Il lavoro precario in Italia
Avere un’occupazione stabile ha ricadute importanti non solo per il breve periodo (sopravvivere),ma anche sul lungo periodo. Fornisce la possibilità di rendersi indipendenti, di formare una nuova famiglia, di scegliere di avere un figlio. Cosa che non può avvenire con un lavoro precario
In Italia, negli anni, c’è stato un aumento dei lavoratori, e soprattutto delle lavoratrici, impiegati con contratti non standard. Lavoratori privi di garanzie di continuità e con un accesso limitato alle misure di protezione della maternità e di sostegno alla conciliazione famiglia-lavoro. Il numero cresce con il passare delle generazioni e il dispiegarsi degli effetti della deregolamentazione del mercato del lavoro.
Queste forme contrattuali atipiche si concentrano maggiormente tra i giovani che si trovano nelle fasi iniziali della loro carriera occupazionale. Ma non solo, anche nel momento centrale della costruzione del proprio percorso biografico.
Inoltre è importante considerare il lavoro a tempo parziale(part-time) come una determinante fondamentale non soltanto per la crescita dei tassi di partecipazione femminili, ma anche per l’aumento della natalità. Purtroppo, però, non sempre è accessibile e addirittura, in alcuni casi, può essere una condizione subita invece che una scelta.
La discontinuità e la frammentazione dei percorsi lavorativi, approssimata dal numero di esperienze di lavoro vissute fino al momento dell’evento, ha reso le carriere sempre più tortuose, incerte e discontinue.
Le donne e il lavoro precario
L’instabilità lavorativa è più diffusa tra le donne, in tutte le generazioni e in tutte le fasi della vita rispetto ai loro coetanei maschi. Con il susseguirsi degli eventi familiari, e dunque con l’avanzare della carriera, la quota di persone con un lavoro instabile tende a ridursi specialmente nelle ultime generazioni, e in maniera più marcata per le giovani madri.
Questo può significare due cose. La prima è che c’è una quota di persone che ha aspettato di raggiungere una stabilità lavorativa per mettere al mondo un figlio. Oppure significa che c’è una quota di lavoratrici precarie che è uscita dal mercato del lavoro prima della maternità. Perché impossibilitata a continuare il lavoro e al contempo di occuparsi del nascituro.
Studiare aiuta a liberarsi del lavoro instabile?
Sì, il titolo di studio offre una protezione dal lavoro precario. Tra i laureati si riduce, più per gli uomini che per le donne, la quota di lavoratori instabili alla nascita dei figli, mentre tra gli occupati con bassi titoli di studio la quota di lavoratori instabili non si modifica di molto durante le varie fasi del ciclo di vita.
Il titolo di studio ha un effetto diverso per uomini e donne. La laurea per gli uomini ha un effetto protettivo rispetto alla frammentarietà dei percorsi, anche se questo effetto si riduce passando dalle generazioni più anziane a quelle più giovani. Qualsiasi sia il momento del ciclo di vita che scegliamo come punto di osservazione, gli uomini con alti titoli di studio che hanno vissuto tre o più episodi lavorativi sono di meno sia rispetto ai diplomati, sia rispetto a quelli con titoli bassi.
Le donne laureate dell’ultima generazione hanno invece percorsi generalmente più frammentati di quelle con titoli bassi: all’unione il 10,8 per cento delle laureate ha avuto più di tre episodi contro il 15,2 per cento delle donne con titoli bassi. Con la nascita del primo figlio le differenze si accentuano per le giovani donne arrivando a quote pari al 20,8 per cento delle laureate e al 16,2 per cento per coloro che hanno bassi titoli di studio. Per queste ultime conta probabilmente un effetto selezione per cui, le donne con livelli di istruzione bassi tendono più spesso a non lavorare mai o a restare nel mercato del lavoro solo a determinate condizioni di stabilità.
L’istruzione ha un importante effetto protettivo sia nel facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro sia nel garantire una maggiore continuità di carriera, tale per cui le donne con titoli di studio più alti rimangono più spesso a lavoro anche dopo il matrimonio o la nascita dei figli.
Il lavoro part-time
Col passare degli anni sempre più donne, ma anche uomini, svolgono un lavoro ad orario ridotto. In alcuni casi può essere un bene, ma altre volte la scelta non dipende dal lavoratore, ma dal datore che impone questa tipologia di contratto.
Nelle generazioni di donne nate fino al 1955 il ricorso al part-time al momento dell’unione riguardava circa il 6,0 per cento delle occupate. Poi cresce ininterrottamente nelle generazioni successive passando al 10,6 per cento nella generazione 1956-1965, al 17,9 per cento nella successiva. Fino ad arrivare al 22,9 per cento nella generazione del millennio, 1976-1985.
Per le donne il ricorso al part-time aumenta con la nascita del primo e, ancor di più, del secondo figlio. In particolare nelle ultime due generazioni in cui si registra un aumento di 4 punti percentuali tra unione e primo figlio e di altri 8,3 e 12,9 tra primo e secondo figlio. Arrivando così a quote rispettivamente di 30,5 e 40,4 per cento di donne in part-time al momento della nascita del secondo figlio.
Livelli così elevati sono giustificati dalla necessità per le donne di dedicare parte del loro tempo alla cura dei figli. Tuttavia, solo una donna su quattro ha dichiarato di aver scelto volontariamente questo regime orario.
Cosa ci aspetta?
L’instabilità lavorativa è più diffusa tra le donne, in tutte le generazioni e in tutte le fasi della vita rispetto ai loro coetanei uomini. Nonostante la strada sia ancora lunga, il divario sta però diminuendo. Nelle generazioni più recenti maschi e femmine hanno comportamenti(lavorativi) più simili.
Al di là di questo, resta il fatto che il lavoro precario, la crescente fragilità economica e il senso di insicurezza verso il futuro rendono sempre più difficile per le nuove generazioni riuscire a costruirsi una carriera. Di conseguenza aumenta l’impossibilità di rendersi autonomi, mettere su famiglia o decidere di mettere al mondo un figlio. Con l’aggiunta della tragica situazione pensionistica e delle incertezze legate alla situazione geopolitica attuale i giovani non avranno vita facile negli anni a venire.
Tutti i dati e i grafici sono forniti dall’ISTAT, attraverso questa pubblicazione.