Ogni media ha il suo pubblico, e ogni pubblico cerca uno specchio. Anche quello femminile.
In che figura si vedeva rappresentata in passato, e in quale oggi?
Le donne e la stampa, per secoli, non hanno avuto nessun rapporto. La lettura delle notizie di cronaca, politica ed economia era un’attività da uomini.
Solo tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, con il boom economico e la nascita del consumismo, il mercato ha cominciato a confrontarsi con un pubblico sempre più ampio e variegato, in cerca di un prodotto che lo facesse sentire rappresentato.
Da qui nasce il concetto di target, ossia un gruppo di persone, accomunate da specifiche caratteristiche, alle quali è destinato un dato prodotto o servizio.
E, tra i target, c’è anche quello delle donne.
Con il passare dei decenni, la figura femminile ha subito molte variazioni in ambito sociale e mediatico. Di conseguenza, la stampa si è adattata, di volta in volta, alla rappresentazione della donna del tempo. Dedicandole immagini, foto, titoli, e argomenti sempre diversi.
Le donne e la stampa: la casalinga di inizio secolo
Nella prima metà del ‘900, le donne coprivano principalmente il ruolo di mogli e madri.
La figura femminile che si trovava nelle riviste era quindi quella di una donna sposata o in procinto di farlo, e dedita alla vita semplice e tranquilla di una casalinga con marito e figli.
Perciò, quando nel 1946 leggeva “Confidenze“, una donna trovava principalmente racconti e novelle di vita domestica, ricette di cucina e cronaca rosa. Ma anche rubriche sulla casa, sull’oroscopo e sul taglio e cucito.
Per i consigli di moda, la rivista ideale era invece “Anna bella“, realizzata nel 1933 e dedicata a ogni età, fisico e altezza. C’era, ad esempio, la “ragazza florida“, che aveva necessità di vestiti più ampi e accollati rispetto alla “ragazza piccola“, che era invece meno formosa. Infine, per l’elegante “signora di mezza età/ di una certa età“, era consono indossare abiti con le maniche più lunghe rispetto a quelle dei vestiti da ragazza. In ogni caso, a tutte e tre era consigliata una moda semplice, economica, poco vistosa, e con una gonna che arrivasse a coprire il ginocchio.
La prima vera rivoluzione della stampa di quegli anni è la rivista “Grazia“, pubblicata da Mondadori a partire dal 1938.
Il target diventa più alto, e anche la moda più ricercata e particolare. Sulle copertine non ci sono più donne con lunghi abiti e capelli cotonati, o primi piani di sorridenti ragazze accollate. Ma foto di donne – sempre ben coperte – in posa sulla spiaggia, in giro per la città, con trucchi e accessori. Si comincia persino a parlare di amore con meno pudicizia, entrando nell’intimità di coppia e nella vita sessuale. Anche se, per non incappare nella censura, tali articoli venivano pubblicati in dispense chiuse.
Anni ’60-’80: “perché gli uomini hanno paura di noi?”
Con la modernizzazione dei tempi, le riviste femminili smettono di nascondere il tema del sesso nelle dispense, e cominciano persino a parlare di chirurgia plastica.
Il Corriere della Sera pubblica “Amica“ nel 1962, che rappresenta il passaggio da semplice e comune casalinga, a donna alla ricerca dell’indipendenza e del piacere. Con foto come quella di Claudia Cardinale che si rade il mento come un uomo, articoli intitolati: “Ma perché gli uomini hanno paura di noi?” e inchieste come: “Quanto vale il lavoro della casalinga?“, Amica divenne un simbolo del nuovo giornalismo dedicato alle donne.
Secondo Gianna Schelotto, collaboratrice della storica rivista, la rivista fu un passo fondamentale per il femminismo.
Ci voleva un’ Amica per sovvertire lo status quo e trasformare i femminili da manuali per benpensanti in fogli di ritrovata consapevolezza. E accompagnare il cammino femminile verso le nuove identità
Anche La Repubblica, con l’uscita del settimanale “D” nel 1996, rilancia il mercato del giornalismo al femminile.
La moda, il trucco e la cucina ci sono ancora, ma non più solamente sotto forma di consigli e rubriche, bensì come pubblicità. Questo perché, con il sempre maggior successo della stampa femminile, anche le aziende hanno deciso di puntare sul target delle donne.
Inoltre, le donne non sono più solamente casalinghe. Studiano, viaggiano, leggono e ascoltano le notizie. Non sono più interessate a leggere ricette e racconti di vita domestica, ma vogliono capire chi è Hillary Clinton. Com’è la moda delle controculture hippie, rock, punk. Vogliono parlare di scelte forti, come il congelamento degli ovuli, e sentire storie di cronaca di spessore.
Poi arriva “Vanity Fair“, che non solo vuole attrarre il target delle donne, ma vuole superare le barriere del genere e richiamare sia il pubblico femminile che maschile.
Perciò, pubblica interviste a personaggi famosi del mondo dello sport, dello spettacolo, e anche della politica. C’è serietà e divertimento, cultura e gossip.
In copertina c’è talvolta un attraente Matt Damon, talvolta una sensuale Uma Thurman. All’interno, un’intervista a Berlusconi che parla di politica, e una a Bob Sinclair che si mette “a nudo“. Un articolo sulle soldatesse in Afghanistan, e un’intervista a Madonna che dice che “non serve essere bella per essere amata“.
Le donne e la stampa: il nudo come libertà e come gabbia
Il modello Vanity Fair è capostipite del giornalismo femminile che arriverà negli anni successivi.
Il successo delle copertine sempre più irriverenti, infatti, fa comprendere al mercato che la figura della donna “mezza nuda“ o senza veli funziona. Sia con le femmine, che con i maschi.
Le donne, finalmente, si sentono slegate dalla pesante morale degli anni precedenti, che le voleva coperte e nascoste. Il sesso non è più un tabù, la moda non è più un’imposizione, e donne e uomini possono guardarsi liberi e svestiti sulle copertine dei giornali.
Ne è un esempio la rivista “Le ore” , che cerca di sfruttare al massimo questa novità. Le sue copertine sono piene di belle donne senza vestiti, sebbene completamente slegate dai temi trattati. Poteva capitare, per esempio, di trovare il titolo di un lungo reportage sulla guerra d’Algeria, in copertina di fianco a una donna con un vestitino rosso. Oppure, l’annuncio della denuncia alla procura di alcuni pericolosi assassini poteva essere scritto con un font che coprisse i capezzoli di una bionda nuda.
Fino ad arrivare a “Playman“, la prima vera rivista erotica italiana. Ma è qui, secondo l’esperta Giovanna Maina, che la rappresentazione della donna nuda ha cominciato a diventare problematica.
L’emersione del corpo e della sessualità femminile sulle riviste e sui fumetti sexy di quegli anni sembra un po’ una promessa tradita. Da una parte, per la prima volta, il corpo delle donne acquistava assoluta centralità e si toccavano esplicitamente determinati temi scottanti per l’epoca (come l’orgasmo o l’omosessualità femminile) all’interno di prodotti popolari di largo consumo. Dall’altra, spesso, venivano messi in atto dei processi di “neutralizzazione” del potenziale rivoluzionario di determinati discorsi.
Questi discorsi venivano spesso inquadrati in una specie di schema “patologizzante” non percepibile a una lettura distratta. In altre parole, il desiderio e il piacere femminile erano proposti ai lettori in termini di “eccesso” ed esagerazione… In questo modo, quindi, la libertà sessuale delle donne veniva sostanzialmente limitata a precise categorie (nemmeno troppo) velatamente connotate in senso negativo: le lesbiche, le ninfomani, le amanti pedofile, le madri incestuose, le frigide “guarite”, le ragazze molto giovani e magari straniere, e così via. Insomma, le donne erano legittimate come esseri “sessuali” … ma solo all’interno di spazi ben delimitati e, in fin dei conti, separati da una supposta idea di “normalità”
Il giornalismo e le donne nel 2024
Oggi, sono per lo più i media digitali a fornirci una rappresentazione della realtà.
Riviste come Grazia, Vanity Fair e titoli più recenti continuano a essere vendute, trattando svariati temi e pubblicando foto di modelle e modelli con indosso ogni tipo di capo d’abbigliamento.
Ma pregiudizi e discriminazioni continuano, ancora oggi, a circondare la rappresentazione della donna.
Secondo una recente indagine dal titolo “L’immagine della Donna tra vecchi e nuovi media” – svolta da Ipsos in collaborazione con Consumers’ Forum – l’87% degli italiani ritiene che i media abbiano il potere di creare narrazioni e alimentare (o abbattere) stereotipi.
Ma il 58% ritiene che i media trattino le tematiche di genere in modo inadeguato. Per esempio, il 37% del campione ritiene che, troppo spesso, il linguaggio utilizzato dai media sia sessista e discriminatorio. Difatti, secondo i dati di un’altra ricerca, le donne sono visibili soprattutto come vittime o vox populi, mentre faticano a raggiungere il 20% come esperte o spokeperson – di associazioni, enti, istituzioni, partiti – nonostante in molti Paesi del mondo, tra cui l’Italia, siano entrate a pieno titolo nella vita pubblica e nel mondo del lavoro.
Alla luce di questi numeri, la conclusione del Presidente di Consumers’ Forum, Sergio Veroli, è che serve un cambiamento.
La crescita culturale e civile di una società passa anche attraverso il modo in cui è rappresentata l’immagine femminile nei media.
I cittadini chiedono al mondo della comunicazione di contribuire in modo più esplicito ad abbattere gli stereotipi e i pregiudizi che assegnano alla donna un ruolo ancora troppo marginale e subalterno all’uomo. Chiedono una forte accelerazione culturale, che produca valori nuovi e comportamenti diversi