Non serve chissà cosa per fare di un angolo di mondo, uno spazio pulito. Non serve chissà cosa per rendere due minuti, un tempo speciale. Non serve chissà cosa. Una strada da percorrere, papà accanto, il sole sopra la testa ed un violino che suona. Et voilà!
Questo può bastare, questo è bastato affinché in piazza Bartoli, a Trieste, la musica e la danza sorprendessero, meravigliassero, emozionassero.
Un violino che suona ed una ragazza che, incapace di resistere a quel coinvolgimento, inizia a danzare. E lo fa per strada! E lo fa perché suo papà la incoraggia! Lo fa perché quando il Corpo chiede di ballare, non si può trattenerlo, non si deve trattenerlo.
Esiste un video che racconta di questo momento ma più che altro, esiste il ricordo di una piazza che potrà sempre raccontarlo.
Esistono quei momenti, accadono quelle cose, che agli occhi del mondo, appaiono come delle possibilità: la possibilità che il tempo in un certo senso si fermi, che il mondo si fermi. Uno di quei momenti in cui piace pensare che nessuna bomba al di là del mare stia esplodendo. Uno di quei momenti in cui è bello pensare che nessuno sulla strada parallela stia piangendo. Uno di quei momenti in cui è facile pensare che basta poco per creare bellezza.
E il violino suona. E lei danza.
Come se quella melodia e quella ragazza si stessero cercando da sempre. Perché a volte, non è l’anima gemella o la professione ideale ad essere desiderate e cercate: a volte, si cerca semplicemente la propria musica. Quella che ci si porta dentro da sempre, da quando altro non si sapeva, altro non si conosceva, se non quella musica. Se non quelle note. E le si riconosce. E non si può far a meno di danzarci al suono, sotto al cielo e davanti agli occhi di passanti pensierosi, preoccupati o increduli.
Davanti a schermi che, come accade sempre ormai, tra dieci minuti, avranno reso quella spontaneità un video, una sceneggiatura, un’ esibizione cliccabile e visualizzabile dal mondo intero. E mentre il violino suona e lei danza, pensano che forse è bene che sia così: è bene che altri occhi si rilassino davanti a quella danza che sa di libertà, è bene che altre orecchie ascoltino quella musica che sa di passione, di vocazione, perché è quello che si vuol fare: suonare. Semplicemente.
Ed è bene che siano visualizzabili anche video del genere, di quelli che sono la prova che al mondo c’è ancora qualcuno che suona e che continua a farlo, anche se piove; che al mondo c’è ancora qualcuno che danza perché a chiederlo è il suo corpo e non una giuria; e che il mondo, resta (è così, vero?) il posto più bello in cui produrre melodia: affinché chi deve riconoscerla, abbia la possibilità di farlo.
Per portarla con sè. Lungo altre strade, alla ricerca di un quel violinista, di quelle note, di quel brivido.
Alla ricerca, ancora, della prova che quella musica che ci si porta dentro da sempre, esiste (Visto che esiste?!). E se esiste, può essere raggiunta. E se può essere raggiunta, ascoltata, ci si può danzare al ritmo. E se lo si è potuto fare in passato, potrà accadere ancora. Ogni volta.
Deborah Biasco