Le Grandi Dimissioni giovanili: il lavoro non è più la priorità

Grandi Dimissioni giovanili 2023

Il 2023 è l’anno delle dimissioni volontarie dal lavoro. La fascia d’età protagonista di questo fenomeno è stata quella dei più giovani, che hanno evidenziato nuove necessità di vita, benessere e condizioni di lavoro. Le Grandi Dimissioni giovanili hanno colpito in primo luogo l’America e in seguito hanno raggiunto anche l’Europa, modificando le economie di molte aziende. Le ondate di dimissioni sono il sintomo di un mondo post-pandemico che sta cambiando. 

I dati delle Grandi Dimissioni giovanili in America e in Italia

Le ondate delle Grandi Dimissioni giovanili sono ormai avvenimenti continui che causano molte fluttuazioni economiche delle aziende pubbliche e private. Il 2023 è stato infatti dichiarato l’annus horribilis dell’occupazione giovanile: 3 persone su 4 hanno lasciato il proprio impiego, dunque il 75% tra la Generazione Z – i nati dal 1995 in poi – e i millennials – e i nati nei primi anni ’90.

La “Great Resignation” più recente è iniziata nel 2021 e ha visto 40 milioni di americani lasciare il proprio posto di lavoro. Dopo un leggero appiattimento nel 2022, le ondate hanno nuovamente aggredito il paese l’anno successivo, scuotendo la stabilità sociale ed economica. Il fenomeno ha poi avuto un’eco anche in Europa. L’Italia ha affrontato la crisi delle Grandi Dimissioni giovanili nel 2022, quando i licenziamenti sono arrivati addirittura a più di 2 milioni. 

Secondo i dati Istat del giugno 2023, la disoccupazione giovanile in Italia si è notevolmente abbassata di 0,4 punti percentuale rispetto al maggio precedente. Rispetto a giugno 2022, il numero di occupati è salito dell’1,7%. Analizzando dati e statistiche, sembra che non ci siano problemi riguardo l’attività giovanile e che l’economia sia in ripresa. Ma i numeri non descrivono, nonostante la loro precisione, le condizioni di lavoro a cui gli attivi si devono adeguare. Non si considera alcun tasso di benessere o soddisfazione. 

Le ragioni dei licenziamenti oltre i dati: il climate e il quiete quitting 

Le dimissioni volontarie tra i giovani hanno oggi delle particolari motivazioni che non sempre sono collegate al salario. Accanto al fattore strettamente economico, si aggiungerebbe anche quello etico. I giovani infatti accusano molto di più l’impatto che le aziende per cui lavorano hanno nei confronti dell’ambiente. Si parla infatti di climate quitting per evidenziare la ragione palese del licenziamento volontario. I giovani dunque non si fermano davanti ad una banale preoccupazione, non restano passivi rispetto alla loro stessa vita, ma si licenziano. Attuano quindi delle strategie pratiche ed efficaci, mettendo a rischio anche la loro sopravvivenza, proprio perché sono sensibili ai problemi moderni. Dal cambiamento climatico all’elevato tasso di inquinamento delle aziende, dalle guerre al loro impatto sul tessuto sociale.



La Generazione Z ha tra le sue priorità l’impatto ambientale del loro lavoro ed è pronta a licenziarsi da tutte quelle aziende che non sono in linea al loro stile di vita e alla loro etica. La ricerca degli impieghi dei giovani si basa perlopiù su particolari piattaforme online che promuovono un’attitude positiva, sostenibile e integrativa. Un’altra preoccupazione di cui le ultime generazioni si fanno carico è il benessere psicologico e fisico, che non può quindi essere compromesso da un lavoro troppo alienante. L’atteggiamento lavorativo che ha come priorità il bisogno psico-fisico è il quiete quitting e consiste nel fare il minimo indispensabile per soddisfare la richiesta dell’azienda. L’obiettivo è quello di non intrecciare la vita privata con quella lavorativa, rischiando di compromettere uno stile di vita equilibrato e provocare così un senso di frustrazione. 

Le problematiche economiche e psicologiche

Le Grandi Dimissioni giovanili comprendono tutte quelle persone che hanno un’età tra i 18 e i 35 anni. I giovani richiedono maggiori benefici economici, opportunità di carriera e flessibilità. Negli ultimi anni, lo smart working ha raggiunto sempre più importanza per la sua comodità e la gestione del tempo. Infatti, non si vuole più tornare a casa solo per mangiare e dormire, per poi svegliarsi e tornare a lavoro. Sebbene quasi anacronistico, questo concetto è assimilabile all’alienazione lavorativa di cui si parlava molto nel secolo scorso. Ad oggi, critiche e argomentazioni possono essere diverse, ma le preoccupazioni sono le medesime. Il lavoro non può né deve essere la priorità,  per non compromettere il benessere della persona,  i rapporti con i colleghi e il piacere stesso di avere un impiego. 

Riguardo al fattore economico, molte persone sono obbligate a dimettersi perché in cerca di lavori regolari, salari più alti e garanzie migliori. Le fasce d’età più giovani accusano la pericolosa instabilità economica, che li colpisce sopratutto nei primi anni di autonomia dal sostegno dei genitori.

Riguardo al fattore psicologico, molti giovani accusano lo stress che deriva dalla concorrenza. L’atteggiamento concorrenziale è parte integrante della vita sociale, sin dalla tenera età. Voti, classifiche, premi e punizioni ci accompagnano dalle elementari all’azienda e creano rapporti falsi con una concorrenza sleale. Tutto ciò porta le persone più sensibili a licenziarsi per un sovrabbondante stress psicologico. 

Secondo i più anziati, la peggio gioventù

È importante sottolineare, tra le ragioni delle Grandi Dimissioni giovanili, il rapporto che le ultime generazioni hanno con quelle più anziane, come quelle nate negli anni ’60. Queste ultime, sopratutto nell’Italia degli ultimi anni, ricoprono un ruolo dirigenziale e concedono uno spazio residuale ai giovani neolaureati. Il malcontento per la scarsa attenzione è piuttosto diffuso nelle aziende del Nord Italia. In modo particolare, le imprese che soffrono il fenomeno delle Grandi Dimissioni giovanili sono quelle che si occupano del settore tecnologico, economico e della comunicazione. 

Nell’immaginario dell’anziana classe dirigente, il concetto del passatempo è visto come un atteggiamento ozioso che dovrebbe essere evitato perché non profittevole. Infatti, oberati dalla logica della produttività economica e dell’investimento capitalistico in ogni attività della vita, i giovani sono continuamente tacciati di pigrizia, sono definiti “sdraiati” proprio per indicare la loro inutilità. Non si riesce – né si tenta – di concepire il concetto di tempo libero come uno spazio privato da impiegare nella cura della persona e dei rapporti sociali. 

Vessazioni simili sono anche nei confronti di tutti coloro che non sono disposti ad accettare un lavoro misero, con un salario inesistente e nessuna garanzia per gli infortuni. Agli occhi di molti, chi si appella e richiede un sostegno economico statale, perde la sua dignità. Nel corso del tempo, l’importanza del lavoro è stata rimodellata anche nel rispetto di ciascun bisogno, riuscendo ad aumentare così l’auto-  considerazione di ognuno e le modalità attraverso cui investire e fare carriera. 

Dalla crisi alla rinascita

L’epoca post-pandemica nella quale viviamo è una fase molto critica dell’esistenza. Le Grandi Dimissioni giovanili non sono solamente la conseguenza di una crisi economica e lavorativa, ma anche psicologica e attitudinale. Rappresentano una condizione di insoddisfazione e di mancanza di fiducia nel futuro.

Nella sua etimologia, la parola crisi non esprime necessariamente un momento di estrema povertà. Può essere anche un momento di svolta, un cambio radicale di rotta verso un sistema più florido. Questo punto di rottura evidenzia il cambiamento del rapporto che i giovani hanno con il lavoro.

Il messaggio sociale delle Grandi Dimissioni giovanili è che non esiste solo il lavoro: ci sono gli affetti, la salute, il tempo libero e i bisogni individuali. Consapevole è quindi il rifiuto della totalizzazione del lavoro sulla sfera personale. D’altro canto, i giovani riconoscono l’importanza del lavoro nella vita. Infatti, proprio per questo e, in alcuni casi, per una maggiore disponibilità economica dalla nascita, tendono ad avere una più alta autostima delle loro capacità. Ciò li porta ad avere un atteggiamento più selettivo delle opzioni lavorative che possono essere offerte.

Questo aspetto può essere anche positivo, proprio perché può portare ad un miglioramento delle condizioni di lavoro e delle proposte che le aziende avanzerebbero. In conclusione, anche per il benessere delle future generazioni, si auspica ad un mondo in cui il lavoro sia vissuto non come un obbligatorio e unico dovere per una vita dignitosa, ma come un salutare piacere per il  corpo, l’anima e l’ambiente circostante.  

Lucrezia Agliani

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