Usare i migranti, respinti dalla polizia greca, per fare il lavoro sporco: nuove frontiere di disumanità.
Lavoro sporco e migranti. Leggendo il report “Their faces were covered”, pubblicato il 7 Aprile 2022 dall’Ong Human Rights Watch, verrebbe da confermare il fatto che al peggio non ci sia mai fine.
Del resto, quando si parla di migranti, di rifugiati, di categorie già di per sé in gravi difficoltà, le storie che ci troviamo a leggere oltrepassano i più terribili incubi che un essere, definito umano, potrebbe avere.
A segnalare quanto emerge da questa inchiesta c’è anche Duccio Facchini, giornalista e direttore di Altraeconomia, mensile nato nel 1999 da un gruppo di realtà dell’economia solidale e della cooperazione internazionale.
Le autorità greche picchiano, derubano e denudano i richiedenti asilo afghani e di altre nazionalità, inclusi i bambini, appena prima di respingerli illegalmente verso la Turchia. Nella fase finale dei pushback usano come ausiliari altri migranti coperti da passamontagna, cui sarebbe stata promessa in cambio una sorta di lasciapassare.
L’inchiesta
Il report in questione è frutto di un lungo e capillare lavoro di ricerca.
Questo getta le basi su un’ampia documentazione raccolta dai membri di Human Rights Watch circa i respingimenti della polizia greca verso la Turchia, nei confronti di migranti e di richiedenti asilo, a partire dal 2008.
Allontanamenti forzati che violano molteplici diritti umani (divieto di espulsione collettiva, diritto ad un giusto processo, principio di non refoulement della Convenzione sui rifugiati del 1951) e che il governo greco ha negato e nega regolarmente, etichettando il tutto come semplici notizie false e promettendo denunce per chi cerca di segnalarli.
Nel caso specifico, l’inchiesta della Ong fonda la sua delicata indagine su un totale di 26 interviste telefoniche a persone di nazionalità afghana (23 uomini, due donne e un ragazzo); queste sono state vittime, assieme ad altri gruppi di persone, di violenti respingimenti dalla Grecia alla Turchia, ad opera della polizia greca, tra il Settembre 2021 e il Febbraio 2022.
Come anticipavamo nella nostra introduzione, al peggio non c’è mai fine ed il report è andato a scoperchiare un inquietante vaso di Pandora.
L’escalation della violenza
Le prime interviste rivolte agli uomini descrivono episodi di obbligo a denudarsi, calci, pugni, abusi di ogni tipo da parte della polizia greca, in differenti momenti. Durante la permanenza sul territorio greco, nei brevi momenti di detenzione e nel corso del rientro forzato verso la Turchia; quella Turchia, tra l’altro, non considerata luogo sicuro secondo alcuni criteri della Comunità Europea.
Maltrattamenti dall’inizio alla fine.
Le donne, invece, raccontano non tanto di violenze fisiche, quanto di furti di quei pochi oggetti personali, come i telefonini, in loro possesso.
Così descrive a Human Rights Watch Naji, un 37enne afghano fuggito dal proprio Paese dopo la presa del potere dei talebani nell’Agosto del 2021:
Eravamo 25 persone quando siamo stati arrestati vicino alla ferrovia. La polizia greca ci ha picchiato proprio in quel punto. Se alzavamo lo sguardo, ci picchiavano con maggiore violenza. Il loro comportamento era del tutto inumano.
Dalle violenze fisiche alle vessazioni nel corso dei periodi di reclusione, come a volere privare della dignità persone già in gravissime difficoltà, a volerle umiliare.
Luoghi angusti, non sufficienti neanche a stendersi, freddo e mancanza di coperte, cibo e acqua.
Ovviamente tante, tante percosse.
Condizioni disumane che non tenevano minimamente in considerazione le norme di tutela contro il Covid-19 e soprattutto l’età della persona che la polizia aveva davanti.
Ci hanno detto di toglierci tutti i nostri vestiti. Ero in forte imbarazzo perché mio fratello è molto giovane e non lo ho mai visto senza vestiti, ma lì dovevamo toglierci ogni cosa, anche le mutande. Dovevamo mettere le mani sulla parete e rimanere in piedi, nudi […]. C’erano circa 150-160 persone nella stanza.
A parlare è Hamin, di 18 anni.
Ma purtroppo, la crudeltà, la perfidia di alcune menti non conosce confini.
Il lavoro sporco
Come se quanto descritto fino a questo momento non fosse sufficiente a richiedere ed ottenere un intervento del governo greco o, se questo assente, della Comunità Europea, così attenta e umana in merito all’accoglienza di determinate realtà, il report “The faces were covered” denuncia, all’interno della stessa vicenda, un ulteriore fatto gravissimo.
La polizia greca userebbe, infatti, alcuni migranti provenienti dal Medio-Oriente e dall’Asia Meridionale come ausiliari, loro aiutanti per perpetrare i respingimenti.
Questi ultimi, vestiti con uniformi paramilitari e dotati di passamontagna, piloterebbero piccole imbarcazioni fino al centro del fiume Evros, che segna il confine fra la Grecia e la Turchia.
La ricompensa, quella di ottenere, dopo un più o meno lungo periodo di lavoro sporco, dei documenti.
Zayan, afghano, racconta:
Il conducente della barca mi ha detto che sarebbe stato lì a fare quel lavoro per tre mesi e dopo gli avrebbero dato un documento di tre pagine. Con questo documento avrebbe potuto muoversi liberamente in Grecia e poi avere un biglietto per un altro Paese.
Fatti indicibili, verso i quali dovrebbe provarsi vergogna per il genere umano al solo leggerli, figuriamoci a compierli.
Episodi che fanno leva sulla disperazione delle persone, di quegli uomini che cercano per sé e per le proprie famiglie non una vita agiata, ma migliore e più sicura.
Realtà che spesso fingiamo di non vedere, ma che qualcuno, governi, istituzioni, Comunità, appositamente ignorano, preferendo anzi complimentarsi con le autorità locali, in questo caso greche, per l’ottimo lavoro assistenziale svolto.