Spesso si parla dell’importanza dello studio e in particolare del percorso universitario che sempre meno giovani decidono di intraprendere. E anche quando ciò accade siamo subito portati a fare una valutazione pressoché innata: le lauree tecnico scientifiche sono migliori di quelle umanistiche. Migliori non nel senso di più belle o più organizzate, ma più utili per un futuro lavorativo.
In effetti, in un’epoca dominata dal progresso tecnologico e dall’internet le competenze tecniche sembrano dirimenti, per non dire vitali. Eppure, incredibilmente, le lauree umanistiche stanno conoscendo un’inaspettata rivalutazione destinata ad avere effetti nel medio e lungo periodo.
I luoghi comuni: tra umanesimo e tecnica
In un’epoca dominata dall’avanzamento tecnologico le competenze umanistiche sembrano avere perso attrattiva e importanza. Se l’economia e il mondo del lavoro vanno in questa direzione, cosa farsene di una laurea in filosofia? Il caso era già stato sollevato poco tempo fa da un imprenditore di Cuneo che consigliava ai giovani di non proseguire gli studi perché in futuro si sarebbero cercati solo operai.
Tuttavia, l’egemonia tecnico-scientifica, che agisce ormai a livello subliminale nella mente di ciascuno di noi, ci porta inevitabilmente a ritenere le competenze umanistiche del tutto inutili. Spesso ci sentiamo ripetere che c’è bisogno di ingegneri, economisti, informatici, esperti di marketing o analisti finanziari, e questo perché il mercato del lavoro (anzi, il mercato tout court) va in questa direzione.
Da qui si deduce che gli umanisti sono frustrati perché non trovano lavoro e quando lo trovano non sono soddisfatti perché sottopagati rispetto ai loro colleghi scienziati. Eppure qualcosa sta cambiando nella considerazione degli studi umanistici in campo lavorativo, portandoci così ad una loro sostanziale rivalutazione.
I falsi miti sugli studi umanistici
Stando al report dell’American Academy of Arts and Sciences non è vero che i laureati in materie “liberali” siano frustrati o vivano peggio dei loro colleghi. Al contrario, i dati rilevano un grado di soddisfazione elevato nel lavoro svolto e nei margini di guadagno.
Il reddito annuo medio dei laureati in materie umanistiche è di 52mila dollari per la laurea triennale e di 72mila dollari per quella magistrale. Numeri molto alti se vengono paragonati ai redditi dei laureati in altri campi, come gli 82mila dollari annui di ingegneria. Certo, parliamo di cifre più basse, ma comunque più che sufficienti per garantire uno standard di vita elevato. Se poi li paragoniamo con i 34mila dollari di chi si ferma al diploma il divario si palesa ancor più chiaramente.
Quindi, i dati sulla soddisfazione finanziaria devono indurci a un altro ripensamento. Gli umanisti manifestano un tasso di soddisfazione uguale a quello delle controparti scientifiche. Addirittura chi si laurea in storia o letteratura si dimostra più soddisfatto del proprio rendimento economico di chi si laurea nell’ambito del business. Lo stesso andamento si rispecchia in Italia: il consorzio Almalaurea ha registrato un tasso si soddisfazione fra i laureati in materie umanistiche di 7,5 su 10, punteggio identico ai laureati in campo economico.
La situazione in Italia
Alla luce di questi dati l’obiezione potrebbe essere questa: “ti sei solo occupato di numeri, ben lontani dalla realtà, e poi hai parlato solo di America quando la situazione italiana è ben diversa”. Tutto vero, se non fosse che i numeri, in quanto tali, non si possono contestare. Ma se anche i numeri non sono sufficienti allora diamo uno sguardo alla situazione italiana più da vicino.
A Milano i licei classici sono stati letteralmente presi d’assalto con un boom di iscrizioni senza precedenti. In tre anni gli studenti sono passati dal 3% all’8%. Così, gli stessi licei dati per spacciati fino a qualche anno fa si sono ritrovati a fronteggiare un’emergenza al contrario, a tal punto che ben 30 alunni si sono visti rifiutare la domanda di iscrizione per mancanza di posti.
Venendo al mercato del lavoro, gli ultimi dati in merito arrivano dalla fiera ExpoTraining tenutasi sempre a Milano il 25 e 26 ottobre 2017. In particolare, il report “Il lavoro in Italia nel 2027” parla chiaro in merito al tipo di mansioni e professioni ricercate nel medio e lungo periodo. Nel totale, per il 24% le domande di lavoro verteranno sulle materie letterarie e umanistiche. Un dato sorprendente, tenuto anche conto che il report è stato stilato proprio da tecnici informatici, esperti di marketing e manager.
I vantaggi delle materie umanistiche
Alla luce di quanto detto sinora, proviamo a capire come interpretare questa rivalutazione delle lauree umanistiche. Al di la dei dati oggettivi e dei report, appare chiaro che le competenze umanistiche predispongo il soggetto a una dote, quella della versatilità. Ovvero, un percorso di studi di questo tipo non è lineare, cioè il titolo di studio non coincide con un ambito lavorativo definitivo. Al contrario, la laurea umanistica fornisce le competenze di base che dovranno essere applicate nei settori più disparati, anche quelli che sembrano lontani anni luce.
Questa versatilità disciplinare può così portare un laureato in filosofia a lavorare nelle aziende a stretto contatto con manager e dirigenti, dove l’imperativo della “pratica professionalizzante” può portare ad una perdita di contatto con la realtà. Un eccesso di pragmatismo e di efficienza determina una sorta di “scollamento” dal reale, un impoverimento dei rapporti umani. E chi possiede le competenze per dare adito ad una profonda riflessione interiore e a riappropriarsi della propria umanità o della propria anima se non un filosofo?
Sia chiaro, non stiamo parlando di una aleatoria alienazione dal lavoro di matrice marxista, ma di un vero e proprio disagio manifestato sul luogo di lavoro. Esso può dare vita a malumori e attriti, anche interiori, così come può sfociare in vere e proprie patologie del comportamento. Ecco allora che l’aiuto di uno psicologo torna molto utile.
Se il concetto platonico di anima può sembrare astruso, potrà sembrarlo molto meno l’apporto fornito da un linguista ad esempio nel campo della robotica. Se nel futuro gli androidi saranno così importanti come vogliono farci credere, ci dovrà anche essere qualcuno disposto a impartire loro delle competenze linguistiche, il cosiddetto machine learning.
Oppure, per concludere con gli esempi, laureati in Scienze della comunicazione, in particolare in semiotica, sono fondamentali quando si parla di “contenuti”. Dietro a ogni messaggio pubblicitario, dietro a ogni discorso politico, dietro a ogni identità di marca, dallo slogan al marchio, c’è lo zampino di un semiologo. Niente è lasciato al caso.
Il futuro dell’umanesimo
Per concludere, appare evidente che negli ultimi tempi il settore della conoscenza ha subito due fasi. Nella prima, diciamo dal 1995 ad oggi, la tecnologia e internet l’hanno fatta da padrone. Esse hanno sostanzialmente capovolto numerose pratiche sociali o ne hanno addirittura create di nuove (si pensi alla mediazione sociale dei social network in quasi tutti gli ambiti, da quello amicale a quello lavorativo). È stata fondata una nuova egemonia, quella della tecnologia, che ha introdotto il mantra della velocità o istantaneità che ci sottopone a stress continui inducendoci a essere sempre interconnessi.
La seconda fase, quella attuale, sta conoscendo una sorta di risveglio della coscienza collettiva. Ci si è resi conto che la tecnologia da sola non può arrivare dovunque, che considerare i colleghi di ufficio come avversari e non come compagni di scrivania è deleterio e basare tutto sulla mediazione informatica è un’operazione vana se alla base non c’è un linguaggio per capirsi.
Ecco perché c’è ancora bisogno di filosofi, sociologi e psicologi: essi servono a colmare i vuoti causati dall’involucro tecnologico. Se lo scienziato crea la scatola, l’umanista è chiamato a riempirla, a fornirle del contenuto. Tecnologia e scienze umanistiche vanno di pari passo, così come hanno sempre fatto nel corso della storia. E se un tempo chi si laureava in medicina era tenuto a dare anche esami di filosofia, oggi un laureato in semiotica è tenuto anche a conoscere il linguaggio informatico e le tecniche SEO per redigere un articolo, come fa il sottoscritto.
Nicolò Canazza