In un’ondata di proteste che ha già colpito la Germania, la Francia, la Romania, l’Olanda e altri Paesi europei, anche gli agricoltori italiani sono scesi in piazza per manifestare il loro dissenso.
Un’iniziativa promossa dal “Comitato degli agricoltori traditi” ha preso forma contro le politiche agricole dell’Unione Europea, ma anche contro le decisioni dei governi nazionali e le grandi confederazioni agricole. Da ieri, 22 gennaio, è partita una manifestazione “a oltranza” che ha coinvolto diverse città, tra cui Frosinone, Latina, Torino, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Firenze, Milano e Napoli. Si tratta della versione italiana delle proteste degli agricoltori che da mesi animano l’Europa, con slogan come “No farmer, no food, no future” (Niente contadini, niente cibo, niente futuro).
Le richieste variano leggermente da paese a paese, ma in generale i coltivatori e i pastori sostengono di essere spesso i “capri espiatori” delle riforme legate alla “transizione verde”, ritrovandosi ad essere i primi a subire la perdita dei sussidi in caso di buco nel bilancio di una nazione.
Gli agricoltori italiani si ribellano contro le politiche dell’Unione Europea che riguardano i cibi sintetici, la promozione di prodotti come le farine di insetti, l’aumento dei costi di produzione, gli obiettivi ambientali volti a ridurre l’inquinamento agricolo e degli allevamenti, nonché la vendita delle terre agricole a società energetiche.
In un contesto in cui le proteste agricole stanno diventando una costante in Europa, gli agricoltori italiani si uniscono al coro di dissenso, cercando di far sentire la propria voce contro decisioni che percepiscono come dannose per il settore. In questa situazione, a destare preoccupazione sono in particolare i partiti di estrema destra e populisti che, attirati dalle proteste e in previsione delle prossime elezioni europee, puntano ad aumentare il proprio collegio elettorale.
Le motivazioni delle proteste
“Ci hanno tradito” e “stiamo morendo” sono le accuse principali che gli agricoltori rivolgono alle politiche dell’UE e a quelle dei propri governi nazionali, ma anche sindacati e grandi confederazioni agricole come Coldiretti, colpevoli di non aver fatto nulla per difendere il settore agroalimentare. Così centinaia di trattori hanno sfilato per le strade e per le piazze di tutta Europa e poi di tutta Italia per rispondere a tutti coloro che non rappresentano più il mondo agricolo.
“Siamo al disastro. Tasse, accordi internazionali anche bilaterali con paesi che permettono di portare qui merci a pezzi stracciati, ci stanno uccidendo e non abbiamo più rappresentanze sindacali”, afferma Danilo Calvani, portavoce delle proteste italiane. L’appello del CRA è rivolto anche ai consumatori, che vengono messi in guardia sul rischio di una “crisi alimentare a meno che non cominceremo a mangiare cavallette, vermi e carne sintetica”.
Ad essere prese particolarmente di mira sono quindi le strategie del Green Deal europeo, considerato la causa principale del disagio degli agricoltori di tutta Europa. Nonostante le gravi difficoltà che le colture europee hanno affrontato negli ultimi anni a causa del cambiamento climatico (secondo la Commissione Europea, oltre l’80% degli habitat in Europa è in pessime condizioni a causa di povertà del suolo, mancanza di acqua ed eventi metereologici estremi sempre più violenti), per molti governi europei la minaccia più grande, anche in vista delle prossime elezioni europee, è l’attenzione che le proteste degli agricoltori hanno attirato da parte di partiti di estrema destra e populisti, così come dai complottisti.
La deriva populista delle proteste degli agricoltori
Data la condizione climatica in continuo peggioramento che, secondo gli scienziati, potrebbe minacciare seriamente la produzione alimentare, risulta fondamentale sostenere gli agricoltori, essendo il loro un ruolo prezioso per la prosperità alimentare europea. Ma è altrettanto fondamentale che l’agricoltura non solo mitighi il suo impatto sull’ambiente, ma si adatti e diventi resistente ai diversi disastri climatici, esattamente come ai cambiamenti nei modelli di coltivazione.
Tuttavia, come riporta il Green European Journal, la più importante lobby agricola europea (la Copa-Cogeca) e i politici che pretendono di prendersi cura e tutelare la continua vitalità dell’agricoltura europea sembrano intenzionati a resistere a qualsiasi riforma o cambiamento dello status quo.
Il Copa-Cogeca, la lobby agricola più antica, grande e potente d’Europa, ha sfruttato spesso la propria posizione per opporsi alle riforme ambientali proposte dal Green Deal e dalla strategia Farm To Fork, compreso il sabotaggio della legge per ridurre l’uso di pesticidi, vanificando gli sforzi volti a richiedere alle aziende agricole su larga scala di ridurre le emissioni nocive che contribuiscono all’inquinamento di acqua e suolo. Le sue attività hanno anche ritardato la rotazione delle colture e i requisiti dei terreni a riposo previsti dalla PAC (Politica Agricola Comune), oltre ad essere contraria a collegare i sussidi agricoli ai risultati ambientali.
Una transizione verde che vada a vantaggio anche degli agricoltori è possibile, secondo alcune ricerche, se, ad esempio, la Farm To Fork venisse implementata con attenzione. Ma ciò richiede una serie di misure e rappresentanti agricoli coraggiosi. Ed è il motivo per cui l’influenza del Copa-Cogeca e il posizionamento del PPE come “partito dei contadini” sono preoccupanti per una corretta transizione ecologica.
Secondo Nina Holland, ricercatrice presso il Corporate Europe Observatory, dietro le presunte preoccupazioni portate avanti da questi soggetti sulla sicurezza alimentare si celerebbero invece interessi economici, principalmente dell’industria agrochimica. E la deriva della legge per la riduzione dell’uso dei pesticidi ne sarebbe un esempio.
Ciò significa che la campagna di lobbying condotta dalle multinazionali dei pesticidi e dall’agroindustria ha avuto successo. È diventato chiaro che esiste una stretta collaborazione tra i produttori di pesticidi, l’industria chimica, l’agroindustria e i conservatori del PPE. Gli alleati politici di queste industrie hanno agito nel loro interesse.
Il risultato, secondo la Holland, è un perfetto esempio di come funziona il “corporate capture”, cioè come un importante gruppo politico nel Parlamento europeo difenda gli interessi delle multinazionali invece che del pubblico.
Se riduciamo l’uso di pesticidi chimici, lo sviluppo di soluzioni biologiche sarà molto più veloce. Abbiamo già molte soluzioni simili disponibili, ma ne arriveranno altre. Ma come possiamo vedere, aziende come Bayer o BASF, che dipendono dalla vendita di pesticidi, vogliono compromettere il successo della prevenzione biologica. […] La Copa-Cogeca è un’associazione che difende gli interessi di imprenditori […] ed è in linea con i produttori di pesticidi. Un portavoce del Copa-Cogeca ha dichiarato a Politico che in ogni caso le aziende agricole più piccole non hanno alcuna possibilità di sopravvivere in futuro. Se seguiamo la loro politica, questo è effettivamente ciò che accadrà.
Non tutti gli agricoltori la pensano allo stesso modo
Le Associazioni della Coalizione Cambiamo Agricoltura hanno recentemente espresso il loro profondo dissenso verso coloro che attribuiscono le proteste degli agricoltori in Europa agli obiettivi del Green Deal Europeo e alle strategie Farm To Fork e Biodiversità 2030.
Sulla stessa linea della Holland, la coalizione sostiene che queste politiche sono state di fatto sabotate dalle ultime decisioni europee che hanno riguardato, oltre al mancato dimezzamento dell’uso dei pesticidi, anche l’eliminazione degli allevamenti bovini dalla normativa europea sulle emissioni industriali, la liberalizzazione di nuovi OGM, l’indebolimento del regolamento europeo sul ripristino della natura per le aree agricole e la decisione della CE di rinnovare l’uso del glifosato per altri dieci anni, riducendo le strategie del Green Deal a semplici teorie e nessuna concretizzazione.
Anche secondo la Coalizione, dietro a queste prese di posizione ci sarebbero le lobby delle più grandi e potenti corporazioni agricole e dell’agro-industria, le quali avrebbero ridimensionato le ambizioni del Green Deal a scapito degli interessi pubblici dei cittadini e a vantaggio dei propri interessi economici.
Inoltre la dipendenza dalle risorse fossili, la volatilità dei prezzi alla produzione e speculazioni finanziarie sarebbero le “vere cause” della crisi del settore.
L’aumento dei costi di produzione, determinato soprattutto dall’aumento dei costi energetici e quindi del gasolio, dei fertilizzanti e dei pesticidi chimici di sintesi, ha penalizzato essenzialmente gli agricoltori, mentre l’agroindustria e la grande distribuzione sono riusciti a tutelare meglio i loro risultati economici. La situazione di crisi per gli agricoltori è stata aggravata anche dall’inflazione e dai provvedimenti assunti per contrastarla; confermando per gli agricoltori il ruolo di anello debole della filiera agroalimentare.
Anche la rete SlowFood tedesca è dello stesso parere, motivo per cui in Germania, accanto agli agricoltori, sono scesi in piazza al loro fianco anche gli ambientalisti. Nina Wolff, presidente di Slow Food Germania sostiene che le proteste si stanno svolgendo in un contesto di decenni di politica agricola sbagliata.
La transizione verso la sostenibilità è urgente, ma deve essere inclusiva e consentire a tutti di fare la propria parte. Ci opponiamo alla strumentalizzazione delle proteste da parte di gruppi di estrema destra che dichiarano di rappresentare gli agricoltori con il solo intento di raccogliere voti in vista delle elezioni europee del 2024, mettendo così in ombra l’importante discussione pubblica sulla necessaria transizione dei sistemi alimentari.
Le politiche e le strategie previste dal Green Deal favorirebbero sistemi alimentari più equi, sani e rispettosi dell’ambiente, ma colpiscono direttamente il settore industriale che, a dire degli agricoltori in protesta, costano troppo.
Marta Messa, segretaria generale di Slow Food, sostiene che gli agricoltori sono schiacciati da pressioni politiche, dall’industria alimentare e dalla grande distribuzione. Questo è dovuto anche al fatto che i sussidi della PAC sono stati orientati negli anni verso l’agricoltura industriale e l’aumento della distribuzione, a scapito delle realtà più piccole, destinate al fallimento.
“Non sorprende dunque che il cambio di rotta richiesto dalle nuove politiche sia accolto dagli agricoltori industriali con frustrazione e resistenza”.
Perché gli agricoltori sono importanti per le europee
Negli ultimi tempi, l’influenza delle associazioni di categoria in vari paesi europei, Italia compresa, ha assunto una rilevanza senza precedenti, in grado di spostare considerevoli quantità di voti e influenzare l’agenda politica. Un fenomeno che, in particolare, ha trovato terreno fertile nell’ambito agricolo, dove i partiti di estrema destra si sono mossi con strategie mirate per conquistare consensi e voti.
La situazione, iniziata mesi fa, ha visto il Partito Popolare Europeo (PPE), principale forza politica di centrodestra a livello europeo, progettare la sua imminente campagna elettorale per le elezioni con una serie di messaggi di sostegno alle comunità rurali, compresi gli agricoltori.
La votazione riguardante la proposta di riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi, presentata al Parlamento Europeo, ha sollevato interrogativi sulla posizione del PPE. La proposta è stata respinta, in gran parte a causa dell’opposizione del Partito Popolare Europeo, che, pur facendo formalmente parte della maggioranza che gestisce i lavori parlamentari, si è distinto per il suo netto rifiuto della proposta.
La condizione degli agricoltori e il tema della sicurezza alimentare sono stati usati dal PPE anche in occasione del loro tentativo di annullare la legge sul ripristino della natura. Ursula Von der Leyen, lei stessa membro del PPE, ha sottolineato il suo apprezzamento per il lavoro degli agricoltori, evitando però di menzionare la strategia Farm to Fork per rendere l’agricoltura più giusta e sostenibile.
In questo modo, il PPE sta provando a presentarsi come il partito degli agricoltori e sembra deciso ad opporsi e ostacolare qualsiasi riforma per frenare gli impatti negativi dell’agricoltura sull’ambiente.
L’ingerenza delle associazioni di categoria nell’ambito politico, unita all’allineamento strategico dei partiti di estrema destra come l’AfD (che in Germania continua a riscontrare un consenso in aumento), continua a plasmare il panorama politico europeo, con implicazioni significative per le politiche agricole e ambientali.