Le sarte della sessualità: l’infibulazione continua a cucire milioni di labbra

infibulazione

Congetturare al singolare, quando ci si riferisce all’occidentalissima astrazione di “Continente nero”, è quanto di più antropologicamente fuorviante possa esistere. Bisogna porsi con occhio critico al pensiero euro-colonialista, che vuole il drappo situato a sud del Deserto del Sahara come un univoco scampolo di tessuto uniforme, per vedere la realtà. Quello che appare è una trama di culture, lingue, tradizioni e dinamiche socio-comunitarie tanto diverse tra loro da eludere un’unica definizione. Una intuizione che principia da un precetto inderogabile: l’Africa non origina con le ricognizioni territoriali dell’imperialismo europeo e non si conclude con due o tre assunti sulla tratta e sul colonialismo.

Attraversando l’Africa scolpita dalla terra rossa e offuscata dall’Harmattan, ci si scontra con pratiche ritualistiche, religioni ancora fortemente totemistiche e tradizioni secolari che permeano questa striscia fin dentro le viscere. Nell’antro che si interpone tra le donne d’ebano e il bagliore di diamanti usurpati, seguitano, ancora, empirismi consolidati in gran parte del continente. Stati legati l’un l’altro da un esecrabile cordone fatto di consuetudini e costumi: un nodo importante si stringe certamente intorno all’infibulazione. Tagli bestiali, suture barbare e fili di Arianna recisi seguitano ad aggomitolarsi intorno alla culla dell’umanità.

L’infibulazione e il contesto culturale nel quale si origina

Mondi tra loro distanti si sono spesso confrontati, fraintendendosi e lasciandosi sospingere dal vento della sopraffazione. Ed è un pò quello che è successo al continente africano, soggiogato dalla volontà eurocentrica di addomesticarlo. Questo è stato estirpato da una cultura considerata barbara e incivile solo perché esotica. Per comprendere meglio i dogmi dell’infibulazione, bisogna ineluttabilmente calarla nel brodo del passato, ancora fortemente aromatizzato dalle pratiche sessuali pre-coloniali, pre-islamiche e pre-cristiane.

Non è affatto semplice rintracciare le origini delle mutilazioni genitali femminili, tra le quali l’infibulazione soggiace. Secondo le ipotesi più accreditate, i primi interventi di escissione si snidano in Egitto ma anche a Roma, dove era largamente praticata sulle schiave. Il termine infibulazione discende direttamente da quello latino fibula – testualmente spilla – indicando la consuetudine di infilzare i genitali maschili con la puntina. I primi interventi di sutura sui genitali femminili, però, si rinvengono nella terra dei faraoni.

Infibulazione: una forma di mutilazione genitale femminile

Quello delle mutilazioni dei genitali femminili è un concetto di recente diffusione, entrato a far parte del vocabolario occidentale intorno agli anni ’70. Si tratta di una definizione che ingloba tutte le svariate forme che la pratica ha assunto nel tempo e nello spazio. Questo finché l’Organizzazione mondiale della sanità non ne ha determinato i confini specifici. L’infibulazione o circoncisione faraonica, rientra in una delle specifiche determinazioni e consiste nell’escissione parziale o totale dei genitali esterni. Si tratta, in questo caso di una vera e propria operazione chirurgica che, alla mutilazione dell’organo genitale, somma la sutura della vulva. Si lascerà solo un piccolo orifizio per l’urina e il sangue mestruale.

L’autorevolezza comunitaria nella mutilazione dei genitali femminili

Dietro la pratica dell’infibulazione, al netto delle molte parole spese per suffragarne l’abolizione, si cela un assordante omissis. Sigillo di un accomodamento tra i generi che nutre il cammino della comunità. Ai confini di questa tacita consonanza un mondo matriarcale, abitato da donne investite dell’autorità di mattatrici della pratica da un lato. E uno patriarcale, fatto di uomini che esercitano, attraverso la tradizione, la propria strategia di potere, dall’altro. A congiungere questi due universi tanto antipodici, una usanza tanto feroce quanto simbolica che si propaga non solo in tutta la striscia dell’Africa subsahariana, ma anche in alcuni Paesi mediorientali e asiatici.

Nonostante le conseguenze drammatiche per la mutilazione subita, l’infibulazione continua ad essere considerata un capitale rito di iniziazione, attraverso il quale acquisire non solo lo status sociale di “donna”, ma anche il pass di ingresso nella comunità.  Le cicatrici, materiali e psichiche, lasciate dalle mutilazioni servono da testamento per tramandare la memoria di un’identità collettiva incamerata nei corpi delle donne.

Un rito di iniziazione scandito da una sequenza rituale e brutale

Sebbene il ventaglio delle mutilazioni genitali femminili sia tanto composito e variegato, il cerimoniale si dispiega secondo un carosello articolato in tre fasi determinate: separazione, margine e aggregazione. Le bambine che devono essere sottoposte a infibulazione, generalmente in un’età compresa tra i 4 e i 14 anni, vengono inizialmente separate dalla comunità. Al sicuro da sguardi indiscreti, si procede con la seconda fase, durante la quale la coscienza, oltraggiata in una maniera ancor più brutale del corpo, attende di rimarginarsi, di obliarsi. Ci penseranno gli intrugli di uova crude, erbe e zenzero a cicatrizzare i tagli.

Quando le ferite valicheranno il corpo per raggiungere la mente, la bambina sarà pronta per la terza fase, quella del ricongiungimento con la comunità. In questo stadio conclusivo, riceverà doni e omaggi per celebrare l’ingresso nell’universo femminile. La mutilazione dei genitali, privando la donna del piacere e della sessualità lussuriosa, tratteggia l’unico strumento per proteggerla dal desiderio maschile e da sé stessa. Quando giungerà di fronte alla necessità di avere un rapporto, concepito nell’unica foggia della riproduzione, ci penserà lo sposo a de-infibularla, costringendola a nuova sofferenza, spalmata come fosse acido nitrico su quelle antiche.

Gli allarmanti numeri attuali

Dagli anni ’70 ad oggi, la pratica dell’infibulazione, ha assunto sempre maggiore risonanza, vibrando nella coscienza di chi ha preso consapevolezza di quel che accade in un mondo neppure troppo lontano. In paesi nei quali le mutilazioni vengono eseguite sulla quasi totalità delle bambine, come il Sudan, l’infibulazione non è stata più considerata presidio di tradizione, ma oltraggio alla legge a partire dal 2020. Questo ha risolto la questione? L’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che oltre 200 milioni di donne sono state sottoposte a mutilazione genitale. Ogni anno, ancora, sono, invece, oltre 3 milioni le bambine a rischio.

Questi numeri riguardano solo il continente africano? Niente affatto. In Europa oltre 600 mila donne sono state sottoposte a infibulazione. I dati più allarmanti provengono dalla Gran Bretagna, dove solo tra il 2017 e il 2018 sono state sottoposte a escissione poco meno di 2.000 bambine. In Italia i dati sono inferiori ma comunque poco confortanti, attestandosi sulle 4.600 possibili vittime. Un fenomeno in diminuzione ma che conta numeri ancora troppo elevati perché si possa decretare chiusa la questione.

Martina Falvo

 

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