Un detto fiammingo auspicava di “avere la testa nelle mani” al fine di essere proclive a una certa laboriosità manuale in sintonia con una mentalità fattiva.
L’habitus protestante conferiva un maggior respiro a un’etica attivista prodiga a “conquistarsi” la predestinazione.
Le mani rappresentavano sempre lo status sociale ed emotivo delle figure. La loro postura stigmatizzava il bardo personale e veicolava il sentire diffuso all’epoca. Un manifesto dell’estetica del periodo quattrocentesco, non esule da echi del comparto artistico italiano.
Il Maestro del fogliame ricamato, attivo nella seconda metà del Quattrocento, suggerisce la sua visione allungando le dita delle figure femminili in scena nel suo celebre Matrimonio mistico di S. Caterina. Il dialogo tra le mani sulla tela è minuzioso, peculiare nei suoi accenti.
La Vergine sostiene a palmi congiunti il bambin Gesù, con una delicata confidenza, prosaica, come nello spirito fiammingo che non decurta mai un certo “sentire di genere”. Umana, madre, prima di creatura celeste. Le sue mani tradiscono questa vulnerabilità di fanciulla, inesperta, ma deputata nella sua piccolezza a essere grande.
Il pargolo ha quasi un’espressione vissuta, ma le sue dita svettano giocose, disinvolte, fiere, verso S. Caterina, maldestro, ma allo stesso tempo dotato della tipica sfrontatezza infantile, che fa sorridere la maturità.
A latere del focus raffigurato, due fanciulle leggiadre, dai capelli raccolti, collo lungo, arco sopracciliare glabro. Due colonne a stigma della scena sacra centrale. La donna di destra con le sue mani sembra sorreggere un libro, accarezzandolo, come in totale assenza di gravità. Il senso di un’attesa indolente profonde su tutta la tela.
Una simmetria nel giogo manuale che trova il suo speculare nel movimento tattile della donna a sinistra che sfiora leggiadra, quasi con timore, un rosario.
Sullo sfondo di questo hortus conclusus altre figure femminili descrivono una melodia con la raffinatezza delle loro posture.