Lavoro di cura, riproduzione e rivoluzione nel 2024

lavoro domestico

Oggi è il 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Cerchiamo di parlare di una forma di violenza e dominio un po’ diversa dal solito: il lavoro riproduttivo e di cura. Perché la rivoluzione non passa solo attraverso l’eliminazione della violenza fisica, ma soprattutto nella distruzione di istituzioni e lo smantellamento di un sistema costruito e fondato sull’oppressione delle donne.

Silvia Federici, sociologa, filosofa e attivista italiana naturalizzata statunitense, legata al marxismo femminista e operaista, ne Il punto zero della rivoluzione introduce il tema del lavoro riproduttivo, domestico e di cura come forma di violenza.

Nel corso del tempo il movimento femminista si è evoluto verso la strada dell’intersezionalità, che implica una condivisione di tutte le lotte per raggiungere una vittoria comune. Vittoria ottenibile solo con l’abolizione di un sistema fondato sull’oppressione del genere femminile.

“[…] La supremazia maschile è la più antica, la più basilare forma di dominio. Tutte le altre forme di sfruttamento e di oppressione (razzismo, capitalismo, imperialismo, ecc.) sono estensioni della supremazia maschile; gli uomini dominano le donne, pochi uomini dominano il resto. Tutte le strutture di potere sono state a dominanza maschile e a orientamento maschile. […] Tutti gli uomini ricevono vantaggi economici, sessuali e psicologici dalla supremazia maschile. Tutti gli uomini hanno oppresso”.

Manifesto di Rivolta Femminile, 1970

L’incompiuta rivoluzione femminista

Tutti gli uomini hanno oppresso e tutti gli uomini opprimono: piuttosto semplice da visualizzare se consideriamo che sono ancora le donne che compiono la gran parte del lavoro di riproduzione e di cura, pur lavorando anche fuori casa.

Finisce che il carico di lavoro generale rappresenta quello di due o tre lavori in totale ed è per questo che si parla di una incompiuta rivoluzione femminista. In Italia, secondo i dati ISTAT 2022, lavora solo il 55% delle donne tra i 20 e i 64 anni, poco più della metà; quelle che lavorano, tendenzialmente devono portare avanti anche la sfilza di occupazioni così definite “naturali”. È dato per scontato che sia la donna a gestire la casa, i figli, tutto quello che ruota attorno alla sfera del lavoro domestico e di cura, poiché considerate esseri accudenti per natura.

Un altro discorso riguarda il lavoro riproduttivo: le donne hanno il gravoso compito di mantenere la famiglia e, ad oggi nell’era della produttività come marca assoluta tipica del neoliberalismo, non possono decidere liberamente sul proprio corpo. Una tendenza pro-vita, quella nei confronti dell’aborto, solo con lo scopo di delimitare e controllare l’indipendenza del corpo femminile.

Questa società sicuramente non punta a tutelare la vita, ed eppure in Italia tolleriamo gli obiettori di coscienza, che limitano un diritto che andrebbe riconosciuto in maniera assoluta: i gruppi pro-vita di matrice religiosa all’interno degli ospedali, la faccia dell’arretratezza di questo paese. Anche, e soprattutto questa è violenza, una violenza subdola che gioca sul senso di colpa e la vulnerabilità.

Meschina, perché nel mondo, nel mediterraneo, muoiono ogni giorno migliaia di esseri umani per motivi politici, ma a nessuno importa, poiché non è la vita a essere difesa, ma l’oppressione femminile, che viene perpetrata e tutelata tramite il controllo, da parte di un sistema creato da uomini e per uomini, delle nascite: uno dei principali interessi del capitalismo dalla sua origine. La questione è a chi spetta decidere chi può/deve venire al mondo su questo pianeta e la decisione non è mai di chi effettivamente li mette al mondo.

Quindi sì, tutti gli uomini opprimono, e lo fanno ogni giorno. Finché la struttura non sarà radicalmente sconvolta, solo con una rivoluzione del pensiero, del costume, dell’abitudine, la violenza continuerà a esserci in tutte le sue forme.

Il peso del lavoro di cura sulle donne

La famiglia nucleare è un’istituzione che ci espone ad una crisi permanente, perché crea aspettative difficilmente realizzabili e impone carichi di lavoro insostenibili che gravano soprattutto sulle donne.

Silvia Federici, Il punto zero della rivoluzione

Nella maggior parte dei casi sono le donne a essere le principali responsabili della cura dei figli, degli anziani e delle persone vulnerabili, così la divisione del lavoro domestico rimane fortemente sbilanciata. In questo contesto, la famiglia nucleare, lungi dall’essere un’istituzione protettiva, diventa un luogo in cui il benessere e la realizzazione personale delle donne vengono sacrificati, con un effetto devastante sulle aspirazioni e la salute.

Il personale è politico

Il concetto di Il personale è politico è una delle idee principali del movimento femminista a cavallo tra gli anni sessanta e settanta e indica le relazioni tra l’individuo e le strutture di potere: le questioni che riguardano la vita privata, come la famiglia, la sessualità, la maternità e la divisione del lavoro domestico sono intrinsecamente legate a strutture di potere e oppressione. Ciò sfida la separazione tradizionale tra sfera pubblica e privata: la politica, tradizionalmente considerata un dominio pubblico, mentre la sfera personale, come il ruolo della donna nella famiglia, nelle relazioni di coppia, nel lavoro domestico e nella cura dei figli, è stata vista come una questione privata al di fuori della portata della politica.

La divisione del lavoro domestico e le cure riproduttive non sono solo decisioni individuali o familiari, ma il risultato di un sistema che impone alle donne di assumersi un carico maggiore rispetto agli uomini. La subalternità del genere femminile non è solo un problema individuale, ma una questione sociale e politica che si riflette nelle leggi, nei sistemi economici e nelle norme culturali: escluse storicamente dalle decisioni politiche (e non solo) e dalla formazione di leggi discriminatorie che regolano il matrimonio, la sessualità e la maternità.

Non esagero quando dico che sono femminista dai tempi dell’asilo, da prima che questo concetto entrasse nella mia famiglia.

Isabelle Allende – Donne dell’anima mia (p.9)

Buona Lotta.

Azzurra Rachelli

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