Lea Schiavi era una giornalista e un’antifascista libera. Avversa alla propaganda mussoliniana, è riuscita a far sentire la sua voce dissidente al di fuori dei confini nazionali, fino a quando è stata messa a tacere. Il suo coraggio è riconosciuto all’estero, ma in Italia la sua figura risulta essere ancora sconosciuta.
Lea Schiavi nasce in un piccolo paese del Piemonte, nel marzo del 1907. L’incontro con il suo primo amore, il giornalismo, avviene fuggendo dalla realtà provinciale che le sta stretta quanto l’idea di rispettare il pensiero fascista. Scrive per giornali illustri come l’Impero di Roma e l’Ambrosiano di Milano ed è dotata di uno spiccato senso dell’umorismo.
Una donna poco comune: la sua storia
Lea Schiavi non ha paura di confrontarsi e di brindare con i suoi colleghi maschi, con cui scambia battute e punti di vista, tant’è che definisce Mussolini un muratore e Hitler un imbianchino . Per poter scrivere di costume e di storia, viaggia in giro per il mondo, in cerca di avventure. Opera a Budapest, Bucarest, Sofia e Belgrado ed è proprio entrando a contatto con diverse realtà che capisce che in l’Italia sta tirando una brutta, bruttissima aria. Attraverso i suoi articoli, riesce ad esprimere il suo parere avverso ed è per questo che sono vagliati dalla censura fascista. Nel 1940 compare il mandato di cattura nei suoi confronti: la sua vita è a rischio.
Il mandato d’arresto
Lea Schiavi per evitare possibili ritorsioni, lascia per sempre l’Italia ma è proprio a Belgrado che incontra il suo secondo grande amore: Winston Burdett, corrispondente statunitense della Columbia Broadcasing Corporation con cui si sposa. E’ anche per merito suo che la Schiavi riesce a restare al corrente di quanto accade in Italia, collaborando con Radio Italia, con sede a Londra. Ma la coppia non agisce in libertà e per questo vengono espulsi dalla Romania e dalla Jugoslavia per “propaganda antilegionaria”, rischiando l’arresto.
Lea Schiavi e il marito scappano prima verso la Turchia, poi verso l’Iran dove la giornalista collabora con giornali americani facendo, secondo il Servizio Segreto Militare, propaganda antifascista. Non solo: crea un Free Italian Movement insieme ad altri italiani che, nel nome della libertà, sono fuggiti in Iran proprio come lei. Lea Schiavi agisce così nell’ombra, con il desiderio di vedere un’Italia più libera anche grazie all’arma più potente che c’è: la parola. Il SIM (Servizio Informazione militare, strumento di intelligence fascista) non le dà tregua e continua ad osservarla da lontano, pronto ad intervenire.
La morte
Lea Schiavi muore uccisa il 24 aprile del 1942, per mano ignota, si fa per dire. La giornalista è in macchina insieme ad una sua amica, Zina Aghayan, quando due gendarmi le fermano per un controllo. Una volta saputo il nome di Lea, il più anziano dei due, ha detto Zina, le spara, uccidendola. Ancora oggi è presente un velo di mistero sulla morte di Lea Schiavi, ma è probabile che il mandante del suo omicidio sia stato Ugo Luca, generale dei carabinieri che ai tempi non è stato nemmeno interrogato.
Il coraggio di una donna ancora oggi sconosciuta
Negli Stati Uniti, il nome di Lea Schiavi è inciso sul Journalist Memorial, in Virginia. In Italia, purtroppo, il suo nome è sconosciuto ai più. Solo recentemente la sua storia è riuscita a diffondersi grazie ai due giornalisti Massimo Novelli e Mimmo Franzinelli che hanno voluto far rivivere il coraggio della Schiavi ancora una volta. Giornalista libera, dalle imposizioni politiche e dal costume, si è battuta nel nome del diritto di espressione. La sua vita sembra un romanzo Orwelliano, ma è un caro insegnamento che serve a ricordarci delle crudeltà che purtroppo ancora oggi molti giornalisti stanno subendo. Sempre in nome della libertà.
Giulia Poggiali