La guerra di Putin non risparmia nessuno. Infatti, al rapporto dell’OCSE che documenta le deportazioni russe di minori ucraini, si aggiunge un’indagine effettuata dal quotidiano inglese The Telegraph dove vengono raccolte le testimonianze di persone anziane ucraine, affette da disabilità, che sono state vittime di deportazioni russe dopo l’inizio della guerra.
Le testimonianze presenti nell’inchiesta di The Telegraph, rese pubbliche il 20 luglio scorso, riferiscono una situazione al limite del ragionevole.
Persone private della loro cittadinanza, obbligate a donazioni di sangue e sottoposte a procedure mediche errate e lasciate in agonia. I parenti dei deportati hanno impiagato mesi prima di rintracciare i loro cari, per riuscire a salvarli da questa situazione e a riportarli finalmente a casa.
L’inchiesta di The Telegraph documenta le deportazioni di anziani ucraini affetti da disabilità
L’accusa mossa verso il Presidente russo di essere responsabile di crimini di guerra per la deportazione illegale e il maltrattamento di minori ucraini, ha portato alla luce azioni che sono state intraprese sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, come riportato dal rapporto OCSE.
Fino ad oggi, però, non era stato preso in considerazione il sistema che coinvolge adulti vulnerabili e disabili di origine ucraina. Anche questi ultimi risultano essere inseriti in un’organizzazione di deportazioni simile a quella dei minori ucraini.
Queste persone sono state introdotte nel sistema di assistenza russo dopo che l’esercito di Mosca è entrato nelle loro città, occupandole, nei primi mesi di guerra.
The Telegraph ha raccolto le testimonianze dei diretti interessati insieme a quelle dei familiari, i quali sono stati costretti a trovare un modo per metterli in salvo dal territorio nemico.
I metodi barbarici usati nelle deportazioni degli anziani ucraini nel territorio russo
“Non c’era quasi nulla di umano in loro”
Sono esattamente queste le parole utilizzate da un testimone per definire coloro che sono stati incaricati di prendersi cura delle persone deportate.
Chi è riuscito a ritornare in Ucraina , grazie all’aiuto dei familiari, ha affermato di essere stato trattato con disprezzo e maltrattato continuamente.
Come riferito, il personale sanitario offendeva e umiliava i soggetti senza distinzione. Ad ogni deportato sono stati tolti i documenti e di conseguenza anche la cittadinanza, rendendo ancor più difficile il processo di tracciamento.
Le testimonianze riportate nell’inchiesta di The Telegraph
Uno dei casi riportati è quello di una donna settantacinquenne, che ha raccontato di essere stata rapita dalla sua abitazione da “Cinque uomini armati con bracciali bianchi”. Poi, è stata caricata in un’auto senza darle nessun tipo di spiegazione in merito alla destinazione.
In seguito alla sua costante resistenza, è stata messa di fronte ad una scelta. L’acquisizione della cittadinanza russa e il suo “volontario” trasloco in una struttura apposita o, in alternativa, la reclusione in un ospedale psichiatrico. Alla fine, fortunatamente la donna è riuscita a tornare in Ucraina.
Un’altra testimonianza molto incisiva è quella di Oleg Andreev. Uomo di 65 anni, paralizzato, che è stato portato via dal suo villaggio dell’Ucraina orientale mentre si trovava accanto al cadavere della madre uccisa dai bombardamenti.
È stato introdotto in una struttura a Makiivka, dove non gli è stato concesso nemmeno il diritto di poter avvisare i suoi familiari. Successivamente è stato derubato dei documenti e della sua sedia a rotelle, data a un soldato russo ferito.
Andreev racconta che nella struttura veniva insultato dal personale sanitario, costretto a rasarsi contro la sua volontà e privato del 70% della sua pensione.
Le cure alle quali è stato sottoposto erano a dir poco barbariche. Operato alle dita, gravemente congelate, solamente quando il dolore era diventato insopportabile. Le procedure sbagliate di tale operazione lo hanno lasciato con le ossa scoperte e, nonostante ciò, non gli è stato somministrato nessun antidolorifico. L’unico trattamento che gli è stato concesso è stato un farmaco dell’era sovietica, ormai in disuso per l’inefficacia e per i suoi effetti collaterali.
Fortunatamente, il signor Andreev è riuscito a tornare dai suoi famigliari grazie all’enorme impegno della figlia, aiutata dall’associazione di beneficenza Helping to Leave.
L’impegno di Helping to Leave contro le deportazoni russe
Helping to Leave è associazione che si occupa di fornire aiuto alle famiglie i cui parenti sono in difficoltà. Bloccati, senza soldi, documenti o cure adeguate nelle zone dell’Ucraina controllate dai russi.
L’allarme è scattato la scorsa estate, quando arrivò una richiesta di aiuto da parte di una donna anziana di Hrakove, nella regione di Kharkiv, allora già occupata dai russi. Chiedeva aiuto perché non le erano state concesse le cure necessarie per curare un caso di cancrena. La signora, purtroppo, morì dopo che i soldati russi hanno negato ad un autista dell’associazione la possibilità di trasportarla in ospedale.
Ma fu proprio da quel momento che Helping to Leave ha iniziato a scoprire tanti altri casi di anziani e disabili ai quali vengono negate le cure, vengono privati dei documenti e deportati.
Nonostante i grandi sforzi indispensabili, molti anziani sono riusciti a tornare e ad abbracciare le proprie famiglie, anche se un’esperienza del genere segna per sempre l’esistenza di ognuno di loro. Toccanti sono le parole che Andreev ha rivolto a The Telegraph ripercorrendo la sua esperienza:
“Mi sono sempre chiesto perché mia nonna, ogni volta che festeggiavamo, faceva un brindisi: ‘Che non ci sia la guerra’. Ora lo so”.