Il 25 novembre la Commissione Europea ha annunciato il nuovo piano d’azione per il Mediterraneo Centrale. Tra le “novità”, 580 milioni di euro per finanziare accordi con Paesi terzi e una possibile revisione delle regole del soccorso in mare.
Mentre assistevamo ad un’escalation dello scontro tra Italia e Francia in merito allo sbarco dei migranti rimasti sull’Ocean Viking, la Commissione Europea ha presentato il nuovo “Piano d’azione” per “fronteggiare le attuali sfide lungo la rotta del Mediterraneo Centrale”. Se, da un lato, il piano è stato caldamente supportato dai ministri dell’Interno UE, le ONG lo hanno invece accusato di essere irrealizzabile e di riciclare vecchi errori. La stessa Stephanie Pope, l’esperta in migrazioni di Oxfam UE, ha dichiarato subito dopo la presentazione:
Questo piano non è che un rimpasto di vecchie idee che non funzionano. Si limita a distogliere l’attenzione da ciò che andrebbe realmente fatto: sistemare il sistema d’asilo europeo, ormai guasto. È una perdita di tempo.
Ma cosa prevedono i 20 punti del piano d’azione per il Mediterraneo Centrale?
580 milioni per finanziare accordi internazionali
L’UE continua ad investire nella politica di esternalizzazione delle frontiere, che negli ultimi anni ha portato a siglare discutibili accordi con Paesi quali la Turchia e la Libia. 580 sono i milioni che entro il 2023 verranno stanziati per finanziare accordi bilaterali ed internazionali con i paesi di transito e origine. Sorvolando sulle crescenti derive anti-democratiche, paesi come l’Egitto, la Tunisia e la Libia continueranno a ricevere finanziamenti al fine di arginare le partenze. Rafforzata sarà anche la cooperazione con il Niger, considerato oramai come la “frontiera meridionale d’Europa”.
Le modalità? Rafforzamento dei controlli alle frontiere, potenziamento degli accordi di riammissione dei migranti nei Paesi non di origine, e incentivazione dei rimpatri. L’UE ha pertanto deciso, ancora una volta, di sorvolare sulle continue torture, detenzioni e violazioni dei diritti umani che avvengono nei suddetti Paesi. La “Fortezza Europa” deve essere difesa, costi quel che costi, l’importante è ridurre gli sbarchi. Come ha sottolineato la direttrice dell’ECRE (Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esiliati), Catherine Woollard,
Il Piano della Commissione si concentra sulle responsabilità dei Paesi non-europei sull’altra sponda del Mediterraneo. Questa è una grande debolezza. La priorità per l’Europa dovrebbe essere siglare accordi tra gli stessi paesi europei.
È pur vero che nella terza parte del documento si parla di incentivare il ricollocamento dei migranti nei diversi stati europei. Il Piano prevede di rafforzare il cosiddetto meccanismo di solidarietà lanciato nel giugno 2022, ma, accanto ai buoni propositi, non compaiono né cifre, né quote.
Nuove regole per il soccorso in mare?
Ulteriori critiche ha suscitato la parte del piano dedicata al soccorso in mare. I punti 14 e 15 propongono misure poco chiare per rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri e riconfermano il ruolo di Frontex a vedetta nel Mediterraneo Centrale. Ma è il punto 17 ad aver sollevato le maggiori accuse.
Anche a seguito delle già citate tensioni tra Francia e Italia, l’operato delle ONG è stato messo nuovamente al centro della discussione. Sebbene sia stato più volte assodato che le navi umanitarie non esercitino un’azione di pull factor per i migranti, sono proprio loro l’oggetto del punto 17. La Commissione ha, infatti, rilanciato l’idea di far pressione sull’IMO (International Maritime Organization), per cambiare le regole del soccorso in mare. In particolare, per le imbarcazioni delle ONG.
L’intento poco velato di riscrivere delle regole ad hoc per le navi umanitarie ha sollevato accuse da parte di numerosi giuristi. Non solo sarebbe una condotta discriminatoria, ma significherebbe venir meno agli obblighi derivati dal diritto internazionale marittimo (sancito dalle convenzioni SAR, SOLAS e UNCLOS). Come ha commentato Sea Watch in un post su Twitter:
Non abbiamo bisogno di nuovi regolamenti per la navi soccorritrici. Serve solo che l’UE rispetti le già esistenti normative del diritto internazionale marittimo e dei diritti umani.
Insomma, l’UE continua a riversare le responsabilità su agenti esterni, dai Paesi terzi alle ONG, riproponendo strategie rivelatesi fallimentari in passato. Il meccanismo di accoglienza attivato per i profughi ucraini ha, tuttavia, mostrato che, se c’è la volontà politica, una soluzione si trova. È giunto il tempo per un cambiamento vero e profondo, che consideri tutte le persone migranti, rifugiati e non. È giunto il tempo di ricostruire un sistema d’asilo fallace, di rivedere le normative interne in materia d’immigrazione e di favorire la mobilità internazionale. Non possiamo più accettare vecchie parole stantie riconfezionate in “nuovi” piani.
Eva Moriconi