Nonostante la femminilità tossica sia un fenomeno meno discusso rispetto alla sua controparte maschile, si rivela essere altrettanto rilevante per comprendere le dinamiche sociali e di genere. La femminilità tossica consiste nell’insieme di norme e aspettative sociali che impongono alle donne di conformarsi a determinati standard di comportamento e apparenza tradizionalmente considerati femminili. Queste aspettative non solo limitano l’autenticità e la libertà di espressione delle donne, ma possono anche creare una cultura di giudizio e competizione tra donne stesse.
Come si manifesta la femminilità tossica?
La femminilità tossica si manifesta principalmente attraverso due modi: le pressioni esterne della società e le pressioni interne, ovvero quelle che le donne esercitano l’una sull’altra. Nella nostra cultura, la femminilità è spesso associata a tratti come la dolcezza, la passività, la bellezza fisica e l’attenzione agli altri.
Dal punto di vista della bellezza fisica, per essere considerate femminili dalla società, si pone molta enfasi su un aspetto fisico minuto e composto. Queste caratteristiche, benché non siano intrinsecamente negative, diventano problematiche quando vengono imposte come standard assoluti che tutte le donne devono seguire per essere accettate.
Per rendersi conto delle problematiche causate dalla femminilità tossica basta pensare al caso di Imane Khelif, la pugile che ha sfidato e continua a sfidare gli stereotipi relativi alla femminilità. La sua storia dimostra come la femminilità tossica possa agire non solo come una prigione sociale, ma anche come una gabbia che tenta di limitare i sogni e le ambizioni di chi non rispecchia gli standard femminili imposti dalla società.
Imane Khelif non incarna l’immagine della donna minuta e composta che la società spesso idealizza, in quanto il suo fisico, muscoloso e possente, è stato spesso giudicato come “non femminile” da coloro che vedono nella delicatezza l’unico canone accettabile per una donna.
L’esperienza di Imane Khelif ci ricorda che la femminilità tossica non è solo una costruzione esterna, ma qualcosa che può essere interiorizzata anche dalle stesse donne. Sono spesso le donne, infatti, a perpetuare questi stereotipi, a giudicare severamente chi non si conforma, a criticare chi si discosta dalla norma. La storia di Imane Khelif ci insegna che non esiste un unico modo di essere donna, che la forza, sia essa fisica o mentale, è una qualità che non ha genere. Ci insegna che la femminilità può e deve essere ridefinita da chi la vive, e non imposta da chi guarda dall’esterno.
La femminilità performativa
Le aspettative di conformità agli standard imposti dalla società possono portare le donne a sentirsi obbligate a recitare un ruolo. Questo concetto, noto come “femminilità performativa”, descrive la sensazione di dover mettere in scena un comportamento “appropriato” per essere viste come “vere donne”. La femminilità performativa può includere, per esempio, la pressione a vestirsi in modo “femminile”, a parlare con un tono di voce dolce, o a dedicarsi principalmente alla cura degli altri, trascurando i propri bisogni e ambizioni.
Ritornando al caso di Imane Khelif, è possibile assistere a come ci si aspetti che la femminilità performativa venga messa in atto da tutte le donne. Su La Gazzetta dello Sport si legge:
“Alla proclamazione del verdetto, Khelif ha fatto il saluto militare e poi ha esultato come se stesse sparando con le pistole, tutte cose che non la aiutano nella rivendicazione della sua femminilità.”
Dando per assodato che Khelif non abbia bisogno di rivendicare la sua femminilità, in quanto già le appartiene nella forma che lei più preferisce; criticare Khelif per aver esultato in un modo considerato “maschile” è un chiaro esempio delle conseguenze della femminilità tossica. Tale critica equivale a ridurre la femminilità a un insieme rigido di gesti e comportamenti predefiniti. Questo approccio ignora il fatto che le donne, come gli uomini, sono esseri complessi e sfaccettati, capaci di esprimere forza, gioia e determinazione in mille modi diversi.
Limitare la femminilità a comportamenti dolci, docili o composti non solo soffoca l’espressione individuale, ma perpetua anche un’immagine ristretta e antiquata della donna. Cosa avrebbe dovuto fare Imane Khelif durante la proclamazione per risultare più femminile agli occhi della società? Avrebbe dovuto sorridere timidamente, magari chinare il capo con modestia, o forse aggiustarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio in segno di grazia?
Abbattere la femminilità tossica attraverso l’educazione alla diversità
Per contrastare la femminilità tossica, è essenziale promuovere una cultura che celebri la diversità dei comportamenti e delle identità femminili. Le donne devono essere incoraggiate a esplorare e abbracciare la loro autentica identità, indipendentemente dalle aspettative di genere. Questo significa riconoscere che non esiste un unico modo “giusto” di essere donna, e che ogni individuo dovrebbe avere la libertà di scegliere il proprio percorso senza paura di essere giudicato.
L’educazione al rispetto e all’inclusività è fondamentale per creare un ambiente in cui le donne possano sentirsi libere di essere se stesse. Questo include l’incoraggiamento al dialogo aperto sulle sfide della femminilità tossica e la promozione di modelli di comportamento positivi che rispettino la pluralità delle esperienze femminili.