Roma si trovava sotto il controllo tedesco, e la resistenza partigiana attuava azioni di guerriglia per contrastare l’occupazione. La strage, compiuta in rappresaglia per un attentato partigiano in via Rasella, rappresenta uno dei crimini di guerra più efferati commessi in Italia.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine si inserisce in un quadro più ampio di repressione attuata dai nazisti nei confronti della popolazione italiana dopo l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio di Cassibile. Roma venne dichiarata “città aperta“, e venne occupata dalle forze tedesche che instaurarono un regime di terrore. Gli arresti, le deportazioni nei campi di concentramento e le esecuzioni sommarie divennero pratiche quotidiane. Il rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, in cui oltre mille ebrei furono deportati ad Auschwitz, fu un altro tragico esempio della ferocia nazista in Italia.
Nei mesi che precedettero l’eccidio delle Fosse Ardeatine, la tensione tra l’occupante tedesco e la resistenza romana era cresciuta notevolmente. I partigiani, organizzati nei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e in altre formazioni, attuavano azioni di sabotaggio e attacchi mirati contro obiettivi tedeschi e fascisti. Le autorità naziste, irritate dalla crescente opposizione, avevano già adottato misure di repressione estreme, tra cui arresti arbitrari, torture e deportazioni. L’occupazione tedesca era sostenuta dalla Repubblica Sociale Italiana, il governo collaborazionista guidato da Mussolini, che forniva supporto nella caccia ai partigiani e agli oppositori politici.
Le azioni partigiane si erano intensificate nei mesi precedenti la strage, generando un clima di tensione tra gli occupanti. I nazisti rispondevano con una repressione sempre più brutale, in un crescendo di violenza che avrebbe poi portato alla decisione di attuare l’eccidio come monito e rappresaglia.
L’attentato di via Rasella
Il 24 marzo 1944 un gruppo di partigiani dei GAP attaccò una colonna di soldati tedeschi della Polizei Regiment Bozen in via Rasella, nel centro di Roma. L’attentato, realizzato con una bomba nascosta in un carretto della spazzatura, provocò la morte di 33 militari tedeschi. Questo evento scatenò la furia delle autorità naziste, che decisero di applicare una rappresaglia esemplare.
Adolf Hitler, che si trovava presso il suo quartier generale nella Prussia Orientale, venne informato dell’attacco e ordinò una punizione immediata e spietata. L’idea iniziale di Hitler era quella di uccidere 50 italiani per ogni soldato tedesco caduto, ma il comando militare a Roma, guidato dal generale Kurt Malzer e dal colonnello Herbert Kappler, ridusse il rapporto a 10 italiani per ogni tedesco. Il numero delle vittime venne quindi fissato a 330, ma a causa di un errore di conteggio i prigionieri assassinati furono 335. La selezione dei condannati venne effettuata dal questore Pietro Caruso, con la collaborazione dei comandi tedeschi e delle autorità fasciste.
La selezione delle vittime e l’eccidio delle Fosse Ardeatine
Le autorità tedesche compilarono una lista di persone da giustiziare scegliendo principalmente tra prigionieri politici, antifascisti e detenuti nelle carceri di Regina Coeli e via Tasso. Furono inclusi anche ebrei, già destinati alla deportazione, e persone arrestate in operazioni di rastrellamento. La selezione avvenne senza un vero processo e molte vittime non avevano alcun legame con l’attentato di via Rasella. Tra i condannati c’erano esponenti della Resistenza, intellettuali, militari italiani e comuni cittadini, fermati per motivi casuali. Nessuna distinzione venne fatta tra colpevoli e innocenti, confermando la natura indiscriminata della rappresaglia.
I prigionieri vennero condotti presso le cave di pozzolana delle Fosse Ardeatine, nei pressi della via Ardeatina. Le vittime furono uccise con un colpo alla nuca e i loro corpi ammassati nelle gallerie della cava, che venne poi fatta esplodere per occultare il massacro.
Solo il giorno successivo alla strage, il 25 marzo 1944, “Il Messaggero” pubblicò la notizia dell’eccidio, riportando un comunicato ufficiale diffuso dall’Agenzia Stefani per conto dell’Alto Comando Tedesco. Il comunicato descriveva l’attentato di via Rasella come un’azione terroristica compiuta da “comunisti-badogliani” e annunciava che la rappresaglia era già stata eseguita, senza fornire ulteriori dettagli sulla modalità di esecuzione o sull’identità delle vittime.
Questa narrazione fu utilizzata per giustificare l’eccidio e per attribuirne la responsabilità agli autori dell’attacco. Secondo la propaganda nazifascista, se i partigiani responsabili dell’attentato si fossero consegnati, la strage non avrebbe avuto luogo. Questo messaggio, diffuso attraverso i giornali e altri canali di comunicazione, trovò credito presso una parte dell’opinione pubblica, contribuendo a creare una percezione distorta degli eventi. Tuttavia, la rappresaglia era stata decisa e organizzata con estrema rapidità, senza alcuna richiesta di consegna dei colpevoli, smentendo così la tesi secondo cui la mancata costituzione degli attentatori avesse determinato l’eccidio.
Le 335 persone uccise erano di diversa estrazione sociale e politica. La loro esecuzione rappresentò un atto di estrema crudeltà e dimostrò la brutalità dell’occupazione nazista in Italia. Tra le vittime vi furono anche alcuni sacerdoti, simbolo della repressione indiscriminata operata dai nazisti.
Le responsabilità e i processi
Herbert Kappler, responsabile dell’operazione, fu catturato dopo la guerra e processato in Italia. Nel 1948 fu condannato all’ergastolo, ma nel 1977 riuscì a fuggire dall’ospedale militare del Celio con l’aiuto della moglie. Morì in Germania l’anno successivo. Anche altri ufficiali nazisti furono perseguiti per il crimine commesso, ma molti riuscirono a sfuggire alla giustizia. Uno degli episodi più controversi riguardò Erich Priebke, un ufficiale delle SS coinvolto nella strage. Fuggito in Argentina dopo la guerra, fu scoperto solo nel 1994 e processato in Italia, venendo condannato all’ergastolo. Priebke rimase agli arresti domiciliari fino alla sua morte, avvenuta nel 2013.
Dopo la guerra, il sito delle Fosse Ardeatine è divenuto un sacrario nazionale. Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine ospita oggi i resti delle vittime ed è un luogo di memoria e commemorazione. Ogni anno, il 24 marzo, le istituzioni e i cittadini italiani ricordano le vittime della strage con cerimonie ufficiali.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine continua ad essere un simbolo della lotta per la libertà e della crudeltà delle dittature nazi-fasciste. Il ricordo di questa tragedia è fondamentale per mantenere viva la memoria storica e trasmettere alle nuove generazioni l’importanza della resistenza e dei valori democratici.