L’attentato a Wall Street del 1920 è ricordato come un giorno di terrore nel cuore della finanza, un colpo inaspettato che, dopo le indagini, fu dichiarato di responsabilità del movimento anarchico italiano. Il 16 settembre 1920, una giornata apparentemente tranquilla si trasformò in un incubo nel cuore del distretto finanziario di New York, Wall Street. A mezzogiorno, un carro trainato da un cavallo si fermò proprio di fronte alla sede della potente banca J.P. Morgan, al numero 23.
Quel punto, noto come “The Corner”, rappresentava simbolicamente l’epicentro della finanza americana, da poco risollevatasi dopo lo shock finanziario e storico della Grande Depressione. Il trambusto della pausa pranzo, con impiegati e lavoratori intenti a godersi il sole di settembre, fu interrotto da una devastante esplosione. All’interno del carro erano nascosti 45 kg di dinamite e 230 kg di frammenti di ghisa, che, esplodendo, si trasformarono in migliaia di schegge letali, sparate in ogni direzione.
Morte e distruzione: il bilancio devastante dell’attentato a Wall Street del 1920
L’esplosione fu talmente violenta che tutto fu dilaniato all’istante, lasciando una scena di totale devastazione. Le vittime dell’attentato a Wall Street del 1920 furono 38, la maggior parte delle quali morirono sul colpo. Erano principalmente giovani lavoratori: fattorini, stenografi, impiegati e broker, candidati a posti di lavoro, persone comuni che quel giorno si trovavano nel posto sbagliato. Oltre 200 furono i feriti, molti dei quali subirono gravi lesioni, alcune irreversibili. Le schegge metalliche volarono come proiettili, colpendo chiunque si trovasse nel raggio dell’esplosione.
Il danno non si limitò alle vittime umane: l’edificio della banca J.P. Morgan subì gravissimi danni strutturali, così come gli edifici circostanti. Il carro trainato infatti esplose davanti all’Assay Office, all’incrocio tra Wall Street e Broad e causando danni materiali stimati intorno ai due milioni di dollari, una cifra enorme per l’epoca. I vetri delle finestre furono ridotti in frantumi, le strade si riempirono di detriti e il fumo avvolse l’intera area. L’attentato a Wall Street del 1920 è stato il primo grande attacco terroristico nella storia degli Stati Uniti, un evento che lasciò un segno indelebile sulla psiche nazionale e che fece nascere la logica dell’individuazione del nemico nella consuetudine statunitense.
Le testimonianze di sopravvissuti e giornalisti raccontano una scena quasi apocalittica: persone e oggetti che volavano, vetri che cadevano da metri di altezza, fiamme e fumi che salivano oltre 100 metri. Tutto era avvolto da fumo nero dal quale non si riusciva più a uscire, mentre le persone continuavano ad urlare, intrappolate negli edifici.
La reazione immediata: sospensione delle attività e soccorsi
Un minuto dopo l’esplosione, il presidente della Borsa di New York, William H. Remick, agì rapidamente per cercare di contenere il caos e prevenire il panico. Ordinò la sospensione immediata delle operazioni finanziarie, un tentativo di evitare una crisi che avrebbe potuto amplificare le conseguenze economiche dell’attacco. Fu una decisione molto azzardata, ma necessaria per evitare un crollo dei mercati già fortemente scossi dall’evento.
Nel frattempo, le squadre di soccorso iniziarono a operare per salvare tutto ciò che era salvabile. Poliziotti, pompieri e cittadini comuni si unirono per portare i feriti negli ospedali più vicini. Gli agenti di polizia requisirono tutte le auto presenti sul luogo per utilizzarle come ambulanze di fortuna, cercando disperatamente di salvare quante più vite possibile.
Le indagini sull’attentato di Wall Street del 1920 furono immediate, ma inizialmente confuse. Il Bureau of Investigation (BOI), l’antenato dell’FBI, non comprese subito la portata dell’attacco né lo identificò immediatamente come un atto terroristico. La mancanza di un obiettivo specifico, unita al caos della scena, portò gli investigatori a considerare, seppur brevemente, la possibilità di un incidente.
Tuttavia, la scoperta di volantini vicino al luogo dell’attacco dissipò ogni dubbio. I volantini, scritti in inglese sgrammaticato e firmati dai “Combattenti americani per l’anarchia”, minacciavano ulteriori attacchi se i prigionieri politici non fossero stati liberati. Questo indizio spinse subito le autorità a concentrarsi sui movimenti anarchici, già noti per le loro azioni violente negli anni precedenti. Da questa scoperta, ci furono molte interviste e i mass media aiutarono le indagini nell’individuazione del colpevole. I servizi segreti dichiararono più volte che l’attentato non era per colpire qualcuno in particolare, come la JP Morgan, ma l’America in quanto società e popolo.
La pista anarchica dell’attentato a Wall Street del 1920: Sacco, Vanzetti e la vendetta
Uno dei principali sospetti dell’attentato a Wall Street fu Mario Buda, un anarchico italiano e seguace di Luigi Galleani, noto per le sue teorie rivoluzionarie e per l’uso della violenza come strumento politico. Buda, secondo molti storici, potrebbe essere stato il principale artefice dell’attentato. L’attacco a Wall Street fu interpretato come un atto di vendetta per l’arresto di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due suoi compagni anarchici, entrambi italiani, accusati di omicidio e condannati a morte pochi giorni prima dell’attentato. Sacco e Vanzetti erano diventati un simbolo di oppressione e ingiustizia per i movimenti anarchici, e l’esplosione sembrava mirata a colpire al cuore il sistema capitalistico che li aveva condannati.
Buda, noto anche con l’alias di Mike Boda, era già sospettato di aver partecipato ad altri attentati in passato. Dopo l’attacco, riuscì a sfuggire alle autorità e fuggì in Italia, dove visse il resto della sua vita senza mai tornare negli Stati Uniti. Sebbene non ci siano prove definitive del suo coinvolgimento, molti storici lo considerano il più probabile pianificatore dell’attentato. In questo contesto infatti vi erano proprio gli Anarchist Fighters, nei quali lo stesso Buda sarebbe dovuto rientrare come attivista politico.
Il movimento si concentrava perlopiù in Massachusetts, un luogo ancora poco controllato dalle autorità federali americane, che lo definivano come pericoloso politicamente. In seguito al tracciamento del profilo del movimento anarchico e di Mario Buda, entrambi collegati ad altre brigate Galleani, le autorità decisero di responsabilizzare il movimento anarchico per l’attentato a Wall Street del 1920.
Il contesto storico: tensioni sociali e repressione
L’attentato a Wall Street del 1920 non fu un evento isolato, ma si inserì in un contesto di crescenti tensioni sociali e politiche negli Stati Uniti. Gli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale furono caratterizzati da una forte repressione dei movimenti anarchici, socialisti e comunisti, accusati di minacciare la stabilità del paese. Il ministro della Giustizia Alexander Palmer colse l’occasione dell’attentato per intensificare la caccia a tutti quegli elementi politici che rientravano nella famosa “Red Scare”, la paura del comunismo e dell’anarchismo. Molti anarchici, inclusi numerosi italiani, furono arrestati o espulsi dal paese.
Dopo l’attentato, si rafforzò anche il ruolo del Bureau of Investigation, che, sotto la guida di J. Edgar Hoover, divenne la principale agenzia incaricata di monitorare e reprimere le attività dei movimenti radicali, noti a tutti come terroristi. Fu l’inizio di un periodo di intensa sorveglianza e repressione politica, che culminò con la creazione dell’FBI e un controllo sempre più stretto sulle attività sovversive.
Le indagini senza fine: un enigma irrisolto
Nonostante le intense indagini e la decisione finale di colpevolizzare il movimento anarchico, nessun colpevole fu mai arrestato per l’attentato a Wall Street del 1920. Le autorità interrogarono centinaia di sospetti, inclusi anarchici italiani e attivisti del movimento operaio, ma senza successo. La polizia arrivò persino a rintracciare il maniscalco che aveva ferrato il cavallo esploso con il carro, ma l’uomo non fornì informazioni utili.
Le indagini continuarono per anni, senza mai giungere a una conclusione definitiva. Solo negli anni ’40, il Federal Bureau of Investigation riaprì il caso, concludendo che l’attentato fosse probabilmente opera di anarchici italiani legati al gruppo di Luigi Galleani. Tuttavia, non ci furono ulteriori sviluppi concreti e il mistero dell’attentato rimase irrisolto. L’attentato a Wall Street del 1920 è ancora oggi ricordato come uno dei primi grandi attacchi terroristici negli Stati Uniti, un evento che sconvolse la nazione e lasciò un segno profondo nella memoria collettiva. I fori causati dalle schegge sono ancora visibili sul muro del numero 23 di Wall Street, un simbolo della violenza di quel giorno.