Le organizzazioni umanitarie sono da sempre impegnate nel salvataggio di vite umane in mare ma negli anni sono state tante le accuse mosse contro di esse. Recentemente infatti il giornalista Maurizio Belpietro è stato rinviato a giudizio con l’accusa di diffamazione pluriaggravata poiché nel 2022 aveva definito gli operatori umanitari delle Ong “i nuovi pirati” sulla copertina del settimanale Panorama di cui è direttore.
L’esposto delle Ong contro Belpietro
I fatti risalgono a novembre 2022, in seguito le Ong Emergency, Sea Watch, Open Arms e AOI Rete Associativa Nazionale avevano presentato un esposto contro il giornalista, affermando che l’immagine e il titolo di Panorama presentasse “versione dei fatti non veritiere e offensive del lavoro umanitario operato da chi nel Mediterraneo Centrale cerca di soccorrere vite umane”. L’inizio del processo è previsto per il 17 marzo 2025.
La nota congiunta
La decisione è stata presa venerdì 16 novembre dal Tribunale di Milano. Dopo il rinvio a giudizio non ha tardato ad arrivare il commento delle quattro Ong coinvolte, nella nota congiunta si legge:
«Apprendiamo oggi la decisione del tribunale di Milano di rinviare a giudizio Maurizio Belpietro: la nostra è una richiesta di giustizia perché si ponga fine alla criminalizzazione del lavoro delle organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo centrale. La definizione di “nuovi pirati” comparsa sulla copertina del giornale diretto da Belpietro non offende solo l’operato di chi come noi lavora per soccorrere le persone costrette a intraprendere viaggi pericolosi e troppo spesso mortali, ma scredita tutti coloro che operano per il rispetto dei diritti umani».
Le convenzioni internazionali
L’obbligo di garantire la sicurezza delle vite umane in mare discende da tre convenzioni internazionali: Solas, Unclos e Sar. Per quanto concerne quest’ultima, ogni paese stabilisce la propria zona Sar e in tale area è tenuto a prestare il giusto soccorso. Tuttavia, secondo alcuni, le operazioni di ricerca e soccorso Sar condotte dalle organizzazioni non governative potrebbero incentivare il business dell’immigrazione.
Inoltre, secondo la Convenzione di Amburgo si stabilisce che i naufraghi, una volta soccorsi con la minor rotta di deviazione possibile, debbano essere portati nel primo luogo sicuro, il “Place of Safety”.
Quest’ultimo deve essere un luogo in cui la persona non sia vittima di minacce per motivi di religione, razza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o politico, tortura, maltrattamenti inumani, persecuzioni, dunque tutto ciò che andrebbe a contrastare la libertà di un individuo. Motivo per cui, secondo l’agenzia ONU per i rifugiati, il “POS” è un luogo che deve fornire a queste persone garanzie fondamentali. Non possono essere considerati sicuri, quindi, i Paesi in cui vige la pena di morte o dove i migranti possono essere perseguitati per ragioni politiche, religiose o etniche.
Le accuse contro le organizzazioni non governative
Le accuse che negli anni sono state mosse contro le organizzazioni umanitarie sono di diverse e pesanti: favoriscono il business dell’accoglienza portando i migranti in Italia; non ricevono finanziamenti trasparenti, e quindi potrebbero avere dei legami con i trafficanti; hanno contribuito all’aumento di naufragi e morti. L’accusa predominante è che le Ong si spingono troppo vicino alle coste libiche, rappresentando un fattore di attrazione per i migranti.
Quest’ultima tesi è stata smentita da numerosi studi, in particolare da quello condotto dall’Istituto Universitario Europeo, il quale, esaminando i flussi migratori tra il 2014 e il 2019, ha fatto emergere l’assenza di un “pull factor” legato alle Ong, dimostrando che ad incentivare le partenze dalla Libia vi fossero altri fattori come ad esempio l’instabilità politica del paese o le condizioni meteorologiche.
I governi contro l’operato delle Ong
L’ostilità contro le Ong ha inizio nel 2017, anno in cui l’Italia ha firmato il Memorandum d’intesa con la Libia, iniziando a fornire finanziamenti ed aiuti alle autorità libiche, con lo scopo di ridurre i flussi migratori, intercettare i migranti e respingerli. Sempre in quegli anni, le Ong vengono definite per la prima volta “taxi del mare” da alcuni politici. La situazione continuò a peggiorare fino al 27 novembre 2018, con l’approvazione e l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza, che abolì la protezione umanitaria. Nel tentativo di incentivare un sistema di accoglienza diffuso e combattere l’illegalità, le conseguenze di questo decreto furono disastrose producendo l’effetto opposto rispetto a quello sperato.
Nonostante ciò, nel 2019, entrò ugualmente in vigore il Decreto Sicurezza Bis che ebbe pesanti critiche di incostituzionalità poiché promuoveva una politica di chiusura delle frontiere e dei porti, oltre ad aver introdotto delle sanzioni finanziarie per le navi delle Ong da sempre impegnate nel soccorso di vite umane in mare.
Dal 2017 i tentativi del governo italiano di impedire i salvataggi delle organizzazioni umanitarie attraverso politiche di sicurezza sono proseguiti ogni anno. Nel 2023 il Decreto Piantedosi ha imposto un “codice di condotta alle Ong” rendendo sempre più difficile il soccorso in mare: assegnando porti lontani per l’attracco alle navi di salvataggio, obbligando le navi a portare i naufraghi in porti che possano trovarsi fino a 1.600 chilometri di distanza, con un tempo di navigazione che può arrivare fino a cinque giorni dal luogo del soccorso.
O ancora, si pensi al Decreto Cutro, il quale ha introdotto procedure accelerate alle frontiere e ha ridotto la possibilità di poter richiedere la protezione internazionale.
Il ruolo cruciale delle Ong nel Mediterraneo
Le operazioni di ricerca e soccorso condotte dalle Ong sono state spesso ostacolate da accuse, dai vari decreti legge che si sono succeduti negli anni e dagli accordi che l’Italia ha stipulato con determinati Paesi. A tal proposito, in tempi più recenti, si pensi a quello con l’Albania, che ha portato ad una forte accelerazione nelle politiche di esternalizzazione delle frontiere. Dunque, è abbastanza chiaro che l’intento sembri essere quello di impedire le partenze.
Difatti, negli anni, gli Stati Europei hanno fortemente politicizzato la questione dei flussi migratori ponendo in secondo piano l’umanità e la solidarietà, soprattutto per quanto riguarda i salvataggi nel Mediterraneo centrale, che è considerato una delle rotte più pericolose al mondo, un vero e proprio cimitero a cielo aperto. Infatti, negli ultimi dieci anni, sono morti 30mila migranti, solo nel 2024 sono circa 466 i morti e 655 i dispersi.
Una risposta realmente efficace verso una soluzione più radicale e duratura per combattere il fenomeno migratorio richiederebbe l’apertura di nuovi canali di ingresso legale e il rafforzamento di quelli esistenti per i rifugiati e i richiedenti asilo che sono, presumibilmente, la maggioranza delle persone trafficate per mare. Si potrebbe iniziare dalla revisione degli Accordi di Dublino, i quali stabiliscono quali Stati membri sono responsabili della valutazione delle richieste di asilo presentate da coloro che cercano protezione internazionale. In altre parole: se una persona. in cerca di asilo arriva in un Paese dell’Ue diverso da quello in cui aveva presentato la richiesta, gli accordi di Dublino determinano quale Stato membro sia tenuto ad esaminare la domanda.
In molti sostengono che i migranti siano incentivati a lasciare le loro terre natie poiché consapevoli che ci siano le Ong a salvarli qualora ce ne fosse bisogno. Ma questa affermazione è fuorviante poiché queste persone fuggono da guerre, abusi e violenze che possono continuare anche durante i loro viaggi verso l’Occidente, soprattutto se si finisce preda di trafficanti e di criminali. Tuttavia, le difficili condizioni di estrema vulnerabilità e povertà in cui vivono i migranti e i rifugiati li obbligano, in assenza di alternative legali per l’ingresso, a ricorrere a qualsiasi mezzo possibile per cercare di salvarsi, anche mettendo a rischio la propria vita.
Forse basterebbe avere un po’ di empatia per capire che nessuno affronterebbe questo viaggio della speranza se avesse delle alternative, ma purtroppo non si pensa mai agli immigrati come esseri umani vittime di sistemi criminali più grandi di loro.
In tutto questo perpetuarsi della banalità del male, ad uccidere non sono solo le rotte migratorie ma anche tutte le politiche che sono state attuate nel corso degli anni. E in questo tragico scenario, le Ong rappresentano l’unico barlume per la sopravvivenza e non è propriamente corretto definirle “i nuovi pirati”.