Il venticinque aprile rappresenta molto più di una semplice data nel calendario italiano. È il simbolo della nascita della resistenza partigiana, dell’opposizione fisica e armata al nazifascismo e dell’avvento della vita repubblicana nel Paese. In questa giornata di festa quanto di lotta, ci ritroviamo a riflettere sul coraggio e sull’eroismo di coloro che hanno lottato per la libertà e la democrazia durante gli anni bui della dittatura fascista. In particolare, è importante parlare del ruolo delle donne nella resistenza partigiana, della loro resistenza antifascista come lotta femminista e modello di pratica politica per le generazioni future.
Una breve storia delle donne nella resistenza partigiana
Il venticinque aprile è una data carica di significato per l’Italia, un giorno che segna la nascita della resistenza partigiana e l’inizio della vita repubblicana. Cento anni fa, il Paese affrontava le brutture della dittatura fascista, una dittatura che si insediò scavando nell’abominio dell’olio di ricino, nella persecuzione dei dissidenti e nelle marce nere che oscuravano la capitale. Il ruolo delle donne nella resistenza partigiana ha sempre determinato una dei pilastri fondamentali della resistenza civile italiana. Protagoniste nelle città così come nelle montagne, le donne antifasciste e partigiane si occupavano di tutto.
Il processo di resistenza attiva, di lotta e di seguente liberazione è avvenuta in vari modi e le donne sono sempre state presente e parte integrante. Le donne nella resistenza partigiana hanno preso la collettiva responsabilità di trasportare munizioni e armi, organizzare l’assistenza medica e sanitaria, favorire la stampa antifascista, ma sopratutto essere armate e combattere.
Non c’era differenza tra la provenienza geografica, l’età o le qualifiche professionali: la loro esistenza era destinata alla resistenza, poiché loro hanno scelto per prime di essere quel fattore determinante per la liberazione dal regime mussoliniano. Il loro non è stato un contributo, ma una partecipazione attiva e consapevole alla lotta armata e alla resistenza culturale.
Il ruolo delle donne nella resistenza partigiana: una storia non tanto silenziosa
Le donne hanno giocato un ruolo fondamentale nella resistenza partigiana, anche se la loro memoria è stata a lungo trascurata nella storia ufficiale. Migliaia di donne hanno rischiato la vita come staffette, trasportando cibo, armi e messaggi tra i partigiani, spesso esponendosi a torture e violenze sessuali. Altre hanno protetto i partigiani nascondendoli, curandoli e fornendo loro supporto logistico.
Basti ricordare le donne che hanno liberato Napoli nel 1943 e che hanno impedito, pochi giorni prima dell’8 settembre – giorno dell’arresto di Mussolini e dell’armistizio di Cassibile-, che avvenissero rastrellamenti da parte delle forze di occupazione fascista.
Le donne nella resistenza partigiana però hanno ricoperto quel ruolo memorabile di combattenti: organizzavano delle staffette molto veloci attraverso bande armate, come le GAP. – Gruppi di Azione Patriottica. Erano incaricate di trasportare armi, sia nelle città sia nelle campagne e tra le montagne, da un posto ad un altro: avevano un programma e un’organizzazione salda e impeccabile.
E ancora, subito dopo la liberazione, nel 1945, furono ventuno le donne nella resistenza partigiana che hanno contribuito alla stesura della Costituzione italiana. Conosciute come le madri costituenti, hanno portato con sé l’esperienza e il coraggio acquisiti durante la resistenza. Queste donne, provenienti da ogni parte del paese e con storie diverse, hanno lasciato un’impronta indelebile sulla storia italiana, purtroppo spesso dimenticata.
Il dibattito (sessista) sull’uso delle armi da parte delle donne
Il ruolo delle donne nella resistenza partigiana e, in particolare, nella lotta armata è stato spesso oggetto di tabù e discriminazioni all’interno delle stesse brigate partigiane. Il riconoscimento delle donne come combattenti armate avrebbe significato affrontare il tabù della violenza femminile e riconoscere una parità di genere che sfidava le norme culturali tradizionali.
Tra le bande di resistenza infatti, c’è sempre stato un velo di silenzio sulla posizione e il ruolo della donna nella lotta armata. Molti degli uomini partigiani infatti, nonostante di fede socialista e comunista, hanno sempre evitato di parlare della lotta femminile, in quanto una declinazione non conforme allo standard di “guerra” e combattimento. La guerra è per gli uomini, secondo la nostra cultura, e le donne partigiane non rientrano in un quadro solo al maschile.
Questa retorica e narrazione assolutamente sessista e maschilista – che, come abbiamo ben visto, rimane salda nonostante la fede politica radicale – è sempre stata preponderante nella storia e nella memoria della Resistenza e del 25 aprile. C’è stato chi, in passato, abbia escluso le figure femminili dai racconti riguardo ai fronti di guerra, oppure chi le ha biasimate per non aver ricoperto il ruolo del focolare domestico.
L’ombra del maschilismo sistemico in Italia ha quindi portato ad oscurare gran parte del ruolo delle donne nella lotta partigiana, soprattutto quando l’argomento riguarda proprio il contributo politico e militare – e non sociale. Ma le donne hanno insegnato alla storia quella che è la pratica femminista di lotta e resistenza, attraverso la resistenza con i propri corpi.
Celebrare il 25 Aprile: resistenza e riconoscimento per la continuità di una lotta femminista
Oggi, mentre celebriamo il venticinque aprile come simbolo di resistenza e libertà, è importante ricordare il coraggio e l’impegno delle donne che hanno lottato per la democrazia e i diritti umani in Italia. Dobbiamo impegnarci a preservare la memoria della resistenza e a garantire che le voci delle donne siano pienamente riconosciute e celebrate nella storia del nostro Paese.
Ma nonostante la tendenza all’oblio del ruolo delle donne della resistenza partigiana, bisogna sempre ricordare che ventuno di loro rimarranno, fino a che la Costituzione vivrà in Italia, sempre impresse nelle pagine della storia. Ventuno donne che rappresentano una resistenza femminile e femminista molto più ampia, che nel corso degli anni si è andata via perdendo.
Oggi, 25 aprile, ricordiamo sopratutto quei nomi di battaglia che hanno lottato per la libertà: erano tutte pronte a morire sul campo di battaglia, ma nel nome della libertà. Quei giorni, anzi quegli anni, di resistenza e unione che hanno portato tutte le donne della resistenza ad unirsi nella lotta per il domani, per quella resistenza che ha portato alla vittoria. Hanno lasciato il loro segno nella memoria collettiva, hanno scritto quei principi di libertà e democrazia che bisogna difendere ogni giorno. Ma ce lo hanno dimostrato bene: la lotta, oltre ad essere collettiva, è anche e sopratutto fisica.
Storicamente innegabile il contributo delle donne nella lotta al nazifascismo ed al raggiungimento della democrazia …. nonostante l’altrettanto innegabile “silenzio” imposto da una cultura politicamente trasversale sul tema della parità di genere.
Solo chi non ha studiato queste drammatiche pagine della storia italiana non ha conoscenza e coscienza di quanto utile, fattiva e coraggiosa sia stata la diretta partecipazione delle donne nella guerra di liberazione, che è proseguita anche dopo, a democrazia ormai consolidata, nelle battaglie per altri fondamentali diritti di tutti i cittadini, uomini e donne, come ad esempio il diritto al divorzio e all’aborto.