La Nuova Zelanda ha appena promulgato una proposta di legge per vietare le cosiddette terapie di conversione. Dal momento in cui la proposta sarà approvata e la legge diventerà tale, chiunque esegua questa pericolosissima pratica su minori di 18 anni, rischierà fino a cinque anni di carcere.
È abbastanza certo che questo succederà presto, essendo il governo, in maggioranza, laburista. Risolvere la questione circa le terapie di conversione (o terapie riparative) era una delle promesse fatte lo scorso anno, in campagna elettorale, dal primo ministro neozelandese Jacinda Ardern. Ed ecco che si sta finalmente concretizzando.
Le terapie di conversione, ancora legali e in uso in molte parti del mondo, sono praticate, spesso da gruppi religiosi, per cercare di curare le persone dal loro orientamento sessuale o identità di genere. Proprio come se si trattasse di una malattia. Da più di trent’anni, ormai, l’OMS ha dimostrato e stabilito che non è così. Ma ancora in troppi paesi, inclusa l’Italia, alcuni di questi approcci considerati “terapeutici” non sono stati resi illegali.
Pericolosità delle terapie di conversione
Si tratta di pratiche molto pericolose e dannosissime per la persona che le subisce. Sono stati usati nel tempo metodi davvero ignobili. Dalla terapia della parola a ipnosi, digiuno, scosse elettriche e, in casi estremi, persino esorcismi e “stupri correttivi” per le lesbiche.
Roba da far accapponare la pelle. E, si direbbe, roba da Medioevo, se non fosse che sono tuttora un’assurda realtà.
Se ne parla poco. Eppure, magari senza i suddetti metodi violenti e coercitivi, ci sono comunità e soggetti che, anche da noi, le praticano ancora. Servendosi di un semplice e subdolo lavaggio del cervello, c’è chi, ancora, crede di poter e dover “correggere” alcuni modi di essere con strumenti parecchio discutibili.
Esiste un report delle Nazioni Unite sulla protezione contro violenza e discriminazione basate su orientamento sessuale e identità di genere. In esso è rilevato che le terapie di conversione causano perdita di autostima, sindrome depressiva, ansia, isolamento sociale, senso di colpa, odio di sé, disfunzioni sessuali e disturbi da stress post traumatico. Nei casi più gravi si arriva a manie suicide. Altri studi hanno dimostrato, inoltre, la non esistenza di evidenze scientifiche che le terapie di conversione abbiano successo nell’intento di cambiare l’identità sessuale e di genere.
Il governo sulle terapie di conversione
Ne ha parlato il Ministro della Giustizia neozelandese Kris Faafoi, presentando la proposta:
Coloro che hanno sperimentato le pratiche di conversione riferiscono problemi di salute mentale, depressione, vergogna e stigmatizzazione e persino pensieri suicidi. […] Le pratiche di conversione non trovano posto nella moderna Nuova Zelanda. Esse si basano sulla falsa convinzione che l’identità di genere, l’orientamento sessuale o l’espressione di genere di alcune persone siano rotti e abbiano bisogno di essere aggiustati. […] Professionisti della salute, leader religiosi e sostenitori dei diritti umani, qui e all’estero, si sono espressi contro queste pratiche come dannose e potenzialmente in grado di perpetuare pregiudizi, discriminazioni e abusi nei confronti delle comunità arcobaleno.
La normativa prevede una pena detentiva di tre anni per chi provi a praticare le terapie di conversione su soggetti che abbiano meno di 18 anni. La pena è estendibile poi a cinque, nel momento in cui siano dimostrati gravi danni provocati al soggetto che ha subito la terapia.
Il ministro ha tenuto a sottolineare, tuttavia, che il disegno di legge è stato stilato con grande attenzione e cura dei particolari per salvaguardare anche alcuni principi religiosi e quindi la libertà di fede e di culto.
Pro e contro secondo la comunità LGBTQIA+
La comunità LGBTQIA+ ha accolto, ovviamente, con favore ed entusiasmo la notizia. Si è parlato di “potenziale per un vero cambiamento”. È stato ricordato come le persone queer abbiano, fino a questo momento, subito manipolazioni da molti leader religiosi. Alcuni si sono serviti della loro fede in Dio per ricattarle moralmente. E hanno fatto credere loro che tutto sarebbe andato male nella vita se non avessero cambiato identità e orientamento.
C’è tuttavia preoccupazione per alcuni punti della stessa proposta di legge. In particolare, si mette in discussione la nozione di “danni gravi” e il fatto che essi possano facilmente essere dimostrati nel momento in cui sopraggiungono. In secondo luogo, la proposta non trova pieno consenso sul fatto di punire solo chi pratica terapie di conversione su minori. I danni arrecati sarebbero gravi e accertati anche al di sopra dei 18 anni.
C’è da chiedersi, dunque, se è come la legge sarà modificata.
Un altro passo in direzione dei diritti
Si tratta, comunque, di un grande passo avanti nel riconoscimento dei diritti. Passo fatto, come molti altri, da uno Stato che, da sempre, dimostra di essere precursore in tal senso. E che, ci si augura, apra la strada a molti altri Stati, nell’adottare questo tipo di provvedimenti.
Per la stessa Nuova Zelanda, è auspicabile che le nuove regole contribuiscano a far scendere l’altissimo tasso di suicidi giovanili, riguardante perlopiù il mondo LGBTQIA+.
La legge dovrebbe diventare tale entro l’inizio del 2022, come aveva già dichiarato il governo, in precedenza.