Giuseppe Russo: “ho sedotto Coppola, cantando in italiano”

Foto: Nicola Allegri

Katia Ricciarelli

Di Roberto Allegri

 

Giuseppe Russo appartiene a quell’esercito di attori, cantanti, fotografi, artisti italiani che attraversano l’Oceano per cercare il successo negli Stati Uniti. Ma anche, più semplicemente, per avere una considerazione professionale che molto spesso, purtroppo, nel nostro Paese non esiste.

  <<Volevo sentire che il mio lavoro, fatto di sacrifici, studio, abnegazione, passione, fosse visto e considerato, con la stessa serietà e professionalità con le quali lo vedevo io>>, spiega Giuseppe. <<Volevo essere visto come un professionista non solo in base a quante fiction avessi interpretato, ma per il semplice fatto di aver scelto questa carriera. Volevo la sensazione che non stessi sprecando la mia vita lottando contro i mulini a vento. E a Los Angeles ho trovato quello che stavo cercando.>>

Trentasei anni, romano, noto in Italia per avere interpretato fiction di successo come “Non smettere di sognare” e “Gente di mare”, e per essere stato protagonista in teatro su molti testi che spaziano da Kafka a Pirandello a Shakespeare, Giuseppe Russo è ormai trapiantato in California. <<Finalmente sento che questo mestiere è concreto, vero>>, dice con entusiasmo. <<Sento di essere nel posto giusto per poter avere la possibilità di agguantare il mio sogno.>>

Al suo sogno, Giuseppe dedica ogni energia. E i suoi sacrifici cominciano a dare frutti. Ha preso parte al primo episodio del serial “Feud” che andrà in onda l’anno prossimo. Una serie basata sulla leggendaria rivalità tra Joan Crawford e Bette Davis e interpretata da un cast stellare: da Susan Sarandon a Catherine Zeta Jones, da Alfred Molina a Stanley Tucci, da Jessica Lange a Sarah Paulson. E il regista Francis Ford Coppola lo ha voluto nel suo nuovo ambizioso progetto. <<E’ un lungometraggio dal titolo “Distant Vision”>>, spiega Giuseppe, <<basato sulla storia di una famiglia italoamericana attraverso quattro generazioni. Si tratta di qualcosa di nuovo, di assolutamente sperimentale. Coppola vuole riprendere una performance dal vivo con l’aspetto visivo di un film. E’ un grandissimo onore farne parte.>>

Parlando con Giuseppe Russo, ho scoperto le aspirazioni e le difficoltà, le soddisfazioni e le delusioni di chi “ci prova” in America. Un’istruttiva conversazione sullo studio continuo, sulle tecniche di recitazione, sui provini, i modelli da seguire e, naturalmente, i consigli da dare a chi pensa di fare altrettanto. Ma prima di ogni altra cosa, ho voluto farmi raccontare da Giuseppe dell’incontro con Coppola.

<<E’ stato incredibile>>, dice. <<La più bella audizione della mia vita. Mi sono presentato con il pianoforte elettrico perché sapevo che cercavano gente capace di suonare. Pensavo che avrei visto solamente il direttore del cast e invece mi sono trovato faccia a faccia con Coppola. Eravamo seduti uno di fronte all’altro senza nemmeno un tavolino a separarci. Dopo una prima chiacchierata per rompere il ghiaccio, mi ha chiesto di improvvisare in diversi dialetti italiani e poi, visto che avevo portato il piano mi ha chiesto di cantare qualcosa. Sapendo che il progetto riguardava una famiglia di immigrati italiani di inizio secolo, ho attaccato con la canzone “Vecchio frack” di Modugno. E tutti sono impazziti. Non solo il maestro Coppola ma anche il direttore del cast e il produttore. Hanno cominciato a chiedermi una canzone dietro l’altra: “Malafemmena” di Totò, “Ciumachella de Trastevere” di Claudio Villa, “Tanto pè cantà”, grande successo di Nino Manfredi. Non potevo crederci. Ero a Hollywood, stavo facendo un provino con Francis Ford Coppola a stavo cantando le canzoni che mi aveva insegnato mio padre! Cose del genere possono accadere solo in America>>.

<<Los Angeles è un città immensa e stimolante>>, mi racconta ancora Giuseppe quando gli domando della sua vita californiana. <<E’ una città completamente dedicata all’industria dell’intrattenimento. E’ un ambiente fertile per un attore, si è sempre a contatto con professionisti all’avanguardia, ognuno nel suo campo, che prendono seriamente il loro mestiere e quello degli altri. Intendiamoci, non è tutto rose e fiori. Ci sono infinite possibilità di crescita e di lavoro, ma c’è anche una concorrenza spietata, soprattutto per un attore non madre lingua come me, che ancora sta lavorando per pulire del tutto il suo accento straniero. Non so se è vero, ma ho sentito che c’è una media di oltre 15 mila attori o aspiranti tali che ogni anno vengono a Los Angeles, e altrettanti che se ne vanno. Praticamente un esercito. Ma tutta questa concorrenza, se presa nel modo giusto, funge da stimolo, da pungolo per crescere, da ispirazione a far meglio. Quello che mi fa continuare a crederci, è sapere di essere considerato da registi e agenti, come una risorsa, una materia prima preziosa e indispensabile per far funzionare un’industria fiorente e ricca come Hollywood>>.

<<Trasferirmi negli Stati Uniti per me ha significato cominciare a vedere il mondo con altri occhi. E’ una cultura che se per tanti aspetti può sembrare simile alla nostra, non lo è assolutamente: valori, usi e costumi, convivenza civile e rapporti interpersonali si declinano in modi del tutto diversi dall’Italia e da Roma, la mia città natale>.

  <<Cominciare una nuova vita oltreoceano significa tante cose, grandi e piccole. Vuol dire ad esempio prendere la patente di guida americana, affittare un appartamento in cui vivere, trovare un lavoro che permetta di pagare le bollette, comprare una macchina, iniziare a fare provini in inglese. Tutto questo, all’inizio mi sembrava enorme ma allo stesso tempo mi ha fatto scoprire di possedere una capacità di adattamento, un’abilità nell’affrontare e risolvere situazioni inaspettate, che non pensavo di avere. Da subito, vivere a Los Angeles, si è rivelata essere non solo una grande esperienza lavorativa, ma soprattutto di vita>>.

<<Le mie giornate si sviluppano totalmente intorno alla mia arte. Inizio con un po’ di ginnastica perché un attore deve avere sempre un corpo allenato e pronto all’attività fisica, per non ritrovarsi con il fiato corto nel bel mezzo di una scena di azione, ad esempio. Poi gestisco le decine e decine di e-mail che ricevo quotidianamente su progetti in corso e audizioni. Vado ai provini. Se riguardano degli spot pubblicitari, il più delle volte non ci sono battute da studiare. Altrimenti, bisogna presentarsi già con tutto il copione imparato a memoria. Una volta alla settimana vado a lezione da Ivana Chubbuck, una famosa insegnante di recitazione che ha messo a punto una particolare tecnica interpretativa, poi preparo le scene con i partners che di volta in volta mi vengono assegnati. Vado a lezione di dizione, studio in continuazione>>.

<<La cosa eccitante è frequentare locali come “Fratelli” o “Frankye’s” dove è facile trovare attori che provano i loro dialoghi o lavorano a progetti insieme. Il clima caldo ti porta a lavorare all’aperto quindi è molto facile sedersi ad un caffè a West Hollywood ed essere circondati da persone intente a leggere sceneggiature o a discutere di fronte ad uno storyboard book. È la città del cinema quindi dovunque vai respiri cinema>>.

<<Quella americana è davvero una realtà meritocratica. Magari, se conosci qualcuno giusto, riesci anche ad arrivare a prendere una parte che altrimenti non sarebbe mai stata data a te, ma se non sei all’altezza non avrai una seconda occasione. Si chiama show business perché “è” un business a tutti gli effetti, e se un film non incassa perché il protagonista è un raccomandato senza alcun talento, il business fallisce. Posso assicurare che negli USA sono molto sensibili a questo tipo di ragionamento. Spesso mi sento ripetere una frase che è sicuramente di ispirazione: “Vince solo chi ad un certo punto non si è fermato”. Significa che solo se continui a darti da fare coltivando il tuo progetto ogni giorno, tanto da farlo diventare una realtà, potrai in seguito voltarti indietro e realizzare che effettivamente “ce l’hai fatta”>>.

  <<A chi vuole intraprendere un’avventura come la mia, dò però questo consiglio: usare il cervello e non bruciare le tappe! L’America rappresenta una grande opportunità ma è molto facile sciuparla. La si può sprecare, ad esempio, se quando si arriva la conoscenze dell’inglese non è buona abbastanza da capire e farsi capire. Se si ha già una carriera in Italia, è importante partire con un visto di lavoro perché nessuno ti fa lavorare se non hai i documenti in regola. Ed è necessario darsi almeno un orizzonte temporale di tre anni. L’America è un altro mondo e si riparte da zero. Ogni azienda che inizia la sua attività calcola un primo anno in perdita, un secondo in cui si punta al pareggio, e poi un terzo in cui si misurano i primi risultati. Bisogna fare lo stesso.>>

<<Insomma, questa è la mia esperienza. Posso dire che nulla è impossibile da realizzare: si deve avere fiducia in se stessi, amore per ciò che si fa, rispetto per chi ci accompagna nel viaggio e tanto impegno quotidiano. I sogni sono davvero a portata di mano. Bisogna crederci sempre!>>

 

Foto di Nicola Allegri

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