Le perle del Tantra secondo David Donnini

Bassorilievi dai templi di Khajuraho (XI sec.)

“Tantra”, nell’immaginario occidentale, evoca immediatamente curiose pratiche sessuali provenienti dall’Estremo Oriente. Come ogni luogo comune, è estremamente limitato, ma con un fondo di verità.

shiva e parvati
Il dio Shiva (principio maschile/spirituale/attivo) e la sua sposa.

I Tantra sono (letteralmente) i “testi” che sistematizzano la filosofia e la teologia di Induismo e Buddhismo. I primi risalgono al VI-VII sec. d.C. Essi descrivono tecniche di meditazione ad alto coinvolgimento fisico, da cui la disciplina dello yoga. I Tantra, appunto, offrono indicazioni anche sul modo di effettuare un rapporto sessuale. Superfluo dire che questi passi sono andati incontro a censure, durante la trasmissione dei testi.

 

Ne parla David Donnini, nell’introduzione a Le perle dei Tantra (Bolsena 1996, Massari editore, seconda ristampa 2001). Lo scrittore (nato a Firenze nel 1950, laureato in Chimica e specializzato presso la Michigan Technological University negli Stati Uniti) è noto per il suo occuparsi di religioni da circa trent’anni.




 

Di yoga e massaggi s’interessò per questioni di salute personali, irrisolvibili tramite terapie mediche, perché di matrice psicologica.

 

“Questa fu veramente la grande scoperta della mia esperienza yogica: il corpo non è un orologio, cioè un meccanismo fatto semplicemente per funzionare, esso è pervaso da una misteriosa coscienza interiore; anzi, per essere esatti, da una moltitudine di coscienze interiori che lo governano, e solo una di queste, quella di solito chiamata «mentale», governa il pensiero e le emozioni esteriori. Il medico non è normalmente capace di stabilire un contatto con queste coscienze, ma lo yoga sì, possiede un linguaggio che, attraverso le posizioni, le respirazioni e le meditazioni, può comunicare qualcosa alle coscienze interiori del corpo. Si faccia attenzione, non mi riferisco a ciò che comunemente chiamiamo «inconscio», un inconscio ancora tutto cerebrale e mentale, bensì alle coscienze che, nel corpo, sono diffuse ovunque: negli organi viscerali, nel cuore, nei muscoli, negli arti.” (Op. cit., p. 40)

 

Per spiegare le differenze tra l’approccio medico, quello psicanalitico e quello yogico alla struttura dell’essere umano, Donnini si serve di una metafora: quella delle carte geografiche. Una carta fisica è diversa da una carta politica, da una che riporta i fusi orari o da un’altra ancora che riguarda le attività economiche. Eppure, nessuno si sognerebbe di dire che una carta politica sia priva di significato, perché non segnala la posizione di laghi e montagne. O viceversa.

 

Tanto il dogmatismo religioso quanto il razionalismo si basano su un errore: la presunzione che la conoscenza possa essere imposta come oggettiva. In questo modo, si offende l’intelligenza dell’interlocutore, alla quale non si permette di esercitarsi, e ci si priva di possibilità di arricchire il proprio sapere. La pretesa di propinare un’ “oggettività” è alla base dei due estremi: gli atteggiamenti antireligiosi e quelli antiscientifici.

 

“…le osservazioni […] hanno significato solo finché sono riferite a un osservatore, ossia a un’entità soggettiva e che, pertanto, ogni realtà presunta oggettiva, nel momento stesso in cui è osservata, è inevitabilmente costretta a trasformarsi in un atto di esperienza e di conoscenza e, come tale, in una realtà intrinsecamente e irrimediabilmente soggettiva. […] Questa è la malattia di cui tutti, in diverse misure, soffriamo: un atteggiamento unilaterale verso la realtà, il progressivo allontanamento da noi stessi […] l’illusione che il reale coincida con l’apparente.” (pp. 46-47)

 

Questo ci porta alla dottrina del “velo di māyā, alla base dei Tantra: la convinzione che, alla base dei drammi umani, ci sia proprio questo distacco dalla verità. Che la nostra mente ci mostri una molteplice diversità di oggetti, laddove regnerebbe invece una sostanziale unità.

 

Non a caso, “yoga” deriva dalla radice sanscrita i̯óoġa: “unione, congiunzione”. Si tratta di riunire l’uomo a se stesso, superando le false immagini prodotte da māyā.

 

La visione alla base di esso è una cosmologia che Donnini definisce “sessuale”. Essa prevede l’unione fra il principio maschile Shiva (l’aspetto spirituale e cosciente dell’universo) e quello femminile Shakti (l’aspetto materiale, naturale e concreto).

 

Una concezione simile, senza puritanesimi e con parità tra i sessi, è ricondotta da Donnini alla civiltà dravidica che precedette l’affermazione dell’Induismo. Coloro che furono ridotti al rango di “fuori casta” dai conquistatori indoeuropei sarebbero, insomma, i veri padri dello yoga. E lo dimostrerebbe il termine Hatha-Yoga: le radici Ha (Sole) e Tha (Luna) non avrebbero alcunché di indoeuropeo. In questo, la visione storica espressa da Donnini è vicina a quella di Riane Eisler.

 

Alla lunga e ricca introduzione, seguono le traduzioni italiane di tre testi tantrici: Hatha-yoga pradīpikā; Gheranda samhitā; Shiva samhitā. Piuttosto simili nella struttura, si articolano per punti e nella forma di consigli dati da maestro a discepolo. Sono pensati per chi è già esperto nelle pratiche di meditazione, perciò non vanno considerati manuali. Aprono però un universo che, se esplorato, può sbloccare le dicotomie tra fede e ragione, morale e immorale.

 

Erica Gazzoldi

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