Viviamo in un mondo crudele, quello del lavoro lo è ancora di più, tanto da renderci schiavi senza neanche sapere di esserlo. Per fare un esempio basta semplicemente capire di cosa stiamo parlando quando utilizziamo la parola voucher.
Una volta, non molto tempo fa, c’erano i co.co.co che regolarizzavano l’attività lavorativa dei collaboratori coordinati e continuativi, o più comunemente chiamati lavoratori parasubordinati, che rappresentavano una categoria intermedia fra il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente. Lavoratori con pochissimi diritti, malattia, permessi e ferie non pagate e tanto altro ancora, possiamo parlare di co.co.co e co.co.pro come dei precari non tutelati costretti ad andare avanti perché senza alternative.
Oggi le cose sono cambiate, per fortuna dirai, ma ne sei sicuro?
Purtroppo, non tutti i cambiamenti portano novità positive, anzi, non tutti i cambiamenti consentono un cambiamento, i voucher ne sono un esempio.
Fino a qualche anno fa c’era il cameriere, l’idraulico, il barista, il cuoco e tante altre figure professionali, oggi invece, c’è semplicemente il voucherista.
Ma di cosa parliamo quando nominiamo il voucher? Riporto la descrizione presente sul sito Inps:
“È una particolare modalità di prestazione lavorativa la cui finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative, definite appunto ‘accessorie’, che non sono riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e tutelare situazioni non regolamentate.
Il pagamento avviene attraverso ‘buoni lavoro’ (voucher).
Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione”.
In altre parole il tuo “datore di lavoro” ti molla un biglietto che ha un valore complessivo di 10 €, di questi, 7,50 € li metti in tasca, 1,30 € interessano i contributi pensionistici (si, per lo Stato la pensione è una cosa che esiste ancora), 0,70 € vanno all’Inail per l’assicurazione antinfortunistica e 0,50 € volano via perché la gestione di un servizio del genere comporta dei costi.
Parliamoci chiaramente, un sistema nato come una sorta di “giochino” utile, e forse anche sensato, per impieghi saltuari come le ripetizioni del doposcuola, si è esteso a tutti i settori lavorativi creando una nuova classe sociale senza alcun diritto, senza il diritto a riposi o ferie pagate, senza il diritto a ottenere un mutuo per la casa (sogna ragazzo, sogna…), quello di diventare padre o madre, ma anche il semplice diritto ad ammalarsi e curarsi.
Lavori a voucher? Allora hai perso il tuo ruolo sociale, non sei altro che un numero collegato a un codice fiscale che l’Inps dichiara di veder crescere anno dopo anno. Il lavoro smette di essere elemento di costruzione della propria identità sociale, gradualmente smetterai di sapere chi sei e tutto questo a causa di un’attività governativa che spinge i datori di lavoro verso direzioni prestabilite.
La questione riguardante il lavoro occasionale (voucher) non è solo politica o economica, ma è anche culturale e psicologica, e rischia di generare un circolo virtuoso: verrai retribuito con voucher e pagherai il tuo terapeuta con lo stesso sistema, sempre che tu possa permettertelo.