Le notizie storiche su di lui, comprovate da documenti, sono pochissime. Sono molti i racconti, le agiografie e le leggende.Stiamo parlando di San Sebastiano, patrono della Polizia Municipale, festeggiato oggi 21 gennaio.
Da Milano, sua terra natale, Sebastiano parte per Roma, dove la persecuzione contro i cristiani era diventata violenta e feroce, per adempiere un’importante missione: assistere i cristiani, proteggerli e soprattutto impedire le abiure dei credenti per sfuggire alla morte. Per la sua cultura, la sua gentilezza, la sua bontà, Sebastiano, seppur ancora giovane, raggiunse i massimi gradi, della gerarchia militare, che gli permisero di occupare il posto di comandante della Prima Corte della Guardia Pretoriana, sotto l’impero di Diocleziano e Massimiano che lo stimarono e lo amarono senza nutrire alcun sospetto sulla sua appartenenza alla fede cristiana.
In seguito a importanti conversioni e martiri spinti proprio dalla testimonianza di Sebastiano, quali la conversione, tra cui la conversione e il successivo martirio del governatore di Roma Cromazio, e di suo figlio Tiburzio, Sebastiano fu denunciato all’Imperatore come cristiano. Diocleziano, non credendo a quelle parole, chiamò Sebastiano per testimoniare. Sebastiano, da vero soldato di Gesù Cristo, confessò la sua fede. Per questa nobile e franca dichiarazione, Diocleziano lo accusa di tradimento e di ingratitudine e, malgrado le sue virtù morali e civili, viene condannato a morte.
Legato ad un tronco d’albero, Sebastiano diviene il bersaglio delle frecce come da sempre rappresentato dall’iconografia cristiana. E’ come se gli esecutori, i suoi stessi soldati che lo amavano, avessero tentato di risparmiarlo.
Considerato morto, fu abbandonato sul campo. La leggenda vuole che Santa Irene sia giunta sul luogo del martirio per portare via il corpo e dargli sepoltura nelle catacombe ma, con grande stupore, constatò che Sebastiano era ancora vivo. Lo fece quindi portare da alcuni servi nel palazzo imperiale dove ella abitava e qui curò le sue ferite così che Sebastiano, in pochissimo tempo, si ristabilì.
Tuttavia, Sebastiano aveva ormai consacrato la propria vita a Dio e così, un giorno, presentatosi a Diocleziano, gli gridò di pentirsi e chiedere perdono a Dio per i suoi crimini contro la Chiesa di Cristo. Un profondo silenzio, rotto soltanto dalla proclamazione della condanna a morte, seguì queste parole. Come si usava, solo per gli schiavi, Sebastiano fu flagellato a morte e annegato; il suo corpo fu gettato nella cloaca che passa sotto la via dei Trionfi, presso l’arco di Costantino: era il 20 gennaio del 288.
Proprio l’intreccio tra agiografia, leggende popolari e qualche elemento di verità storica, ci permette ancora di più di cogliere nella figura di San Sebastiano un emblema di due aspetti attuali per chi, in vario modo, si trova a dover “maneggiare” potere: l‘uso del potere e il primato della coscienza.
Anche gli agiografi, o chiunque abbia voluto in qualche modo esaltare la figura del Santo, non ha omesso un elemento fondamentale della sua biografia: in una prima fase Sebastiano continuò a svolgere il suo servizio presso l’Imperatore e ad essere cristiano. Magari nella speranza che la sua testimonianza di vita riuscisse a smuovere il cuore di Diocleziano, sicuramente perchè consapevole che da quella posizione avrebbe potuto più facilmente aiutare i suoi fratelli nella fede. Ma soprattutto è un dato che ci comunica come, in qualsiasi epoca e vicenda storica, la coerenza non implica mai l’isolamento o il “disimpegno” di chi si chiama fuori per non sporcarsi le mani: il potere può servire per il bene, il potere può essere uno strumento per far passare dalle parole ai fatti i valori che si proclamano. Il disimpegno, il muro contro muro, l’extraparlamentarismo per dirla con parole del nostro tempo, è l’altra faccia dell’indifferenza.
Il secondo aspetto a cui ci richiama la figura di San Sebastiano, è il primato della coscienza rispetto al potere e alle convenienze personali del potere. Come Massimiliano Di Tebessa, che al giudice si dichiarava pronto a farsi tagliare la testa piuttosto che fare il soldato per questo mondo, Sebastiano non si lascia corrompere da quell’Imperatore che, davanti al suo sottoposto, si vantava di avergli aperto le porte del suo Palazzo e di avergli dato titoli e prestigio. Una lezione attuale, che ci parla di coerenza, al di là se se sia in nome di un credo religioso o ideali di altra natura. Un esempio di coerenza che tante volte chiediamo ai capi. Ma che è tanto più necessaria, quanto più difficile è metterla in atto, richiederla ai “sottoposti” come Sebastiano
Salvatore D’Elia