In Colombia, le donne indigene trans sono tutt’oggi vittime di violenza e abusi. Ostracizzate sia dalle comunità indigene che dalla società maggioritaria ancora maschilista, hanno trovato rifugio nelle piantagioni di caffè.
In Colombia gli Emberà Chami sono un popolo indigeno che rappresenta circa il 2% della popolazione indigena colombiana. Sono principalmente stanziati lungo la Cordigliera delle Ande occidentale, area rinomata per la produzione di un caffè di altissima qualità. All’interno di questo gruppo etnico, le donne indigene transessuali sono ostracizzate da una società molto conservatrice, che le chiama “Werafa” (donne finte). Il loro unico rifugio è rappresentato dalle piantagioni stesse, che offrono loro la possibilità di guadagnarsi da vivere e di esprimere liberamente la propria identità. Il video-reportage di Carmen Butta “Colombia: le raccoglitrici di caffè trans”, documenta la vita di queste donne, mostrandoci le loro gioie, paure, sogni e strategie di resistenza.
I diritti delle persone LGBTQ+ in Colombia
La Colombia ha ottenuto importanti vittorie per quanto riguarda i diritti delle persone LGBTQ+ a partire dal 2015. I matrimonio tra persone delle stesso sesso sono stati legalizzati, così come l’adozione. Le persone trans possono cambiare il proprio nome sulla carta d’identità. Ciò nonostante, la vita delle donne trans in Colombia (così come in altri paesi dell’America Latina) è tutt’ora segnata da forti discriminazioni e pericoli.
È un paese estremamente tradizionalista: il passato coloniale ha causato la diffusione capillare di un cattolicesimo conservatore, il quale si sovrappone ad una struttura ancora fortemente patriarcale e maschilista. L’attenzione da parte della società verso le comunità LGBTQ+ si sta facendo strada lentamente e solamente nella grandi città, come Bogotà.
Dall’altra parte, le comunità indigene ritengono la transessualità come “un male portato dai bianchi”, concepito come “a-normale”. Le donne indigene trans vengono solitamente scacciate dai villaggi, ripudiate dalle stesse famiglie. Il risultato è che la loro incolumità in Colombia è spesso messa a repentaglio, e costoro si trovano esposte ad abusi, violenze, sfruttamento e discriminazione. Nel corso del 2022, il numero delle donne trans assassinate è raddoppiato rispetto al 2019: negli ultimi due anni, gli omicidi registrati ufficialmente sono stati più di 50 .
Le donne indigene trans si rifugiano nelle piantagioni di caffè
Le piantagioni di caffè che si estendono attorno alla cittadina di Santuario rappresentano il solo rifugio per molte donne indigene trans di etnia Emberà Chami. La loro transessualità non è accettata nelle rispettive comunità d’origine. Molte di loro sono state vittime di soprusi in passato, costrette con la forza ad abbandonare i propri villaggi.
Mi hanno quasi picchiato a morte con un lazo e rinchiuso in una cella per una settimana, senza mangiare per tutto il giorno, con solo un bicchiere d’acqua. Non potevo neanche lavarmi
Reportage “Colombia: le raccoglitrici di caffè trans”
Il lavoro nelle piantagioni di caffè è spesso l’unico impiego che riescono a trovare e che garantisce loro un luogo sicuro dove poter essere sé stesse. Durante il giorno lavorano nei campi e ,nel tempo libero, possono vestirsi e truccarsi liberamente senza subire punizioni o violenze. Le raccoglitrici del reportage di Butta vivono assieme in una delle fattorie immerse nel paesaggio andino. Qua si vengono a creare delle vere e proprie comunità di donne trans, caratterizzate da un grande senso di solidarietà e cooperazione. Come racconta Bella, una raccoglitrice di caffè
Questa nostra comunità trans è un rifugio nel quale mi sento liberata. Mi sembra di potermi scrollare di dosso tutto l’odio di questi anni, tutte le parole e gli sguardi cattivi.
Manodopera a basso costo
La vita nei campi, tuttavia, è tutt’altro che facile. I proprietari delle piantagioni prediligono le donne perchè sono forti, lavoratrici instancabili e, soprattutto, a basso costo. I datori di lavoro garantiscono generalmente vitto e alloggio, ma i salari rimangono irrisori. La retribuzione si basa sulla quantità di chicchi di caffè raccolta: per velocizzare il lavoro, le raccoglitrici arrivano a trasportare sulle spalle sacchi fino a 60 kg, lungo i ripidi pendii andini.
Sudo tantissimo e ho dolori, alle braccia e alle spalle. Mi fa male dappertutto. E quando c’è tanta strada da fare mi tremano i piedi sotto il peso. Mi manca il fiato e alla fine mi fa male perfino respirare.
Bella (“Colombia: le raccoglitrici di caffè trans”)
Il guadagno medio mensile si aggira attorno ai 250.000 pesos, circa 50 euro, un quarto del salario minimo legale.
Nonostante le difficili condizioni lavorative, le donne residenti in “Eden” (il nome della fattoria dove abitano le raccoglitrici del reportage di Butto), si sentono al sicuro. Sono fuggite da violenze fisiche, disprezzo e odio e, per la prima volta, hanno trovato un luogo in cui si sentono accettate per quello che sono, dove possono esprimersi liberamente. Per molte, la vita nelle piantagioni di caffè rappresenta una prima svolta importante per la propria vita, ma di certo non l’ultima. Sognano di poter riprendere a studiare, di esercitare un giorno un lavoro migliore e, soprattutto, di poter finalmente camminare a testa alta lungo le strade del proprio paese.
Dentro di me sono sempre stata solo una donna. Non voglio più essere derisa e sbeffeggiata. Sono una donna, e come tale voglio essere riconosciuta.
Bella (“Colombia: le raccoglitrici di caffè trans”)