Quando hai paura, da bambino, ti rifugi fra le braccia della mamma. Poi le mamme muoiono ma quel bambino spaventato non muore mai. Tocca andare a cercarlo nel nostro sottosuolo, laggiù dove l’abbiamo abbandonato, ma attenti, graffia come una tigre. Le sue lacrime sono ruggiti. Ce l’ha con Dio perché Dio è morto. Per un bambino la mamma è Dio. Bisogna spupazzarselo come farebbe un fratello maggiore, consolarlo (mentre ti sputa in faccia come un calciatore) e assicurarlo che d’ora in avanti lo proteggeremo, prenderlo per mano, condurlo fuori da quel malefico bosco notturno, via, via dalle paure demoniache di chi non riesce a capacitarsi di quale terribile crimine si sia macchiato per aver subito una punizione tanto orrenda come l’abbandono.
No, gli diremo, non hanno ucciso tua madre e tanto meno il colpevole sei tu. Ribattezzeremo tutte le cose meravigliose della vita. Ridaremo il nome, quello vero, solo nostro, alle farfalle, agli amici, agli uccelli. Gli insegneremo il sillabario della felicità che passa attraverso l’accettazione di tutti i dolori della terra. Gli faremo da madre, padre, saremo tutta la sua famiglia, noi e lui, soli insieme.
Una volta scrissi che tutte le donne amate da un uomo hanno qualcosa di sua madre. Un’altra volta, incautamente, scrissi: le madri, questi padri del genere umano. Molte amiche di Facebook mi risposero stizzite, scambiandomi per un maschilista da quattro soldi, mentre intendevo l’esatto contrario, che Dio è Madre e senza il dono supremo della femminilità non esisterebbe il mondo. Questo mondo così disturbato perché ha avuto un rapporto disturbato con la propria madre. Quando studio i grandi killer della storia umana, da Hitler a Stalin, la prima cosa che cerco nelle biografie è il paragrafo riguardante le loro madri.
E i padri non contano nulla? Sì, ma mai altrettanto e solo subordinatamente al lasciapassare delle madri. Quando i miei figli erano molto piccoli e commettevano un qualche disastro io dicevo a mia moglie di mandarli a me. Così lei mi mandava i bambini su in studio dove stavo scrivendo Alcatraz. Loro si presentavano con le faccette contrite di chi sta per ricevere una punizione. Ma io intendevo: mandameli interiormente, “affidameli”. Solo le mamme hanno tutto il potere. Sono la dogana dell’amore. Ma se sollevano il passaggio a livello interiore e dicono: va’ da papà perché io lo amo e sono contenta se un giorno sarai come lui, solo così i padri possono entrare in gioco e i bambini crescere sani, al di là delle punizioni, e perfino al di là se avranno ricevuto una educazione buona o cattiva.
Ho avuto cattivi maestri ma è stata una buona scuola. Però, se ho avuto un rapporto disturbato con mia madre e se mia madre non mi ha presentato col cuore a mio padre, di certo avrò una vita irta di complicazioni perché non riuscirò a stabilire rapporti con gli altri e con il mondo. E di quest’ultimo la mamma è il cuore, eternamente battente, anche quando le mamme non ci sono più. Siamo noi allora a dover discendere in quella gelida terra di frontiera. Sciogliere la neve col calore del nostro amore disperato. Liberare gli ingranaggi di quel passaggio a livello arrugginito. Far emigrare il bambino che siamo stati fuori da quella terra desolata e accoglierlo finalmente dentro di noi.