Lavoro: il divario salariale tra giovani e senior cresce al 40%

Il divario salariale tra giovani e lavoratori over 50 è in costante aumento, il gap tra domanda e offerta impoverisce i giovani italiani.

Il divario salariale tra under 35 e lavoratori over 50 è in costante aumento, il gap tra domanda e offerta impoverisce i giovani italiani.

I lavoratori under 35 guadagnano sempre meno. Il divario generazionale tra gli stipendi è in costante aumento, frenando le aspirazioni personali della fascia più giovane della popolazione. L’Italia è tra i paesi che presentano il gap più alto. Tra le cause l’aumento dell’età pensionabile, la ridotta produttività e una cultura aziendale che predilige l’esperienza.

Il divario salariale tra under 35 e over 50 è raddoppiato, se nel 1985, quasi 40 anni fa, un giovane guadagnava il 19% in meno di un collega senior, oggi lo stesso lavoratore guadagnerebbe il 40% in meno. Questi dati allarmanti emergono dal recente studio “Paesi per vecchi, analisi del divario salariale per età” realizzato da Matteo Paradisi (Einaudi Institute for Economics and Finance) e Nicola Bianchi (Northwestern Kellogg School of Management) in allegato al XXI rapporto INPS.

Secondo questa analisi i giovani perderebbero posizioni relative al livello retributivo, perché non più in grado di fare carriera all’interno delle aziende per cui lavorano come in passato. Fattore che si sommerebbe a delle dinamiche tra aziende che non riescono più a crescere e all’aumento dell’età pensionabile.

L’Occidente non è un posto per giovani

Nel nostro Paese i lavoratori più anziani creano “ingorgo” bloccando le possibilità degli under 35, rilegati a posizioni di base per un periodo molto lungo. L’invecchiamento della popolazione insieme alla riforma delle pensioni sono complici della situazione, in quanto creano un mondo lavorativo da cui non si esce prima dei 66-67 anni.

Se invecchia la popolazione invecchiano anche i lavoratori: come riporta lo studio sopra citato, l’età media degli occupati si è alzata dai 35,8 anni del 1985 ai 42,7 del 2019. Una tendenza che ha del tragico se si considera che in Italia ogni 100 pensioni INPS ci sono 111 lavoratori attivi, 103 se si escludono i professionisti che versano i loro contributi alle Casse private.

La bassa natalità, la crescita della speranza di vita e l’età pensionabile più alta d’Europa sono i principali motivi di questa tendenza. Elementi che, secondo lo studio, hanno spinto i lavoratori più anziani a restare a lungo negli uffici, occupando i posti più prestigiosi e guadagnando di più. Dal 1985 ad oggi la possibilità che gli under 35 si trovino nel range della distribuzione dei salari più alti è diminuita del 34%, mentre la stessa probabilità è aumentata del 16% per gli over 50. Inoltre, la probabilità che gli stessi giovani rivestano posizioni manageriali è calata di due terzi ed è cresciuta dell’87% per i lavoratori più anziani.

Il divario salariale sembra essere una tendenza comune nella parte occidentale del globo e viene peraltro condiviso, seppur con andamento ridotto, con altri Paesi: il gap è cresciuto del 10% a favore degli over 50 negli Stati Uniti, dell’11% negli UK (1997-2019) e del 17% in Danimarca (1997-2019). A questa lista non si sottrae neppure la Germania che regista un “pay gap” simile, all’incirca del 19%.

Divario salariale e contratti brevi sono ormai la regola

Ai giovani quindi non rimane che rivestire posizioni poco rilevanti e continuare a cambiare con frequenza occupazione per cercare migliori possibilità di carriera. Mobilità che rende il mercato del lavoro italiano altamente dinamico. Il sesto rapporto di Censis-Eudaimon sul welfare aziendale mostra che l’anno scorso 8500 italiani al giorno hanno lasciato il proprio lavoro. A spiegare questo fenomeno non è una “vivace” situazione occupazionale, ma la precarietà del lavoro.

I contratti “regolari” sono un grande problema all’italiana è risaputo, ma se andiamo ad evidenziare la reale situazione contrattuale nel nostro Paese i dati sono scioccanti. Un lavoratore su quattro ha firmato un contratto non standard, a tempo determinato, part-time, dalle 18 alle 30 ore settimanali, o ancora di collaborazione (prestazione occasionale).  Come sempre a soffrire maggiormente di questi risvolti lavorativi sono le donne. Quasi la metà delle giovani lavoratrici ha un contratto non standard e almeno il 30% di loro ha dovuto accettare forzatamente un part-time, tutto ciò escludendo l’ulteriore divario salariale tra i due sessi. Così la precarietà diviene anche una questione di genere e generazioni, colpendo principalmente gli under 35, tra cui il 40% lavora con un contratto non standard.

La cultura aziendale dell’esperienza

A completare il quadro di riferimento interviene la cultura aziendale dell’esperienza che predilige chi ne ha accumulata tanta durante il suo percorso in azienda: i lavoratori “anziani”. Fattore a discapito dei più giovani che data la loro età non sono in grado di presentare la stessa esperienza pratica dei colleghi, seppure siano in media più istruiti e preparati. L’indipendenza e la pianificazione del futuro a lungo termine diventano così obiettivi quasi impossibili da raggiungere per i giovani d’oggi.

Allo stesso tempo, questa tendenza si manifesta sul mercato del lavoro e sulla società nel suo complesso, richiedendo per cui l’intervento di tutti gli attori coinvolti. Il tasso di occupazione della fascia under 35 è in continua discesa con un calo di 7,6 punti tra il 2021-2023 che diventa del 14,8 se si allarga la considerazione alla fascia 35-49 anni, mentre il fenomeno dell’occupazione degli “anziani” è in aumento: del 40,8 per cento per i lavoratori over 50, con un picco del 70 per cento per gli over 65.

Quali sono le possibili azioni a sostegno dei giovani lavoratori per ridurre il divario salariale?

È quindi vitale che politica e mondo delle imprese considerino questo problema e implementino misure volte a ridurne gli effetti. Le opzioni sono molteplici dall’introduzione di politiche di formazione e sviluppo delle competenze per gli under 35, fino all’implementazione di politiche di lavoro che favoriscano l’ambiente flessibile odierno e quindi la rotazione delle posizioni apicali.

Senza azioni a sostegno dei lavoratori più giovani la tendenza all’accettazione di orari logoranti e posizioni che non rispecchiano la preparazione del dipendente potranno solo aumentare causando delle ingiustizie sul lavoro come stipendi troppo bassi ed eccessivi straordinari, giustificati da una prospettiva di crescita spesso inesistente. Negare la possibilità alle aziende di accrescere il loro potere contrattuale fino agli estremi dello sfruttamento deve essere un obiettivo e un obbligo dell’Italia e dell’Occidente.

Il divario generazionale sarà ridotto solo attraverso l’adozione di politiche e azioni mirate alla creazione di un ambiente lavorativo più equo.

Francesca Calzà

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